Se non Jurassic Park poco ci manca. Nel territorio del comune di Carfizzi abbiamo fatto una scoperta eccezionale: la felce bulbifera (nome scientifico Woodwardia radicans). Ai lettori distratti forse dirà poco, ma i botanici faranno un salto dalla sedia. Si tratta infatti di un relitto della vegetazione del Terziario (circa 70 milioni di anni fa), testimonianza del clima sub-tropicale che allora caratterizzava questa parte di Penisola. A causa dell’affermarsi del clima mediterraneo, la felce bulbifera si è ritirata in alcune aree montuose del nostro Meridione. È divenuta così rara da essere protetta dalla cosiddetta “Direttiva Habitat”, lo strumento normativo emanato dall’Unione Europea per la protezione dell’ambiente. È stata anche inclusa nelle liste rosse perché fortemente minacciata di estinzione.
Ecco, in breve, il resoconto della piccola grande avventura. Nessun indizio farebbe presagire la conservazione di un habitat così inatteso. Il paesaggio agreste, caratterizzato da morbidi pendii, non sembrerebbe nascondere un ambiente naturale così speciale e poco o niente disturbato dalla presenza antropica. Siamo nella terra dei vini e degli oli forse più apprezzati e conosciuti della Calabria, introdotti dai coloni greci intorno all’VIII sec. a.C..
Percorrendo un’anonima strada poderale che si sviluppa fra le colture agrarie, occultata dalla vegetazione riparia, si nasconde una profonda gola, scavata nell’arco di milioni di anni nelle rocce sedimentarie. Raggiunto il greto del corso d’acqua, superando i disagi della vegetazione spinosa ma godendo degli aromi indimenticabili delle piante mediterranee, dopo qualche centinaio di metri di percorso sull’alveo assolato solcato dall’acqua fresca, la valle si restringe. Inaspettatamente ci si trova all’interno di un canyon spettacolare. L’aria è ormai fresca, sebbene si percepisca sensibilmente umida, interessante premessa che quasi annuncia la presenza di vegetazione rupicola. Incutono timore le pareti, quasi sempre a picco, alte fino a 30-40 metri e anche oltre. “E se si staccasse un sassolino dalla parte più alta?” - ci si chiede, ma la sorpresa della scoperta non è bloccata dal timore del rischio incombente e si va avanti, ammaliati dall’ambiente circostante.
IL PERCORSO
Più che camminare, si salta da un blocco roccioso all’altro, preoccupati di non bagnarsi
i piedi, ma poi anche quest’ultima remora è superata, rapiti come si è dalla meraviglia del paesaggio. Le pareti rocciose, tappezzate da capelvenere e da una miriade di specie, accompagnano lo sguardo verso l’alto. Il cielo diventa a tratti una fascia luminosa quasi accecante, per il contrasto con la penombra delle pareti. Qualche chioma arborea interrompe in alto la continuità della luce che è così filtrata riverberandosi in infinite gradazioni di verde. Il contatto con il terreno dà concretezza ai passi attenti sul greto accidentato.
Sono una piccola scoperta i resti di gamberi predati e le minute rane appenniniche che fanno capolino tra i ciottoli. Essi sono un’importante indicatore biologico dello stato dell’ambiente. La loro presenza ci dice che l’ecosistema è poco o nulla perturbato dall’inquinamento antropico.

- Le minute rane appenniniche sono un importante indicatore biologico. La loro presenza ci dice che l’ecosistema è poco o nulla perturbato dall’inquinamento antropico.
In un piccolo anfratto si nota la presenza di depositi calcarei, promessa di stalattiti e stalagmiti che non hanno fatto in tempo ancora a dispiegarsi in tutta la loro potenziale lunghezza. Colpisce il silenzio della forra, a tratti interrotto dal gracchiare dei corvi imperiali che volano alti nel cielo dispiegando le loro ali. A volte sembrano competere con i rapaci diurni che si intravedono anche loro, di tanto in tanto, nella volta celeste.
È bello passare sotto le chiome fiorite degli oleandri che occhieggiano nelle pareti della forra, alternandosi con gli ornielli e i lecci. Colpisce la pervicace ostinazione a sopravvivere, seppur in condizioni difficili, abbarbicati alle fessure delle rocce. La loro
resilienza alle condizioni difficili è proverbiale. All’improvviso un urlo squarcia la quiete serena, non è un grido di dolore né di disappunto. Uno del nostro esiguo gruppo di esploratori, fine quanto caparbio osservatore, tra le rocce ha scorto la felce bulbifera. Inizia quasi una danza di gioia. Scopriamo che le piante sono tante, sicuramente decine. Ci accostiamo a osservarle con delicatezza. Per noi, increduli escursionisti, è stato come imbattersi in un gruppo di animali preistorici ormai estinti.
- La felce bulbifera (Woodwardia radicans), relitto della vegetazione del Terziario, si è ritirata in alcune aree montuose del nostro Meridione. È divenuta così rara da essere protetta.