AMBIENTE
BOSCHI ANTICHI PATRIMONIO DELL’UMANITÀ
27/12/2017

di Raffaele Manicone


L’Arma dei Carabinieri gestisce l’eccellenza delle foreste vetuste di Sasso Fratino e Foresta Umbra Falascone


FOTO ADurante i lavori della 41°esima sessione della Commissione UNESCO, sono state dichiarate Patrimonio dell’Umanità le “Mura Veneziane” e le “Faggete Vetuste Italiane”. La World Heritage List dell’Unesco, ad oggi, interessa 167 Paesi membri e comprende 1.073 siti di cui 832 per unicità culturali, 206 naturali e 35 misti.

Tale riconoscimento ha portato l’Italia a essere il Paese al mondo con il maggior numero di siti riconosciuti dall’UNESCO.

Decisamente importante per l’Italia è che tale riconoscimento sia stato attribuito a delle foreste, visto che rappresenta, per il nostro Paese, la prima iscrizione di un patrimonio naturale per il suo valore ecologico assoluto ritenuto di rilievo mondiale.

Le Faggete vetuste sono, infatti, uno straordinario scrigno di biodiversità e, finalmente,FOTO D anche quelle italiane sono state ufficialmente riconosciute dall’Unesco quale patrimonio dell'Umanità. In questo percorso durato quasi dieci anni, le prime a essere riconosciute quale Patrimonio dell’umanità furono le Faggete vetuste dei Carpazi, cui seguirono quelle di Slovacchia, Germania, Ucraina e adesso, dopo la candidatura di tre anni fa, si aggiungono, per un totale di 63 Faggete distribuite in 12 Paesi, le foreste di Albania, Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Italia, Romania, Slovenia e Spagna, che attendevano trepidanti tale riconoscimento.

Altro elemento interessante è quello che, dopo la Romania, l’Italia presenta il maggior numero di siti con foreste vetuste dall'eccezionale valore universale. Promosse dal l'Unesco sono le Faggete cresciute su oltre 2.000 ettari nelle zone del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise (a Villavallelonga-Valle Cervara, Lecce dei Marsi-Moricento, Pescasseroli-Coppo del Principe e Coppo del Morto, Opi-Val Fondillo), del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi (Sasso Fratino), del Parco Nazionale del Gargano (Foresta Umbra e Falascone), del Parco Nazionale del Pollino (Cozzo Ferriero), del Parco Naturale Regionale di Bracciano-Martignano (Monte Raschio) e del Monte Cimino (Soriano nel Cimino).

 

DUE GIOIELLI DI BIODIVERSITÀ

FOTO BUn riconoscimento davvero eccezionale che ci inorgoglisce come italiani ma, anche, come Carabinieri, perché la Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino e la Riserva Naturale Biogenetica di Foresta Umbra e Falascone sono due delle 130 Riserve Naturali gestite dal Raggruppamento Carabinieri per la Biodiversità attraverso, rispettivamente, i reparti di Pratovecchio e Foresta Umbra, che coprono, complessivamente, una superficie di circa 1.200 ettari pari al 60% della superficie complessiva delle Faggete vetuste italiane dichiarate Patrimonio dell’umanità.

Un risultato certamente eccezionale e con radici profonde. L’istituzione nel 1959 della Riserva Naturale Integrale di Sasso Fratino, prima Riserva Integrale in Italia, ha segnato una svolta nella politica ambientale nazionale e ha rappresentato per l’Italia una preziosa novità nel campo della protezione ambientale, nonché una risposta concreta alle sollecitazioni dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura e del Consiglio d’Europa. Allo stesso modo, la Riserva Biogenetica di Foresta Umbra e Falascone ha raggiunto l’attuale stato di conservazione proprio grazie all’indisturbata evoluzione naturale del soprassuolo, dovuta al particolare regime di protezione della riserva e all’assenza, negli ultimi 50 anni, di significativi interventi selvicolturali.

Le nostre Faggete vetuste, in particolare quelle di Sasso Fratino e Foresta Umbra Falascone, sono foreste nelle quali, a differenza dei boschi ordinariamente utilizzati, i fenomeni naturali determinano la morte degli alberi o il crollo di gruppi di individui che, non esboscati, restano “in dote” alla foresta sotto forma di alberi morti in piedi o di grandi quantità di legname al suolo, in diversi stadi di degradazione. Il legno morto di questi alberi (in piedi o atterrati) svolge un’importante funzione sotto il profilo della biodiversità, per l’attivazione di catene alimentari ormai scomparse nei boschi coltivati, legate alla presenza di microrganismi, funghi, insetti e uccelli.

Lo spazio che si genera nella volta del bosco per ogni albero caduto, permette l’arrivo al suolo di luce e genera la vita di nuove plantule, rendendo progressivamente eterogenea e “complessa” la foresta, nella sua diversità strutturale, orizzontale e verticale. Nei boschi mai utilizzati, o in cui sono cessati i lavori da molto tempo, si esprime indisturbata la complessa dinamica naturale che perpetua la eterogeneizzazione strutturale, riconoscibile dalla presenza di compagini particolarmente complesse.

Al faggio, al quale nella foresta di Sasso Fratino spesso si consocia l’abete bianco, siFOTO C associano il carpino bianco e quello nero, gli aceri, il tiglio, l’olmo, il frassino e l’orniello nonché il tasso, quest’ultimo con esemplari ultramillenari. Nel piano arbustivo predominano, in dipendenza dall’umidità, l’agrifoglio e il pungitopo mentre il piano erbaceo è caratterizzato dalla presenza di specie erbacee e felci anche molto rare. La fauna è, anch’essa, estremamente ricca e rappresentativa delle più importati specie presenti in Italia, annoverando presenze che vanno dal lupo al gatto selvatico ai più grandi uccelli predatori come: l’aquila reale, il nibbio bruno e il gufo reale, agli ungulati quali il cervo, il cinghiale e il capriolo che, in Foresta Umbra e su tutto il Gargano, rappresenta una vera emergenza ecologica poiché si va connotando sempre più come una sottospecie endemica.

 

“SASSO FRATINO” LA GRANDE INTUIZIONE

La singolare vicenda della sua istituzione è magistralmente raccontata nella nota introduttiva al pregevole volume “La Riserva di Sasso Fratino”, scritta da Fabio Clauser, decano dei Forestali d’Italia, allora Amministratore delle Foreste Demaniali Casentinesi.

FOTO ENel 1955, seguendo il piano di gestione della Foresta di Badia Prataglia del quale ero stato redattore nel 1952, ero arrivato come esecutore del piano stesso a dover progettare il taglio del bosco sulle pendici settentrionali di Poggio Scali: a Sasso Fratino. Mi sono trovato davanti ad un bel dilemma: onorare il mio piano o fare, come ora si direbbe, un passo indietro? Il bosco che avevo di fronte era rimasto pressoché intatto perché praticamente inaccessibile. Ma le nuove tecnologie – le gru a cavo importate dalla Svizzera - rendevano possibile e conveniente esboscare i grandi tronchi di ottimo legno da quelle pendici fino allora difese da balze rocciose e dalla mancanza di strade dove attestare gli impianti tradizionali. Il piano di gestione prescriveva di percorrere tutto quel versante. Ma una cosa è scrivere il piano e un’altra trovarsi ad applicarlo, a decidere della vita e della morte di alberi così straordinari, al loro cospetto