Da dove cominciare con la balena? Dalla mitologia classica o dalla simbologia cristiana, dalle leggende norrene o da quelle nipponiche, dall’astronomia o dalla letteratura, dalla zoologia o dalla questione ecologica? Iniziamo dall’arte rupestre, l’alba del pensiero umano in figura.
Se le scene di caccia dell’uomo preistorico sono soggetto ricorrente sulle pareti delle caverne, è plausibile ipotizzare lì la presenza della balena - il mammifero più grande che esista - quantunque il cetaceo sia 50 volte più grande di un bisonte e per di più viva in acqua, e dunque la sua uccisione sia alquanto più difficoltosa. E infatti nei petroglifi sudcoreani di Bangu-dae e nei dipinti rupestri di El Medano, in Cile, sono state rinvenute scene di caccia alla balena. Alle spalle della preistoria ci sono i miti, concrezioni narrative di esperienze ancestrali fatte ante scriptura, e in essi capita che non sia l’uomo a minacciare l’animale, bensì il contrario: Perseo che salva Andromeda legata ad una scogliera dall’assalto di un mostro marino (Ketos, da cui cetaceo) è mito d’occidente con cui si sono cimentate superstar come Piero di Cosimo, Vasari, Tiziano, Rubens, Carracci, Guido Reni, Morazzone, Moreau. Ruotando il mappamondo geo-mitologico in Giappone incontriamo la leggenda della Bake-kujira, spettro del cetaceo ucciso che torna a terrorizzare, riflessa nei delicati dipinti di Utagawa Kuniyoshi.
In territorio religioso ecco che la gigantesca balena muta di segno, la sua terribilità risulta mitigata e incorporata nella storia della salvezza con la vicenda del profeta ebraico Giona, gettato in mare, ingoiato da un “pesce grosso” e, dopo tre giorni, vomitato fuori da vivo; qui la balena assume caratteristiche di rifugio e di prefigurazione del sepolcro di Cristo. Si capisce perché dunque l’arte cristiana abbia portato la balena nel suo sancta sanctorum, la Cappella Sistina, sulla cui volta Michelangelo dipinse Giona col gran pesce nel giro di 10 giorni, una delle ultime immagini dell’affresco. Ma della storia di Giona e della balena sono pieni mosaici antichi come quelli di Aquileia, e cimiteri, sarcofagi e catacombe (queste ultime in fondo un protettivo ventre di balena), come a san Pietro e Marcellino ai due Lauri, a Roma, dove secondo le visioni della mistica Maria Valtorta sono sepolti davvero i resti di san Pietro (ma questa è un’altra storia).
Il Medioevo su Giona e la balena ha sfrenato la sua fantasia e i codici miniati sono costellati d’immagini di questo racconto biblico nelle fogge più originali; al top c’è la rappresentazione, tratta dalla Navigatio Sancti Brendani, della messa celebrata da san Brandano sul dorso di una balena talmente grande da essere scambiata per un’isola dall’avventuroso monaco irlandese.
Non possiamo tralasciare una balena iconica come Moby Dick: il romanzo di Hermann Melville contiene la citazione di una incisione di William Hogarth di Perseo che uccide la balena Ketos, e più in generale descrive un’attività allora molto diffusa come la caccia alla balena, oggi condannata dall’opinione pubblica e anche da trattati internazionali. Drammatico, visionario e magnetico è il fascino dei quadri di William Turner dedicati alla lotta tra uomo e balena, ma di forte impatto visivo sono anche le opere del francese Ambroise Louis Garneray sul medesimo soggetto, cui lui, da viaggiatore per nave, assistette direttamente. Il rischio di estinzione di questo animale ha cambiato la prospettiva contemporanea e affinché la balena non resti solo una costellazione celeste posta a 418 anni luce da noi – una sorta di cloud astronomico della memoria – gli artisti odierni usano il richiamo esercitato sull’immaginario (anche infantile, vedi Pinocchio) dal cetaceo per difenderne la sopravvivenza. Spiccano, in Italia, le incisioni e gli acquarelli di Giorgio Maria Griffa e il lavoro appassionato di Claudia Losi, confluito di recente nel bel volume The whale theory. Che la balena continui a farci compagnia.