Dalle 33 tonnellate del 2015 alle oltre 200 di oggi: è boom per l’ostricoltura italiana costretta, a dispetto dell’apparente impennata, a viaggiare col freno a mano tirato tra burocrazie, carenza di pianificazioni regionali, Iva al 22% e inquinamento delle acque, tutti fattori che non di rado paralizzano il mercato.
Pioniere nell’allevamento di ostriche Made in Italy è il team della Compagnia Ostricola Mediterranea in Sardegna. Per loro parla Alessandro Gorla: “Sono passati quindici anni. Qui a San Teodoro siamo stati i primi in Italia a produrre esclusivamente ostriche. È stata una scelta felice, poiché pur tra mille difficoltà l’azienda è cresciuta, ha fatto lavorare tante persone e stenta ad esaurire la domanda effettiva e, men che mai, potenziale. Alleviamo ostrica concava, la Pacifica, mollusco rustico che non teme variazioni di cuneo salino, si adatta facilmente e matura in un anno e mezzo dentro sacchi e cesti progettati per garantire alle ostrichine le migliori condizioni”.
Da quei primi passi gli ostricoltori lungo lo Stivale si sono moltiplicati. Oggi, ricorda il direttore dell’Associazione mediterranea acquacoltori Eraldo Rambaldi, oltre che in Sardegna ve ne sono in Veneto, Marche, Liguria, Puglia e Sicilia. L’ostrica tricolore è polposa e gustosa ma non costosa: “Le produzioni nazionali sono altamente competitive – sottolinea Rambaldi – e per questo considerare l’ostrica allevata come bene di lusso e gravarla di un’Iva al 22% è concettualmente errato. A volte costa meno di altri molluschi… non si capisce perché tenere imbrigliato un settore in espansione, in grado di produrre occupazione e assicurare alta qualità ambientale”.
Gorla conferma: “I Carabinieri hanno un ruolo da primattori nelle sinergie di cui il nostro settore necessita rispetto alle istituzioni per quanto riguarda la tutela ambientale. Uno sversamento incontrollato, un depuratore che non funziona… l’attività di vigilanza è alla base delle nostre attività, ma poi senza l’azione incisiva dei Carabinieri talvolta c’è chi preferisce tener fermo l’ostricoltore, piuttosto che riparare semmai il depuratore. Così si perde un patrimonio produttivo e occupazionale, oltre che naturalistico. Occasioni sprecate”.