EDITOR a cura di Tommaso Ricci
UVA ISPIRAZIONE PER GRANDI MAESTRI
20/10/2021

“Guarda il calor del sol che si fa vino…”


FOTO A - Baco,_por_CaravaggioL’invito dantesco a rimirare il prodigio del frutto della terra da cui proviene il nettare degli Dei è stato ben accolto da pittori e artisti figurativi. E a dire il vero già ben prima del Sommo Poeta. D’altro canto il vino dispone di un set di miti, in ambito sacro e profano, che lo colloca sempre agli albori di molteplici civiltà, conferendogli un’aura mistica. Con Dioniso, figlio adulterino di Zeus, rinominato poi Bacco dalla latinità, siamo ai primordi della civiltà greco-antica ben rappresentata nella storia dell’arte occidentale, pensiamo solo al barcollante Bacco michelangiolesco del Bargello o al superbo Bacco caravaggesco degli Uffizi. Sul Mediterraneo s’affacciava anche la civiltà egizia e nella tomba tebana di Nakht si apprezzano vivide scene di viticoltura di quella fertile terra. Pure il racconto biblico assegna al vino un posto di rilievo: nell’episodio delle spie di Mosè (Libro dei Numeri) mandate in esplorazione nella Terra promessa a lui interdetta, si narra del ritorno di Giosuè e Caleb che recano appeso a un bastone un enorme grappolo d’uva, simbolo di terra ubertosa. Il tema è frequentatissimo, lo troviamo, magnifico in pietra, sulla facciata del Duomo di Milano; è raffigurato su tela da Poussin e più tardi anche da Tissot; pochi anni fa in una sinagoga della Galilea è stato rinvenuto - a dispetto della aniconicità dell’ebraismo - un mosaico con quella stessa immagine biblica. E anche il designer Gio Ponti, per venire a giorni più vicini a noi, ha subìto il fascino di quella antica figura adottandola più volte per le porcellane Richard Ginori. Per non parlare del vero e proprio trattato di potatura della vite contenuto in una delle parabole evangeliche (“Io sono la vite e voi i tralci” dice Gesù, Gv 15,1-8), di cui soprattutto le icone ortodosse danno intensa traduzione visiva, una per tutte quella del Museo bizantino di Atene.

FOTO B - Bartolomeo-Bimbi uveE così l’uva è davvero il frutto che identifica e unifica la civiltà mediterranea con la sua oscillazione strutturale tra naturalismo e simbologia. Acini dipinti a perfezione tale da sembrare veri al punto d’essere becchettati dagli uccelli sono attribuiti da Plinio al pittore Zeusi di Eraclea, ma non ci resta traccia concreta di questo aneddoto; realismo antico documentato sono viceversa i grappoli d’uva raffigurati insieme ad altri frutti in varie domus della ferace Pompei; valenza religioso-misteriosofica invece è quella del raro vaso attico, datato 530 a.C., proveniente da Vulci e conservato a Monaco di Baviera, che ritrae Dioniso a bordo d’una nave il cui albero è trasformato nel fusto d’una vite ricca di tralci e di grappoli d’uva.

Ma il trionfo simbolico dell’uva si ha in epoca barocca con le sue nature morte, che paiono vivissime: da Caravaggio a Jacob Jordaens, da Samuel van Hoogstraten a Frans Snyders, l’uva assomma in sé l’opulenza della natura e della vita e insieme il senso della transitorietà, in dipinti in cui la strabiliante verosimiglianza si fa alibi visivo per lanciare l’avvertimento del memento mori.

FOTO C - Edouard Manet - Uva e fichiDopo la scorpacciata morale arriva l’ondata scientifico botanica, rappresentata al meglio da Bartolomeo Bimbi, con la sua stupefacente tela Uve, una spalliera di grappoli di tutte le varietà presenti nel Granducato di Toscana. Scendendo verso l’oggi come non ricordare che l’unico quadro venduto in vita da Vincent van Gogh pare essere stato Il vigneto rosso, 1888, oggi al Puškin di Mosca?

Monet l’ha associata con le pere, Manet con i fichi, Chardin con i melograni, Fantin Latour con i chiodi di garofano, ma la regina assoluta della frutta in pittura è decisamente lei, l’uva, che la terra, prima di inabissarsi nel sonno invernale, ci regala come riserva doc di vitalità.