
Il Mosaico del Nilo di Palestrina, scoperto tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento all'interno della cosiddetta aula absidata del Foro civile dell’antica Praeneste, è conservato nel Museo Archeologico Nazionale del comune romano.
Peschiamo a caso dal mazzo: Villa Boscoreale (cfr. cubiculum M, muro nord, pannello destro; I sec. a.C.), palazzo Schifanoia (cfr. Salone dei mesi - marzo; XV sec.), Library of Congress (cfr. volta e lunette delle scale per la Galleria della Rotonda; XX sec.). In tutti e tre i luoghi si nota come, all’interno del complesso e dinamico rapporto di armonia/sopraffazione tra uomo e natura, si sia creato un punto di incrocio, di comune rispetto, di magico e precario equilibrio: è la “pergola”, progetto senz’altro d’ingegno umano realizzabile però solo con la rampicante cooperazione naturale.
In una ipotetica topologia dell’arte, la pergola costruisce lo spazio intermedio tra l’Aperto
e il Chiuso (infinito/finito, indefinito/definito), una terra di mezzo nella quale le due polarità ingaggiano una dialettica plastica e mobile e in cui prende forma una partita doppia, da una parte l’arte topiaria, dall’altra quella pittorica. Ed è a quest’ultima, che a differenza della prima non avvizzisce lungo i secoli, che presteremo attenzione per capire i movimenti in atto sotto l’innocua pergola.
La “Madonna della vittoria” è un dipinto autografo del Mantegna, realizzato con tecnica a tempera su tela nel 1496 ed è custodito nel Museo del Louvre a Parigi.
In effetti sotto la sua volta frondosa l’uomo si ritempra e combatte. Nello straordinario mosaico del Nilo di Palestrina, capolavoro dell’età ellenistica, è ritratta, nella sezione 19, la modalità relax: si conversa e si fa musica riparati dal sole egiziano grazie ad una arcuata pergola di canne poggiata su due isolotti del fiume, piena di verzura e da cui pendono grappoli d’uva bianca e nera (chissà quanto è antica la popolare filastrocca “Sotto la pergola cresce l’uva/prima acerba e poi matura…”); ma, sotto la pergola dell’incisione che illustra uno dei testi più famosi e meno letti del Rinascimento, l’
Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, l’uomo compie le sue ardimentose imprese amorose, essendo quello il luogo più adatto per un convegno con la ninfa al riparo da sguardi indiscreti.
La pergola è dunque topos e motivo antico, incorporato dalla tradizione cristiana (tre esempi: il “cofanetto” della lipsanoteca di Brescia, la volta floreale della Basilica di Aquileia, le catacombe di san Callisto a Roma, tre pergole con uomo dormiente o sognante), ma ripreso anche dal laicissimo Ambrogio Lorenzetti, nel cui Effetti del Buongoverno sulle campagne compare una pergola. E non è dunque così sorprendente che un rinascimentale impregnato d’antico come Andrea Mantegna l’abbia trovata congeniale e dipinta più volte, nella Madonna della Vittoria del Louvre, ma anche nelle tele dell’altare di San Zeno a Verona, come pure negli affreschi della Cappella Ovetari a Padova. E le Madonne di Giovanni Boccati non siedono quasi tutte sotto una pergola?

- Palazzo Altemps, antica dimora aristocratica, oggi è la sede del Museo Nazionale Romano dedicato alla storia del collezionismo, a pochi passi da Piazza Navona, Roma.
Ma il trionfo della pergola è nella Roma rinascimentale dove le famiglie nobili facevano a gara per adornare con quella illusionistica natura doppiamente governata da mano umana le loro residenze. Palazzo Altemps ne ha una sontuosa sulla volta del loggiato, fastosa è anche quella di Palazzo Farnese a Caprarola, Villa Giulia dispone la sua in un abbraccio circolare, ma la più celebre, incantevole e gravida di significati, manifesti ed esoterici, la si deve a Raffaello e al suo allievo Giovanni da Udine: è la Loggia di Amore e Psiche a Villa Farnesina, fatta affrescare da Agostino Chigi. Un tripudio di frutta esotica appena giunta dalle disvelate Americhe, un intreccio di motivi mitologici, un gioco prospettico con gli antistanti giardini della Villa, insomma un segno sfavillante di grande potere mediato dall’arte. Ovviamente il Vaticano non poteva farsi mancare il proprio pergolato, e così nella Loggetta del Bibbiena e nella prima Loggia, una pergola stilizzata adorna pareti e volte.
Concludiamo con una notazione di nomenclatura edilizia in cui Leonardo ci aiuta ad orientarci: nella Sala delle Asse del Castello Sforzesco c’è l’immagine più pura di una pergola, cioè una struttura con tutte e cinque le pareti aperte, vestite di piante rampicanti, a differenza del pergolato, che invece ne ha una in meno perché addossato a un edificio. Ideata per offrire frescura o per simularla, la pergola stende insomma la sua ombra lungo l’intera storia dell’arte, che si dipana parallela, ma forse è più esatto dire, si intreccia e si avviluppa a quella dell’uomo.