Medicina

LA SALUTE NON È UGUALE PER TUTTI

Nuovo incontro con il professor Salvatore Mancuso, che ci spiega quanto contino, nella diagnosi e nella cura di ogni malattia, le differenze tra uomini e donne

090_093_immagine-relativa-all_articoloSi sente parlare sempre più spesso di medicina di genere. Questo vuol dire che dobbiamo cambiare atteggiamenti, procedure diagnostiche e strumenti di cura a seconda che un problema di salute interessi l’uomo o la donna?

«Volendo definire la medicina di genere diremo che è quell’area medica che studia le molteplici differenze biologiche tra uomo e donna, anche in rapporto a fattori ambientali, sociali e culturali e per il fatto che, in presenza di una stessa malattia, l’organismo femminile sembra reagire in modo diverso rispetto a quello maschile sia all’effetto dei farmaci e sia agli schemi curativi, a causa della diversa composizione corporea, dei diversi ritmi biologici e delle differenze ormonali».

 

Vediamo un esempio pratico.

«Un esempio eclatante in questo contesto è rappresentato dalle malattie cardiovascolari, considerate per lungo tempo appannaggio quasi esclusivo del sesso maschile, tanto da condizionare lo stesso approccio diagnostico e terapeutico nelle donne che presentano queste patologie. In realtà dopo la menopausa e con il venir meno degli effetti cardioprotettivi degli ormoni sessuali, il rischio di malattie cardiovascolari nelle donne aumenta sensibilmente, portandosi quasi agli stessi livelli riscontrati negli uomini. Ricorre sovente a questo proposito la citazione dell’infarto miocardico, ampiamente riportata dalla pubblicistica clinica: nell’uomo si manifesta il più delle volte con il suo quadro classico e cioè con il dolore al torace, alla spalla e al braccio sinistro, con sudorazione fredda e senso di angoscia, quanto basta a fare pronunciare immediatamente la diagnosi al medico di famiglia o a quello di pronto soccorso e avviare il soggetto a quei provvedimenti urgenti che, se attuati con la dovuta tempestività, il più delle volte gli salvano la vita. Nella donna in post menopausa l’infarto miocardico si presenta quasi con la stessa frequenza dell’uomo ma è raro che i sintomi clinici abbiano la classica sequenza ed intensità osservate nell’uomo, dato che manca spesso il dolore e prevalgono la nausea, il vomito, le vertigini, il sudore freddo, il mal di schiena, tutti segni che confondono il medico, con la conseguenza che la diagnosi può diventare tardiva e con il rischio concreto di non riuscire ad attuare in tempo i provvedimenti salva-vita. Sta di fatto che la mortalità da cause cardiovascolari, nella donna, è quattro volte più alta che nell’uomo».

 

Le donne, rispetto agli uomini, sono soggette ad alcune patologie con maggiore frequenza e/o con un decorso più grave?

«Dai dati Istat del 2009 risulta che le differenze percentuali di patologie specifiche nel genere femminile rispetto al maschile raggiungono livelli considerevoli e tra queste particolarmente elevate sono quelle relative alla malattia di Alzheimer (+100%), alla cefalea/emicrania (+123%), all’artrite/artrosi (+49%), alla depressione/ansietà (+138%), all’ipertensione arteriosa (+30%), alla calcolosi biliare (+31%), al diabete (+9%), alle malattie autoimmuni/allergie (+8%) e alle malattie cardio-vascolari in post menopausa (+5%). Per una donna il rischio di ammalarsi di cancro nel corso della sua vita è stimato nell’ordine del 38%. Sebbene molti tumori insorgano nell’anziano e le donne vivano più a lungo degli uomini, l’incidenza e la mortalità oncologiche restano più basse nelle donne rispetto agli uomini. Nel nostro Paese il tasso standardizzato di mortalità oncologica per 10.000 abitanti registrato nel 2006 è stato di 39,6 per gli uomini e 20,3 per le donne. Oggi i livelli si presenteranno ancora migliorati, in relazione alla maggiore curabilità delle patologie tumorali. Esistono importanti differenze di genere nella prevalenza delle patologie tumorali, legate solo in parte alle differenze anatomiche: negli uomini la maggiore incidenza spetta al tumore della prostata (29%), seguito dal tumore del polmone (14%), del colon-retto (9%), della vescica (6%) e dal melanoma (5%). Nella donna il più diagnosticato è il tumore della mammella (30%), seguito da quello del polmone (14%), del colon-retto (10%), del corpo uterino (6%) e della tiroide (5%). Per quanto riguarda la mortalità il primato spetta al tumore del polmone in entrambi i sessi (28% nei maschi e 26% nelle femmine), seguito negli uomini dai tumori della prostata (11%), del colon-retto (8%), del pancreas (6%) e del fegato e vie biliari (4%) e nelle donne dal tumore della mammella (15%), del colon-retto (9%), del pancreas (6%) e dell’ovaio (5%)».

                                       

Quali sono le ragioni di queste differenze?

«Le disparità “di genere” nella distribuzione e nell’andamento clinico delle patologie neoplastiche riconoscono numerose differenze comportamentali, ormonali e molecolari. Le principali differenze comportamentali tra i due sessi storicamente riguardano la diversa abitudine al fumo (per i tumori polmonari, orofaringei e vescicali) e all’alcolismo (per i tumori epatici, gastrici e della testa-collo) e l’esposizione occupazionale (per i tumori delle vie aeree, della vescica e per il mesotelioma). I cambiamenti comportamentali nello stile di vita delle donne nelle ultime decadi giustificano le variazioni di incidenza e mortalità osservati nelle neoplasie femminili sia in senso protettivo (riduzione dell’incidenza e della mortalità per neoplasie mammarie, della cervice uterina, e del colon-retto grazie alla maggiore diffusione tra le donne delle metodiche di screening) che in senso peggiorativo (incremento di incidenza e mortalità per neoplasie del polmone e oro-farin­gee come conseguenza della diffusione del tabagismo femminile)».

 

Si possono ravvisare altri elementi che distinguono il decorso clinico di alcune patologie nei due sessi?

«Oltre alle differenze genetiche, non si può escludere che fattori ormonali legati alle specificità di genere possano determinare una maggiore vulnerabilità del sesso femminile agli effetti carcinogenetici del fumo di sigaretta e allo sviluppo del tumore polmonare: in particolare la menopausa tardiva e/o la terapia estrogenica sostitutiva sembrerebbero aumentare il rischio neoplastico nelle donne che fumano, suggerendo un ruolo degli ormoni femminili nel modulare la suscettibilità ai carcinogeni del tabacco. Nel carcinoma del colon, invece, è stato dimostrato che nelle donne sarebbero maggiormente rappresentati specifici polimorfismi della N-acetiltransferasi di tipo 2, che probabilmente esercitano un ruolo protettivo».

 

Vi sono differenze anche nella distribuzione di un farmaco nell’organismo o nel suo utilizzo?

«Quando prescriviamo ad una donna un farmaco disponibile in commercio, dobbiamo avere ben presente che il percorso della molecola da cui ci aspettiamo un effetto medicinale è diverso nei due sessi e ciò in ragione non solo del peso corporeo ma di tutte quelle caratteristiche proprie del genere, cosa che il più delle volte viene ignorata o minimizzata dal curante, e purtroppo non sempre è espressa in termini chiari nel foglietto illustrativo del prodotto. Le donne consumano più farmaci degli uomini e, data la difficoltà a calibrare i dosaggi a causa delle varianti suddette, spesso non si raggiungono gli effetti terapeutici voluti, si manifestano reazioni avverse e si verifica frequentemente l’abbandono parziale o totale delle cure prescritte. In questo momento storico in cui si tende sempre più alla personalizzazione delle terapie, il non tenere presente questi elementi essenziali di medicina di genere costituisce un grave elemento di svantaggio e d’incuria al femminile. Nel programmare uno schema terapeutico ad una donna è imperativo tenere a mente che il transito gastrointestinale è più lungo rispetto all’uomo, che la composizione degli acidi biliari e i livelli di alcuni enzimi sono differenti, che nei tessuti dell’uomo prevale una maggiore percentuale di acqua e nella donna di grassi, che il flusso ematico verso i muscoli è maggiore nell’uomo mentre nella donna è maggiore verso il tessuto adiposo, che le proteine di trasporto hanno una minore concentrazione nella donna mentre è più alta l’attività enzimatica detossificante della famiglia dei citocromi, e che nell’uomo sono più alti i livelli del metabolismo basale ed è più efficiente la funzione renale».

 

Trattandosi di una nuova area specialistica, la corretta consapevolezza della medicina di genere è entrata nei programmi di studio e nell’offerta formativa delle università e quindi nelle strutture ospedaliere?

«Troppe volte il medico-uomo, in un passato anche recente, non si sottraeva alla consolidata opinione che buona parte dei malanni lamentati da un soggetto-donna doveva essere di origine misteriosa, meglio definita come “psicosomatica”, e quindi poco credibile. Numerosi sono gli esempi di malattie gravi che il medico non considerava tali sin dal momento della raccolta dei dati anamnestici e clinici e spesso a causa delle modalità con cui la donna stessa narrava i sintomi delle sue sofferenze, con il risultato di indurre il curante a proporre programmi terapeutici inadeguati. Oggi le Facoltà di Medicina, soprattutto nelle scuole di specializzazione, pongono particolare attenzione a queste differenze di genere. In molti Paesi stranieri da tempo esistono centri ospedalieri unicamente riservati alle donne, le Kvinnokliniken in Scandinavia, le Women’s Hospitals negli Usa, in Canada e Gran Bretagna, le Frauenklinik in Germania, che si dedicano esclusivamente alla diagnosi e alla cura delle patologie della donna nelle sue diverse età, tenendo anche conto delle influenze del contesto psico-sociale e affettivo in cui la donna vive. Oggi finalmente anche nel nostro Paese si fa strada la necessità di adeguare i programmi formativi e quindi di strutturare gli ambienti ospedalieri e impiegare personale qualificato, in gran parte femminile, in funzione delle esigenze assistenziali e curative delle donne rispetto agli uomini».        

 

 

 

 

OCMS: UN ALTRO ANNO AL VOSTRO SERVIZIO

 

Sono trascorsi ormai due anni dalla data in cui mi è stato conferito il mandato di Presidente dell’Organismo Consultivo Medico Scientifico dell’Arma dei Carabinieri (Ocms) dal Comandante Generale Tullio Del Sette. L’Organismo è stato attivato su Sua specifica richiesta, in seno all’Ufficio per l’Assistenza e il Benessere del Personale dell’Arma, per garantire a tutti i Carabinieri in servizio e in congedo nonché ai rispettivi familiari la possibilità di avere, nel momento del bisogno, la consulenza gratuita di uno specialista di chiara fama.

Il mio mandato, così come quello di tutti i componenti dell’Ocms, è stato di recente rinnovato per un ulteriore anno; inoltre, per soddisfare appieno le innumerevoli richieste che costantemente pervengono, si è deciso di implementare i membri con la presenza di ulteriori onorati professionisti. Attualmente, l’Ocms, quindi, si avvale della preziosa collaborazione di 19 medici di alta professionalità e prestigio, da me coordinati, cosa di cui mi sono occupato sin dall’epoca in cui ricoprivo l’incarico di Direttore di Sanità dell’Arma, che ho retto per un lunghissimo periodo. Negli ultimi due anni e per tutto il prossimo, il mio compito è stato e sarà quello di analizzare le richieste pervenute, indirizzarle allo specialista di riferimento, fornire una risposta concreta con la competenza, l’umanità e la semplicità che ogni paziente dovrebbe avere in un momento così delicato della propria vita e che sovente non riscontra nei tecnicismi comunemente usati da gran parte dei medici. Gli specialisti ad oggi impegnati in questa “missione” consentono di affrontare problematiche sanitarie inerenti a discipline come Neurologia e Ginecologia; Cardiochirurgia e Ortopedia; Anestesia e Rianimazione; e ancora Terapia del dolore, Diabetologia, Oncologia, Geriatria, Neurochirurgia, Radiologia, Chirurgia toracica, Urologia, Dermatologia, Malattie infettive, Pneumologia, Malattie dell’apparato cardiovascolare, Scienze della Nutrizione clinica, Gastroenterologia e Chirurgia dell’apparato digerente.

Dal mese di ottobre 2016, inoltre, è iniziata la pubblicazione sulle pagine di questa Rivista di una rubrica mensile che, con brevi interviste a un “medico specialista” del suddetto Organismo, si prefigge il compito di fugare dubbi o risolvere problematiche attinenti tematiche sanitarie di interesse comune, usando una terminologia “comprensibile” e, soprattutto, assicurando il necessario supporto psicologico che tanto aiuta con determinate patologie. Speriamo con il nuovo anno di continuare a fornirvi ulteriori consigli e informazioni che possano essere utili per tutelare la vostra salute.

Generale C.A. (ris.) Domenico Ribatti

 

 

 

 

IL PRESIDENTE DELL’OCMS

 

Nato ad Andria (Bari) nel 1949, il Generale C.A. Domenico Ribatti si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Firenze, per poi specializzarsi in Patologia Generale, Medicina e Chirurgia, Medicina Interna, Igiene e Sanità pubblica e Medicina Legale. Già Dirigente di Servizio Sanitario al 48° Battaglione di Fanteria “Ferrara”, presso l’Ospedale Militare di Bari ha ricoperto i ruoli di Assistente Reparto Medicina, Membro del Collegio Medico Interno, Assistente Reparto Infettivi, Capo Reparto Medicina, Capo Reparto Osservazione, Capo Ufficio Segreteria e Personale, Capo dei Servizi Sanitari, Presidente Commissione Medico Ospedaliera. È stato quindi Direttore dell’Ospedale Militare di Medicina Legale di Perugia e della Divisione di Medicina Legale e Psichiatrica della Direzione Generale della Sanità Militare del Ministero della Difesa. Tra gli incarichi ricoperti all’Interno dell’Arma, si annoverano quello di Direttore di Sanità del Comando Generale, di Presidente dell’Organismo Centrale del Servizio di Psicologia Medica, di Presidente della Commissione Medica di Appello, di Presidente Delegato dell’Ocms. È stato inoltre Componente del Comitato di verifica per le cause di servizio e della Commissione Centrale Permanente per il conferimento di ricompense ai “benemeriti della salute pubblica” e “al merito della sanità pubblica”, oltre che del Comitato Scientifico della rivista Giornale di Medicina Militare. Consulente Tecnico d’Ufficio presso il Tribunale Civile di Roma, il Generale Ribatti è stato infine Docente al Corso di infezione da Hiv per Dirigenti dei Servizi Sanitari dei Reparti dell’Arma, patrocinato dal Ministero della Salute, e Professore a contratto presso la Scuola di Specializzazione in Medicina Legale dell’Università di Roma “Tor Vergata”. Insignito di numerose onorificenze e benemerenze, ha infine costituito un servizio di supporto psicologico con finalità di prevenzione e assistenza in grado di agevolare il mantenimento dell’efficienza psicofisica dei Carabinieri e di erogare un servizio di sostegno psicologico anche ai familiari dei militari.


di  Domenico Ribatti