UNA STANZA TUTTA PER MICHELANGELO
A veva tempo per riflettere, l’autore della Cappella Sistina, in quei tre mesi del 1530 in cui visse nascosto in una stanza segreta sotto le Cappelle Medicee di Firenze per sfuggire alla vendetta dei Signori, finiti in esilio dopo il suo tradimento in favore dei ribelli che avevano finito per spodestarli. Aveva tempo per riflettere e soprattutto per disegnare; schizzi e bozzetti tratteggiati a carboncino direttamente sulle mura di quel “loculo” di sette metri per due con una sola finestra verso l’esterno e una botola che si apre sul pavimento della Basilica di San Lorenzo; riedizioni della Leda, rivisitazioni del David, ma anche particolari del Giudizio Universale e persino quello che alcuni studiosi hanno identificato come un autoritratto dell’artista. Un tesoro inestimabile, insomma, quello che la direttrice del Museo del Bargello Paola D’Agostino ha deciso finalmente di aprire al pubblico, dopo anni in cui è stato messo a disposizione dei soli studiosi. L’appuntamento è fissato per il 2020.
L’ENFANT PRODIGE DEL GHETTO
A veva solo nove anni, Samuel Bak, quando espose per la prima volta le sue opere nel Ghetto di Vilnius, la città lituana dove era nato nel 1933 e la cui comunità ebraica fu letteralmente cancellata dalla Shoah. Settantacinque anni dopo, la stessa capitale ha scelto di dedicare una mostra permanente alle sue opere. Sessanta capolavori nei quali l’enfant prodige del Ghetto racconta l’abisso dell’Olocausto attraverso immagini che non gridano l’orrore, ma lo evocano con fin troppo eloquenti allegorie. Uno sguardo che non ha mai perso lo smarrimento di quel bambino che, proprio nei giorni in cui cominciava a manifestare il suo precoce talento, vide il suo mondo crollare insieme alla sua famiglia sterminata dai nazisti. A salvarsi furono solo lui e sua madre, scampati grazie all’aiuto di una suora che li nascose nel suo convento.
COMBATTERE LA VIOLENZA IN IRAQ
L a violenza nei confronti delle donne si combatte anche attraverso la formazione delle agenti di polizia femminile. È questo il principio affermato dalla Maggiore Anna Patrono nel discorso pronunciato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu il 25 novembre scorso, in occasione della Giornata internazionale dedicata, appunto, alla lotta contro la violenza di genere. Un principio valido per le società occidentali, dove la parità dei diritti è un traguardo ormai formalmente acquisito, e ancor più in quei Paesi dove le donne stanno ancora compiendo un lungo e faticoso cammino di emancipazione. Lo sa bene proprio la Maggiore Patrono, che insieme ad altre ufficiali dell’Arma ha tenuto a Baghdad il corso Female Mobile Training, organizzato nell’ambito della missione internazionale Operation Inherent Resolve Prima Parthica. Obiettivo: trasferire alle partecipanti, trentatré agenti della Polizia irachena, le competenze italiane in materia, analizzare il ruolo della donna nella società irachena e approfondire le tematiche relative al rispetto dei diritti umani. E i risultati non si sono fatti attendere: «La maggiore efficienza e integrazione delle agenti da noi formate», ha rilevato Anna Patrono, «è confermata dal successo nel loro impiego per stabilizzare le aree liberate dall’Isis, specialmente a livello locale».
UNA NUOVA “GAZZELLA” IN CITTÀ
Sarà impiegata sulle strade della Capitale, per i servizi di controllo del territorio ma anche per interventi speciali come il trasporto di organi e sangue e i servizi di scorta in occasione di cerimonie istituzionali, la nuova Peugeot 308 Gti concessa in comodato d’uso gratuito all’Arma dei Carabinieri. Dotata di un motore a 272 cv, di freni anteriori a disco Alcon da 380 mm e di un differenziale autobloccante meccanico Torsen a slittamento limitato, la vettura, con il suo design raffinato e la sua livrea dai colori istituzionali, è stata presentata lo scorso 15 dicembre presso il Parco del Comando Generale dell’Arma, alla presenza del Comandante Generale. Con il Generale Del Sette sono intervenuti il Direttore generale del Gruppo Psa Italia, Dottor Massimo Roserba, e il Direttore del Brand Peugeot in Italia, Salvatore Internullo, oltre ai Vertici dello Stato Maggiore dei Carabinieri.
ALLA POSTA CI PENSA YAPE
L a sua prima consegna il postino Yape l’ha effettuata a Cremona, “monitorato” dagli agenti della Polizia Municipale e dai tecnici del Polo per l’Innovazione Digitale. Un evento storico, se si pensa che Yape non è un pony express come tanti altri, ma un robottino dal design accattivante che, realizzato dall’azienda eNovia, “minaccia” di rivoluzionare il sistema di delivery in molte delle nostre città. Grazie a due ruote sospinte da motori elettrici, a sensori in grado di evitare ogni ostacolo, a una capacità di carico di 70 chili e un’autonomia di 80 km. E voi, gli affidereste la vostra corrispondenza?
IL ROBOT CHE SI CREDE AMLETO
Interroga un teschio fatto della sua stessa materia, l’Amleto di silicio ritratto nell’immagine vincitrice del concorso fotografico internazionale dedicato ai robot umanoidi, intitolato appunto Best Humanoid Photo. Il soggetto immortalato da Pedro Vicente del Vislab di Lisbona è iCub, il robot bambino frutto dell’italico ingegno, così come è italiano il robot Fabian, protagonista dello scatto giudicato dalla giuria più divertente. Il concorso è stato organizzato dalla conferenza internazionale “Humanoids 2017” svoltasi di recente in Gran Bretagna, a Birmingham.
Sulle tracce dello Yeti
Crolla il mito dell’Abominevole Uomo delle Nevi, la creatura plasmata dalla fantasia delle popolazioni himalayane. I frammenti di Dna mitocondriale estratto da alcuni reperti tradizionalmente attribuiti allo Yeti non lasciano adito a dubbi, secondo il gruppo internazionale di ricerca che li ha analizzati sotto la guida della biologa Charlotte Lindqvist (Università di Buffalo, Stati Uniti): quelle tracce organiche sono riconducibili ad almeno quattro sottospecie di plantigradi che vivono sul tetto del mondo, dall’orso bruno himalayano a quello euroasiatico, fino all’orso azzurro tibetano.
LA CAPSULA DEL TEMPO
C ampioni di Dna umano e animale, api imprigionate nella resina e ceneri di vulcani islandesi, e ancora chip, accelerometri, telefonini e carte di credito: c’è questo e molto altro nella “capsula del tempo”, un cilindro d’acciaio di sessanta centimetri sepolto in un’isola del Polo Nord dai ricercatori della base polare artica polacca per festeggiare i suoi sessant’anni di attività. Un “messaggio in bottiglia” in grado di offrire agli uomini di domani (ci vorranno mezzo milione di anni perché l’erosione possa riportarlo in superficie) una fotografia accurata del mondo come lo conosciamo oggi.