Il fenomeno del trafficking e la prostituzione delle donne emigranti

Emily Giovazzino 


Emily Giovazzino

Laureata in Scienze Politiche





1. Introduzione

Recenti dati mostrano come, nelle nazioni più prospere e caratterizzate da un elevato tenore di vita, si nasconda una realtà parallela, una dimensione inquietante che coinvolge molte persone, in prevalenza giovani donne straniere, costellata da feroci violenze ed insostenibili soprusi. Questa descrizione riassume sommariamente l’esistenza di migliaia di immigrate che, lasciati i loro paesi di origine, nella prospettiva di ottenere una vita economicamente più agiata, trasferendosi in nazioni più “prospere”, vengono brutalmente costrette, da organizzazioni criminali senza scrupoli, ad entrare nel giro della prostituzione. Solo in Italia, si contano oggi più di 70.000 donne dedite alla prostituzione, di cui più della metà sono straniere. Il fenomeno, che consiste nel trasporto illegale di persone da un Paese ad un altro, assieme allo sfruttamento di queste stesse, immesse forzosamente sul mercato della prostituzione o del lavoro forzato, prende il nome di trafficking. Questo fenomeno, fortemente ostacolato sia dal sistema italiano sia da quello internazionale, ha avuto come riscontro la stipulazione di numerosi accordi e convenzioni multilaterali, finalizzati non soltanto ad individuare mezzi legali e punitivi maggiormente repressivi per i trafficanti, ma anche sistemi e piani d’azione socio-assistenziali volti al recupero e al reinserimento delle ragazze vittime della tratta.
Tra le straniere dedite al sex work, presenti sul territorio italiano, possono distinguersi due grandi gruppi: il primo composto da ragazze provenienti dai Paesi dell’Est europeo, supportato da organizzazioni criminali prevalentemente albanesi e rumene; il secondo, comprensivo di giovani donne africane, provenienti soprattutto dalla Nigeria. La maggior parte delle trafficate, provenienti dall’Albania e dai Paesi dell’ex blocco orientale, è spesso ingannata dagli esponenti dell’organizzazione o addirittura rapita e trasportata nei territori in cui più imponente è la domanda nell’ambito del sex work.
Giunte a destinazione, le trafficate vengono brutalmente seviziate e costrette alla vendita del proprio corpo. Il fattore della violenza fisica diviene meno evidente nel rapporto tra organizzazioni criminali nigeriane e proprie trafficate. Qui, ciò che lega le ragazze all’organizzazione è un ricatto psicologico: la minaccia, perpetrata da particolari fattucchiere, le cosiddette “maman”, a loro volta membri del gruppo criminale, di indirizzare gli effetti di “nefasti” riti woodu verso coloro che abbiano, prima del tempo, reciso i rapporti con i trafficanti senza estinguere l’esosa somma di danaro, concordata per il trasporto clandestino. Le nigeriane individuano nella prostituzione, la soluzione migliore per guadagnare molto denaro in pochissimo tempo, in modo da riuscire a riscattare, il più presto possibile, la loro libertà. Tuttavia, il termine “prostituzione volontaria”, sarebbe in questo caso usato in modo improprio: nessuna delle donne emigranti sceglierebbe questo “mestiere” con assoluta convinzione e liberamente. Anche un’apparente scelta “volontaria” del sex work si nasconde dietro la necessità di riavere, prima possibile, la propria libertà, recidere i rapporti con l’organizzazione e gettare le basi per la costruzione di una nuova vita.
La totale repressione del trafficking non sarà purtroppo possibile, almeno finché la domanda dei “clienti” continuerà ad assumere un andamento in continua crescita, al pari di quello attuale. È possibile però cercare di contrastare il problema della prostituzione di strada ed offrire alle vittime un incentivo per rinnegare la loro condizione, denunciando i propri aguzzini e riappropriandosi della loro personalità, annichilita ed annullata dalle brutali violenze subite. È l’ordinamento che, in armonia con il ruolo di associazioni socio-assistenziali, deve garantire il pieno reinserimento delle ragazze nella società, in modo tale che le stesse possano riappropriarsi della loro vita, realizzando le proprie aspettative interrotte brutalmente al termine del “viaggio della speranza”. Infine è fondamentale la divulgazione di una fitta campagna informativa, al fine di prevenire il fenomeno, infondendo nelle ragazze le giuste conoscenze per sottrarsi all’inganno ed ai raggiri di criminali senza scrupoli.


2. Il mercato del sesso in Italia

La prostituzione e lo sfruttamento sessuale sono gli aspetti di un fenomeno dilagante, in continua crescita, che coinvolge principalmente donne e minori, persone comuni che, tentando di fuggire dalle loro difficili realtà esistenziali, sono spesso vittime di situazioni disumane ed aberranti, dove la speranza di realizzare i propri sogni si infrange contro l’inesorabile muro di violenza che le assoggetta al terribile giogo della schiavitù.
Il termine trafficking, coniato dall’interesse internazionale per il fenomeno, che la parola stessa contraddistingue, indica, purtroppo non abbastanza esaurientemente, i tratti essenziali di un’attività criminosa, che consta essenzialmente di tre momenti:
- il primo riguarda lo “sradicamento” dal paese di provenienza delle straniere trafficate. Queste possono arrivare nelle mani delle organizzazioni criminali, raggirate con l’illusione di altri lavori, di un matrimonio conveniente, in relazione alla restituzione di un prestito, minacciate di violenza verso i propri familiari, ma persino vendute dalla famiglia o raggirate con l’illusione di superare più facilmente gli ostacoli spesso non solo economici, ma anche burocratici, che si oppongono ai loro progetti migratori;
- il secondo riguarda le modalità di trasferimento che può avvenire per via mare o via terra. È possibile che la vittima sia sottoposta a minaccia, oppure sia consenziente, perché ingannata; tuttavia, all’arrivo in Italia le trafficate sono nella maggior parte dei casi sottoposte a violenza fisica ed a stupro;
- il terzo è relativo allo scopo finale. Le trafficate sono utilizzate in prestazioni ad alto profitto come la prostituzione, il lavoro forzato e la schiavitù domestica.
I limiti del termine trafficking sono ravvisabili nel fatto che la parola stessa non includa, nel suo significato intrinseco, un’ulteriore ipotesi, attraverso cui viene esercitata la costrizione fisica e la schiavitù nei confronti delle straniere: queste ultime non devono, infatti, essere necessariamente trasportate in modo clandestino nel Paese di destinazione, anzi è possibile che qui giungano in modo autonomo e legale, ma che poi, per via di raggiri ed inganni, vengano successivamente a cadere nella rete criminale che, attraverso violenze, minacce ed efferatezze, provveda alla confisca di tutti i documenti personali, attestanti la loro legittima presenza nel territorio.
A prescindere, però, dal fatto che sussistano varie forme di criminalità organizzata, alcune portate ad occuparsi del trasporto clandestino delle straniere, altre finalizzate a circuirle e raggirarle una volta che le stesse siano pervenute, anche legalmente, sul territorio nazionale, un dato unitario è sicuramente la continua crescita di un fenomeno, sempre più dilagante e che coinvolge l’intera comunità internazionale, fortemente lesivo dei diritti e della dignità umana: lo sfruttamento della prostituzione. Può affermarsi che il fenomeno della prostituzione e della “tratta di straniere”, siano incrementati dall’influenza di un importante fattore dai molteplici risvolti.
In primis va evidenziato il forte mutamento economico che interessa il pianeta e che dà vita a vere e proprie clivages, fratture sempre maggiori che si snodano in lungo e in largo su tutta la sua superficie, segnando profonde disuguaglianze tra le varie aree della terra. Questo scenario mette in risalto la perpetua contrapposizione tra il Nord del pianeta, economicamente più prospero, ed il Sud, depauperato delle risorse tali da garantire ai propri abitanti un tenore di vita quantomeno sussistenziale. Queste disuguaglianze economiche si ripresentano in modo preponderante anche in ambito europeo e non fanno altro che rispecchiare, la situazione socio-economica, caratteristica dell’intero sistema, ovvero la netta contrapposizione tra due ambiti territoriali ben differenti: l’Ovest e l’Est del vecchio continente; il primo più prospero ed avvantaggiato, il secondo più povero ed arretrato.
La differente condizione economica che favorisce l’acuirsi di profonde differenze nel modus vivendi dei Paesi interessati si configura anche come la causa primaria del traffico di esseri umani, mosso dalle regioni più sfavorite verso quelle più prospere che focalizzano principalmente i loro epicentri nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti, con poche altre destinazioni. Il trafficking si identifica, quindi, come il punto di raccordo di due diverse tendenze: da un lato la sempre crescente domanda da parte dei paesi “economicamente privilegiati” di giovani donne straniere, considerate alla stregua di “merce”, veri e propri oggetti, finalizzati al soddisfacimento di bramosie sessuali; dall’altro, il desiderio di queste ultime di abbandonare i propri Paesi di origine e la loro condizione, spesso corredata di stenti ed indigenza, per abbracciare il “sogno occidentale”, ovvero la speranza di insediarsi in uno dei Paesi economicamente avanzati, auspicando così un’esistenza più agiata.
In questo triste scenario, dove i sogni e le speranze di giovani donne vanno, loro malgrado, a tramutarsi nei principali fattori di incremento delle dimensioni del mercato del sesso a pagamento, ha acquisito uno spiacevole ruolo di protagonista anche l’Italia che, negli anni ’70-’80, è entrata a far parte dei Paesi, meta di ingenti flussi migratori legali ed illegali. Attualmente l’Italia, si configura, infatti, come un Paese di transito e di arrivo, dove particolarmente rilevante è la richiesta dei clienti del mercato del sesso pronto. Il fenomeno delle ragazze trafficate si sviluppò, in Italia, intorno alla metà degli anni ’80 quando, di fronte all’allarme Aids, le ragazze italiane tossicodipendenti non furono più considerate oggetti sessuali appetibili, soprattutto a causa delle numerose campagne informative avviate sui mass-media. Da ciò, si registrò un forte crollo del mercato interno della prostituzione e chi lo controllava intuì la necessità di orientare l’offerta su qualcosa di nuovo e di diverso rispetto al passato.
Iniziarono così ad apparire sulle strade, prevalentemente del Centro Nord, le prime ragazze nigeriane, spesso molto giovani, per rispondere al pregiudizio che la giovinezza rendesse impossibile il contagio Hiv.
Tuttavia, ben presto il fenomeno della “tratta” delle straniere subì un incremento esponenziale, coinvolgendo un numero sempre crescente di donne, provenienti non solo dall’Africa, ma anche dall’Est Europa e da tutti i Paesi “economicamente sfavoriti”. In Italia, come nel resto d’Europa, il vero e proprio boom del fenomeno si registrò intorno agli anni ’90, quando il trafficking assunse dimensioni decisamente drammatiche; proprio allora nacquero reti criminali fortemente ramificate e specializzate nello gestire il trasferimento delle popolazioni in fuga dai paesi dell’ex blocco orientale.
Indubbiamente la caduta del Muro di Berlino ha rappresentato e continua tutt’oggi a rappresentare per i trafficanti e i manager del mercato del sesso un’occasione irripetibile: la possibilità, quasi senza limiti, di offrire sul mercato, a clienti sempre più numerosi ed esigenti, innumerevoli giovani donne.
Si tratta quasi sempre di ragazze in condizioni di gravissima difficoltà economica, spesso con concezioni svalorizzanti delle figure femminili alle spalle, fortemente attratte dal benessere e dalla libertà che l’occidente, l’Italia in primis, sembra offrire alle donne. Il fenomeno del trafficking risulta quindi essere gestito da organizzazioni criminali composte da gente senza scrupoli che tiene in scarsa considerazione la “merce umana” trattata, se non per il profitto immediato, ottenutone dallo sfruttamento sessuale. L’obbiettivo primario di questa rete criminale è la massimizzazione del lucro e del profitto. Le trafficate vengono così “iniziate” alla prostituzione di strada, il sistema più fruttuoso ed a basso rischio, tale da permettere la conciliazione di più esigenze: da un lato quella dei delinquenti di non dover sopportare ulteriori tipologie di “investimento”, dall’altro, quella dei clienti di vedere di volta in volta soddisfatta la propria domanda, sempre attiva ed in continua crescita. A questo punto è opportuno evidenziare come l’intero sistema criminale che gestisce il traffico di straniere risulti articolato su tre differenti livelli, tra i quali intercorrono svariate relazioni di interdipendenza e complementarità:
-  il primo livello è rappresentato dalle organizzazioni con base etnica-nazionale che pianificano e gestiscono il trasferimento delle vittime dal paese d’origine a quello di destinazione;
-  il secondo livello è costituito dalle organizzazioni criminali dei paesi di transito o di frontiera con i paesi di destinazione, le quali assicurano il trasporto, l’alloggio transitorio e l’ingresso clandestino degli immigrati;
-  infine, ad un livello più basso, ci sono organizzazioni criminali minori che agiscono a favore dei gruppi di livello superiore nelle attività di reclutamento, trasporto, ingresso delle vittime.
Si assiste quindi, al graduale radicamento di un sistema di sfruttamento transnazionale, nel quale gli attori principali, provenienti da differenti paesi, operano contemporaneamente in differenti attività illecite, utilizzando il loro knowhow criminale, nonché ingenti risorse e rotte impiegate per altri traffici. Per quanto riguarda la nazionalità delle trafficate, questa risulta essere estremamente eterogenea, anche perché, attualmente, il fenomeno del trafficking coinvolge la totalità dei continenti e dei territori economicamente più svantaggiati. In questo traffico, dai tratti eterogenei e multietnici, possono individuarsi due principali aree territoriali da cui proviene la maggior parte delle giovani donne, avviate alla prostituzione di strada nel nostro Paese. Una buona parte di esse proviene dai territori dell’ex blocco orientale, in particolar modo dalla ex Jugoslavia e dall’Albania, e dall’Africa occidentale, prevalentemente dalla Nigeria.
Anche le organizzazioni criminali che gestiscono questi massicci traffici presentano caratteristiche dissimili e, seppure in ogni caso lo scettro del potere sia esercitato sulle trafficate attraverso svariate forme di violenza, queste ultime assumono molteplici aspetti, potendo infierire maggiormente sul lato fisico delle vittime, piuttosto che su quello psicologico e viceversa. Ad esempio, le organizzazioni criminali di origine albanese che gestiscono il traffico di ragazze provenienti dai Paesi dell’Est europeo sono composte prevalentemente da uomini, ed una delle caratteristiche che le contraddistingue, è proprio la brutalità fisica e le sevizie a cui sottopongono le proprie vittime.
Differente è invece la struttura delle organizzazioni criminali nigeriane, la cui composizione è a carattere promiscuo e il cui agire è finalizzato a strumentalizzare le proprie vittime, servendosi di minacce e ricatti, mossi su un piano prevalentemente psicologico. Gli aguzzini, stavolta impersonati da figure carismatiche femminili, le cosiddette maman, minacciando di ricorrere a magia nera e riti ancestrali, più propriamente definiti come riti woodu, o più specificamente ju ju, riescono a tenere psicologicamente legate a sé le ragazze che, altrimenti, allontanandosi, sarebbero, al dire delle fattucchiere, soggette insieme alle loro famiglie all’incombenza di tremende e nefaste sciagure.
A questo punto si apre un dibattito sulla possibilità che le ragazze straniere, una volta giunte clandestinamente in Italia, siano costrette a prostituirsi, oppure scelgano volontariamente di intraprendere questa strada.
È necessario quindi effettuare un’ulteriore differenziazione tra le ragazze vittime della tratta. Per quanto riguarda le giovani donne provenienti dai paesi dell’Est, alcune di esse sono spinte a lasciare le nazioni di origine a causa delle gravi necessità economiche e dal bisogno di fuggire o quanto meno dare sollievo alla propria miseria familiare, allettate dai raggiri e dalle false promesse dei futuri aguzzini, spesso insospettabili amici, conoscenti o compagni, che prospettano per ciascuna di esse un inserimento occupazionale stabile e “pulito”, una volta giunte a destinazione.
Spesso, però, il bagaglio di sogni che spinge queste ragazze ad intraprendere viaggi massacranti, ristorate dal solo desiderio di una vita migliore, viene completamente distrutto dalla dura realtà dei fatti: una volta arrivate a destinazione vengono assoggettate alle più brutali forme di violenza; ogni tentativo di ribellarsi diviene nullo, di fronte alle continue percosse ed allo stupro degli aguzzini. Il massacro fisico si ripercuote inevitabilmente sulla psiche delle “schiave”, svuotate della propria volontà, deprivate dei loro sentimenti, ridotte insomma a “merce umana”, commerciata, venduta, sfruttata e soprattutto gettata sulla strada, alla stregua di oggetto, usato per il soddisfacimento di bramosie e desideri sessuali.
Ogni tentativo di fuga, poiché molto spesso isolato e condotto senza un valido aiuto, apportato ad esempio dal ruolo delle forze dell’ordine o da associazioni a carattere socio-assistenziale, sfocia in fallimento ed è accompagnato da atroci ritorsioni da parte degli aguzzini; punizioni talmente brutali e violente da portare la vittima persino alla morte.
La situazione diventa ancora più straziante per quelle ragazze, spesso minorenni, rapite o addirittura vendute dalla propria famiglia alle organizzazioni criminali, che subiscono un forzoso distacco dalla loro realtà, dai loro affetti, per essere immesse in una dimensione totalmente nuova, gremita di soprusi e violenza. Molto spesso viene a mancare persino la voglia di fuggire sia per le sanzioni che le ragazze, una volta intercettate e riprese dai delinquenti, sarebbero costrette a sopportare, sia perché la vita imposta si presenta talmente degradante ed infamante da non lasciare intravedere alcuna prospettiva di miglioramento per il futuro. La paura, l’orrore, la vergogna della propria vita contribuiscono ad annichilire la personalità delle “schiave”, che si chiude a riccio sulle speranze ed i buoni propositi inizialmente posseduti, per far posto ad una nuova esistenza imperniata sul vittimismo e sulla dolorosa rassegnazione. A tale proposito, è essenziale citare la testimonianza di Branka, una ragazza Croata, sfuggita ai suoi aguzzini che la costringevano a prostituirsi. Branka racconta che le donne del suo paese vengono attirate in Italia a volte con l’inganno, altre consapevolmente. Sta di fatto che a spingerle sono il lusso e la bella vita. Vedono arrivare nei loro paesi uomini italiani con belle macchine, bei vestiti e tutto il resto, che le incontrano senza fare loro capire che è tutto già programmato. L’incontro deve sembrare casuale “Tu mi piaci, voglio conoscerti”. Ti fanno stare bene, a tuo agio, e poi ti propongono di partire con loro verso l’Italia; puoi avere tutto quello che hai sempre voluto, fare una bella vita, e allora parti. Tutto comincia così. La ragazza aggiunge inoltre: “arrivi in Italia, e lui ti fa capire che per avere belle cose devi darti da fare. Per invogliarti ti compra vestiti firmati, ti fa frequentare bei ristoranti, ecc... e alle volte ti racconta anche che è per avere un futuro assieme che devi cercare di collaborare; tu sei già presa di lui, ti ha dato tanto in così poco tempo, sarà gratitudine, affetto, amore e così ti dici che per lui, per te stessa e per non tornare ai disagi ed alla povertà di prima, puoi fare certamente quello che ti chiede. Lui naturalmente ha la sua vita, alle volte anche una famiglia, ma tu questo non lo sai. Non tutte però sono sprovvedute, ci sono quelle che sanno da subito cosa succede, ma va bene così per avere il benessere, perché no? E ci sono quelle che ci arrivano con il tempo, imparando la lingua capiscono che le promesse fatte all’inizio, di una vita assieme, rimarranno un sogno, diventano gelose, si ribellano, ma in risposta ricevono botte...”.
La situazione cambia nel momento in cui il traffico è esercitato da organizzazioni criminali nigeriane. Mentre quelle slave, infatti, considerano le ragazze come “proprietà personale”, merce preziosa da commerciare e da sfruttare per ottenere il massimo guadagno, ed instaurano con esse un rapporto perpetuo, che non lascia intravedere alcuna possibilità di affrancamento, i gruppi criminali nigeriani, al contrario, riservano questa opzione alle proprie trafficate dietro pagamento di un congruo riscatto. Le ragazze nigeriane, a differenza di quelle dell’Est Europa, scelgono quasi sempre di recarsi volontariamente nei paesi occidentali, attirate dall’alto tenore di vita e dalla prosperità che li caratterizza.
Dunque, le trafficate si rivolgono di loro spontanea volontà alle organizzazioni criminali che, però, approfittando della loro scarsa conoscenza delle valute occidentali e del grande desiderio di emigrare, stabiliscono cifre astronomiche come compenso per il trasporto. Dal canto loro, le ragazze non avendo assolutamente idea del costo del danaro nei Paesi occidentali (la cifra richiesta si aggira intorno ai 50.000-60.000 euro e più), accettano la proposta di buon grado, ma poi, arrivate a destinazione si trovano a dover estinguere un debito abnorme. Qui ogni tentativo di fuga o di ribellione verso i criminali risulta addirittura impensabile, a causa della minaccia psicologica che vincola le trafficate fino alla totale estinzione del debito.
L’esercizio della stregoneria, posta alla base delle credenze popolari africane, condiziona così tanto le ragazze da far loro temere disastrose ripercussioni, richiamate attraverso il “malocchio” per se stesse e le proprie famiglie, nel momento in cui dovessero venir meno all’accordo stipulato con l’organizzazione.
Prima il debito viene estinto, prima le ragazze saranno libere di intraprendere la propria strada; quindi per rimborsare all’organizzazione il più velocemente possibile il costo del viaggio, le trafficate scelgono spontaneamente di intraprendere l’attività più lucrosa ed immediatamente praticabile: la prostituzione di strada. Sarebbe infatti impensabile per una straniera, spesso analfabeta e scarsamente edotta sulla lingua italiana, trovare in pochissimo tempo un posto di lavoro “pulito”, tale da consentirle la percezione di lauti guadagni, paragonabili a quelli che, invece, le assicurerebbe la pratica del sex work.
La vendita del proprio corpo è, quindi, vista dalle ragazze nigeriane come un’attività transitoria, svolta in attesa di realizzare le proprie ambizioni future (nella maggior parte dei casi l’apertura di un’attività commerciale propria), un mezzo per estinguere nel più breve tempo possibile l’esoso debito con l’organizzazione e riacquistare velocemente la tanto sospirata libertà.
A sostegno di questa tesi “volontaristica”, che vede le ragazze nigeriane intraprendere il sex work  non tanto per costrizione, ma per una libera scelta, seppur spinta dalla necessità e dall’impellenza di estinguere velocemente il debito contratto con l’organizzazione, ostacolo maggiore, contrapposto tra se stesse e la libertà, è riportata la testimonianza di Caro e Lisi, due ex prostitute nigeriane. Le ragazze cominciano con l’asserire che in Nigeria il lavoro di prostituta non è nemmeno nominato, anzi, la prostituzione è vista come una malattia contagiosa: la persona che ne viene colpita è allontanata ed emarginata dalle altre.
“Molte donne in Nigeria vengono aiutate ad entrare in Italia dalle loro stesse amiche, amici o conoscenti che sono già immigrati e tornano per una vacanza. Succede che, durante un viaggio a casa per trovare la famiglia, queste ragazze vengono notate da quelle che ancora vivono là: naturalmente le notano per il loro abbigliamento, i soldi o i gioielli e le invidiano; capiscono che in Italia non se la passano poi tanto male, certamente stanno meglio di loro che ogni giorno devono lottare contro la povertà, a volte la fame, o contro i continui divieti dei genitori (...); il prezzo per arrivare in Italia si stabilisce prima di partire; alle volte sono le famiglie delle ragazze che si accordano con le donne che fanno da intermediarie. Si decide il costo del viaggio più una garanzia, nel caso una volesse fare la furba e non pagare all’arrivo in Italia. La garanzia è qualcosa di appartenente alla famiglia, un pezzo di terra, la casa, ecc.
Succede raramente che una donna all’arrivo in Italia si rifiuti di pagare il viaggio, perché sa che a rimetterci poi è tutta la sua famiglia.
Chi aiuta a venire in Italia persone che conosce bene, oltre al prezzo può farsi dare, come garanzia, una ciocca di capelli o qualche cosa di personale: se all’arrivo in Italia questa persona si rifiuta di pagare, si può sempre farle il malocchio.
Queste cose sappiamo farle e funzionano. Quando arrivi in Italia sai già quanto devi pagare, bisogna solo decidere come guadagnare il denaro. La scelta è tua, sei tu che decidi che lavoro vuoi fare, come e in quanto tempo vuoi pagare; alla persona che ti ha aiutato interessa solo che tu la paghi.
È naturale che la prima cosa che ti capita tra le mani è la prostituzione: per trovare un altro lavoro ci vuole del tempo, se non hai conoscenze che ti aiutano a trovarlo; sai che devi pagare il viaggio, devi mantenerti e avere un tetto: la prostituzione ti permette di guadagnare abbastanza per pagare tutto ciò, quindi lo fai. È una tua scelta, nessuno ti costringe a farla; vuoi liberarti del debito, vuoi vivere bene, vuoi avere soldi: così ti prostituisci. Ci sono quelle però che non ce la fanno proprio a vendersi, mai e poi mai lo farebbero, allora si fa qualcosa d’altro, può essere un lavoro “pulito”, onesto oppure no, il rischio è comunque tuo”.
Resta comunque estremamente critica e delicata la situazione delle straniere che praticano la prostituzione di strada, esposte a moltissime insidie che vanno dai rischi sanitari all’incolumità fisica, messa a repentaglio ogni volta che si viene a contatto con più e più sconosciuti.
La situazione diventa estremamente critica se, a tutto questo, si sommano le violenze efferate e le minacce dei propri aguzzini che, secondo le testimonianze raccolte, impongono alle “proprie” donne di guadagnare almeno un milione di vecchie lire a sera e di lavorare anche in precarie condizioni di salute, non meno di sei giorni a settimana.
Tuttavia, ciò che più preoccupa alle autorità di pubblica sicurezza è il “connubio sinergico” che vincola soprattutto i gruppi criminali albanesi più forti, con le organizzazioni mafiose autoctone, soprattutto nel settore del traffico di droga, tabacco ed armi, e che ha permesso ai primi di conseguire un grande spazio di mobilità nello sfruttamento della prostituzione da marciapiede. Infatti, proprio negli anni ’90, periodo che fa registrare il boom della prostituzione in Italia, le organizzazioni criminali straniere (la cosiddetta “nuova mafia”) si sono fatte strada sul territorio nazionale, attraverso il traffico di persone, implementando profonde relazioni d’affari con la mafie autoctone. I gruppi criminali stranieri hanno, così, potuto infiltrarsi nel tessuto economico di molte regioni, grazie all’acquisto di attività commerciali con denaro sporco. In particolare nel Nord d’Italia, dove le organizzazioni tradizionali si sono specializzate nella gestione di attività economico-finanziarie, la criminalità straniera ha incontrato uno spazio sufficiente per attività illegali sempre più complesse, come il traffico di stupefacenti, armi, auto rubate e lo sfruttamento della prostituzione.
L’autorità di polizia è infatti convinta che il controllo delle immigrate che esercitano la prostituzione in Italia sia gestito attualmente dalle grandi reti criminali straniere, con il sostegno (o in consorzio) delle organizzazioni mafiose autoctone, in particolare la Camorra napoletana e la Sacra Corona Unita pugliese. Tra le differenti entità mafiose, italiane e straniere, esiste uno scambio di servizi e prodotti di provenienza illecita.
Un esempio concreto è rappresentato dallo sbarco di immigrati sulle coste meridionali. In questo caso, le mafie autoctone offrono assistenza logistica e controllano il territorio per impedire l’intervento delle forze dell’ordine, ricevendo in cambio la consegna di droga, armi, tabacchi, una prestazione monetaria per ogni sbarco o una “tassa d’occupazione” del territorio per l’esercizio della prostituzione e la vendita di stupefacenti. Così, attraverso il traffico di persone, si estendono i traffici illeciti più consolidati e si sviluppano nuove opportunità criminali.
Questa dimensione transnazionale, dove le entità criminali collaborano tra loro nella gestione dei mercati illegali, ha come conseguenza che “ogni singola struttura criminale tragga un valore aggiunto in termini di potenza dalle sinergie che instaura con gli altri gruppi”.
Da recenti indagini della DIA (Direzione Investigativa Antimafia), condotte a scopo di monitorare i rapporti intercorrenti tra organizzazioni criminali internazionali, specializzate nel traffico di stranieri, e mafie autoctone, emerge come sia soprattutto la criminalità organizzata pugliese quella che abbia moltiplicato gli accordi con i gruppi albanesi attraverso la “settorializzazione operativa”: i clan albanesi ottengono la gestione del traffico di immigrati e lo sfruttamento della prostituzione, mentre le organizzazioni pugliesi esercitano il controllo del contrabbando di tabacchi esteri e le attività illegali tipiche del territorio.
Contemporaneamente, le due entità criminali si sono suddivise la gestione del traffico di droga: i gruppi albanesi si occupano del trasporto di stupefacenti sino alla costa della Puglia, e i clan locali realizzano lo spaccio di droga.
La necessità di diversificare le località per gli sbarchi e le rotte dei traffici di droga e di immigrati, ha spinto i gruppi albanesi a cercare nuovi accordi con altre entità criminali del Sud Italia, in particolare con la ‘Ndrangheta calabrese.
È noto, infatti, come negli ultimi due anni le rotte del traffico di immigrati si siano trasferite dalla Puglia alla Calabria e alla Sicilia.
Sempre dalle indagini della DIA emerge come il fenomeno dello sfruttamento della prostituzione vada lentamente ad intensificarsi nel Sud Italia e tocchi in particolar modo la regione Calabria. In Calabria, sarebbero i gruppi criminali della provincia di Cosenza i più compromessi nello sfruttamento delle immigrate che esercitano la prostituzione di strada, ma anche nei club e nelle abitazioni private.
La maggior parte di esse sono trafficate da cittadini albanesi inseriti nella regione. Questi gruppi criminali controllerebbero inoltre alcune case d’appuntamento nella provincia di Reggio Calabria e nella città di Messina, storicamente sotto il controllo della ‘Ndrangheta. Da ciò si evince come il connubio criminalità albanese - ‘Ndrangheta abbia superato i confini regionali, consacrando la stretta cooperazione tra le due entità. Infatti, una recente operazione di polizia, condotta nel 2000 (Operazione Urano), smantellò persino in Liguria una fitta rete criminale calabro-albanese che controllava, contestualmente, un grande traffico di stupefacenti e il mercato locale della prostituzione.
Se potesse delinearsi un profilo della distribuzione geografica della prostituzione delle straniere in Italia, con riferimento alla cronologia dell’ultimo ventennio, si otterrebbe una precisa mappa storico-temporale dove, gli intervalli di riferimento, sono indicatori di vari flussi di immigrati, soprattutto donne, provenienti da differenti nazioni e destinate al sex work.
Il primo flusso consistente di donne, provenienti dall’Est europeo e destinate all’esercizio della prostituzione, si colloca nel biennio ’80-’90.
Nel biennio ’91-’92, si incrementa anche il flusso di donne nigeriane, già esistente negli anni ’80 e, in misura minore arrivano anche colombiane e peruviane. Secondo quanto accertato, molte delle donne nigeriane giungevano dall’Olanda, dove avevano risieduto per lunghi periodi. Le latinoamericane giungevano, invece, legalmente con visti turistici e, alla loro scadenza, diventavano irregolari.
Nel biennio ’93-’94, si assiste ad un ingresso massiccio di giovani albanesi attraverso canali irregolari. La maggior parte, almeno in questa prima tappa, arriva in Italia attraverso l’inganno, talvolta perpetrato dagli stessi fidanzati o parenti di sesso maschile che pianificano di andare in Italia per vivere sul lavoro delle ragazze; in quegli anni, molte vengono perfino rapite.
Intorno al biennio ’95-’96, si registra un cambiamento relativo alle regioni di provenienza delle donne: più che dai centri urbani, cominciano a venire anche dalle aree rurali, il che suggerisce l’ipotesi di un rafforzamento delle reti di traffico e di un loro maggiore controllo del territorio. In quanto al profilo delle donne, è possibile distinguere tre grandi gruppi:
-  le donne albanesi e nigeriane presentano aspetti e condizioni similari: sono le più giovani (la classe d’età maggiormente rappresentata è quella compresa tra i 14 e i 18 anni); generalmente nubili, presentano una completa subordinazione psicofisica ai loro protettori. Una differenza riscontrabile è quella relativa ai metodi di reclutamento e di sottomissione: nel caso delle albanesi lo strumento è il ricorso a forme più o meno gravi di violenza. Nel caso delle nigeriane, agisce il forte condizionamento esercitato dalla cultura del paese (è il caso dei riti woodu usati per vincolare la vittima alla volontà del trafficante);
-  le donne dell’Est Europa e dell’ex Unione Sovietica: in media presentano una età maggiore (24-30 anni) e si caratterizzano per la mobilità geografico-territoriale, determinata dalla minuziosa organizzazione dei trasferimenti da parte dei trafficanti;
-  le donne latinoamericane: hanno in media un’età compresa tra i 24 e i 30 anni, con la presenza di un’alta percentuale di giovani madri, sposate o conviventi. L’esercizio della prostituzione sembra caratterizzarsi per un certo livello di “autonomia” rispetto a quello delle altre immigrate e, a volte, è complementare o successivo ad altre attività lavorative. In questi casi, la prostituzione è considerata come una modalità per integrare i redditi e per soddisfare le necessità della famiglia.
Una ricerca realizzata nel 1998, voluta dall’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) e dalla Commissione Europea, nell’ambito dell’iniziativa Daphne ’97, calcolava tra 15.000 e 19.000 il numero delle prostitute straniere in Italia. Tuttavia, l’anno successivo, l’indagine di alcuni quotidiani svelò dei dati totalmente differenti: si stimavano in 70.000 le donne dedite alla prostituzione, metà delle quali straniere e circa 10.000 minori di età; mentre il numero dei clienti risultò essere di circa 9 milioni.
Negli ultimi tre anni si è assistito ad evidenti cambiamenti nel fenomeno della prostituzione in Italia. Sarebbero, oggi, 80.000 le persone occupate nel mercato della prostituzione. 50.000 sarebbero di provenienza straniera; il 48% di queste giungerebbe dall’Europa dell’Est, il 22% dall’Africa, il 10% dal Sud America, il 4 % da altri Paesi. Il 35% di esse, inoltre, sarebbe minore d’età. Le regioni settentrionali e centrali sono quelle che, rispetto all’immigrazione in generale, esercitano maggiore attrazione, sia per le opportunità occupazionali che offrono, sia per le maggiori offerte di socializzazione e servizi esistenti nelle grandi aree metropolitane.
Rispetto alla prostituzione, queste aree socio-economiche sono le maggiori consumatrici di “sesso in cambio di denaro” e pertanto “moltiplicatrici” del fenomeno: spesso la prostituzione diventa l’unica possibilità di sopravvivenza per numerosi immigrati che si trovano in situazione di irregolarità.
Il fenomeno della prostituzione in alcune aree del Centro e del Nord Italia risulta inoltre caratterizzato da una forte mobilità. Accanto ad una prostituzione permanente (presente gran parte dell’anno), esiste una prostituzione di carattere stagionale con ingenti flussi intra ed extraregionali. Il caso più noto è quello della riviera romagnola tra Rimini, Riccione e Ravenna, una delle zone più importanti dal punto di vista turistico in tutta Europa, dove aumenta considerevolmente la concentrazione delle ragazze durante il periodo estivo.
Sempre secondo approfondite indagini, il Sud Italia sarebbe marginale rispetto alla possibile presenza di soggetti trafficati: nel 1998 vi si registrò infatti, solo il 10% circa del totale della presenza nazionale. Nonostante ciò quest’area geografica ha assunto un ruolo centralissimo all’interno delle rotte internazionali dei traffici migratori: come si è visto, il Mezzogiorno rappresenta una importante porta d’ingresso rispetto al resto del Paese e del continente europeo; molti immigrati vi giungono per poi trasferirsi al Nord alla ricerca di maggiori opportunità. Tuttavia, almeno due città meridionali presentano tendenze diverse, con dimensioni del fenomeno comparabili a quelle delle aree di massima incidenza del Settentrione: esse sono Napoli e Catania.


3. Dalla cooperazione internazionale relativa alla prevenzione e alla lotta contro il traffico di esseri umani, all’attuale legislazione italiana vigente in materia

Forte è stato ed è tutt’ora l’interesse internazionale per il fenomeno del traffico degli esseri umani e notevole è l’impegno comune per cercare di contrastarlo. Ciò è avvenuto soprattutto attraverso la stipulazione di vari accordi e convenzioni internazionali, atti a stabilire una sorta di cooperazione tra le nazioni aderenti, tale da portare a raggiungimento di obiettivi e piani di azioni validi per arginare e creare un’inversione di tendenza relativa al fenomeno dello sfruttamento della prostituzione.
Le iniziative promosse sul piano multilaterale sono molteplici; tra queste è necessario annoverare, oltre alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato, che dedica il suo terzo Protocollo, discusso e firmato nella Conferenza di Palermo del 12 dicembre 2000, proprio al problema del trafficking, anche l’approvazione di alcuni provvedimenti, adottati da parte della Comunità internazionale, finalizzati al rafforzamento della lotta alle attività illecite, connesse con lo sfruttamento degli esseri umani, con particolare attenzione alle categorie più vulnerabili di donne e di minori. Primo fra questi, il Protocollo facoltativo della Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, dedicato alla vendita di esseri umani, pornografia e prostituzione infantile.
Le delegazioni si sono lungamente confrontate sui problemi relativi alle definizioni, alla portata ed ampiezza, alle misure repressive da indicare per contrastare tali fenomeni, nonché sulle iniziative da realizzare per il recupero delle vittime ed il loro reinserimento sociale.
Il Protocollo impegna gli Stati a mettere in atto misure ancora più incisive per la lotta alla prostituzione infantile e alla pedofilia, proteggendo le vittime anche dallo sfruttamento legato al diffondersi del “turismo sessuale” ed alle nuove tecnologie informatiche. Il legale simbiotico tra gli aspetti più strettamente tecnico-giudiziari e quelli della tutela dei diritti della vittima è certamente uno dei pilastri su cui è stato impiantato il Protocollo.
La strategia vincente può essere soltanto quella di integrare le misure repressive con quelle “positive”. La protezione della vittima, infatti, non soltanto risponde a precisi obblighi di tutela della persona umana, ma rappresenta una preziosa opportunità proprio sul versante giudiziario: proteggere la vittima significa anche stimolare in persone che hanno subito violazioni profonde la fiducia nelle istituzioni e quindi incoraggiarle a trasformarsi in testimoni, per il buon esito delle investigazioni e dei processi.
Il Protocollo di Palermo, d’altro canto, elabora anche una appropriata definizione del trafficking in persons individuato come un reato di trasporto, trasferimento, reclutamento o accoglienza di una persona, ottenuta per mezzo di minaccia o uso di forza o altri mezzi coercitivi, o per mezzo fraudolento o ingannatorio, o in conseguenza di un abuso di potere di una posizione di vulnerabilità della stessa vittima.
È anche previsto l’utilizzo di un mezzo idoneo ad ottenere il consenso, a prelevare il soggetto da parte di chi ne abbia il controllo, che consistente nel pagamento di denaro o nella concessione di benefici economici. I suddetti mezzi sono idonei a forzare la volontà della vittima o ad ottenerne un consenso viziato da una falsa rappresentazione della realtà.
Il mezzo “abuso di vulnerabilità”, incluso nella definizione, costituisce un punto di arrivo compromissorio, atto a dare considerazione a tutte le situazioni di fattuale inferiorità del soggetto migrante, ricollegabile non solo ad una minorazione psichica, ma anche ad un’accertata situazione di sottosviluppo socio-culturale-personale che, benché non deducibile sic e simpliciter dallo stato di povertà o di bisogno, finisca per costituire elemento viziante del consenso prestato dal soggetto migrante, in conseguenza di un attivo comportamento di persuasione da parte del reclutatore di vittime a fini di sfruttamento. Ma la condotta criminosa dell’autore del crimine di tratta di persone si caratterizza, inoltre, per uno scopo ulteriore che costituisce la finalità propria dagli autori del reato. Tale finalità consiste nello “sfruttamento delle persone oggetto del trafficking”. Dopo un lungo dibattito in sede di elaborazione del testo, si è giunti non già ad una definizione di sfruttamento, ma ad una elencazione meramente esemplificativa di varie tipologie di sfruttamento. Tutto ciò consente, così, a ciascuno Stato di poter individuare forme di sfruttamento diverse, che risultino connesse, in base all’esperienza pratica, con il fenomeno in esame.
Il Protocollo quindi stabilisce una serie di ipotesi di sfruttamento che ogni Stato dovrà ricomprendere nella fattispecie di criminalizzazione “come minimo livello”; tra esse: lo sfruttamento della prostituzione o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o i servizi forzati, la riduzione in schiavitù o pratiche similari e la servitù.
Un altro importante “paletto” fissato dalla Comunità internazionale in tema di lotta allo sfruttamento degli esseri umani, con particolare attenzione ai minori, e che evidentemente tocca anche aspetti connessi con la tratta degli esseri umani, è la Convenzione n. 182 sulla proibizione delle peggiori forme di lavoro minorile siglata a Ginevra nel giugno 1999. L’art. 1 evidenzia il carattere di particolare urgenza con il quale il problema dello sfruttamento del lavoro minorile deve essere affrontato, quanto meno nelle sue forme peggiori. E, tra le forme peggiori, vi sono appunto “tutte le forme di schiavitù o pratiche analoghe; la vendita, la tratta, la servitù per debiti, l’asservimento, il lavoro forzato, compreso il coinvolgimento nei conflitti armati; l’impiego, l’ingaggio, l’offerta di minori a fini di prostituzione, produzione di materiale pornografico, o spettacoli pornografici”. Per queste gravi violazioni è previsto che i governi debbano immediatamente attivare le necessarie misure al fine di una rapida eliminazione: devono quindi adeguare le legislazioni nazionali affinché nei rispettivi ordinamenti le previsioni convenzionali siano riconosciute come crimini e siano quindi penalmente sanzionate.
L’impegno europeo per fronteggiare il problema del trafficking si fece concreto già alla fine degli anni ’90, quando furono elaborati due fondamentali piani d’azione: il programma “Stop” nel 1996 e quello “Daphne” nell’anno successivo. Il primo favorì la presa di coscienza del problema all’interno dell’unione ed incoraggiò la cooperazione tra i Paesi membri in questo ambito, aiutando a capire che il fenomeno della tratta poteva essere fronteggiato meglio a livello europeo, piuttosto che a livello di singolo Stato membro, grazie allo scambio di esperienze e alle economie di scala promosse. Il secondo ampliò il raggio d’azione di “Stop” ai paesi in adesione ed allargò l’ambito di lotta agli abusi contro la donna, alla violenza nei confronti di bambini e ragazzi.
Fondamentale fu anche il vertice straordinario di Tampere del 1999 che portò alla presentazione da parte della presidenza LJE, di proposte direttive sulla definizione di favoreggiamento dell’ingresso, circolazione e soggiorno illegali e sul rafforzamento del quadro penale per la repressione del favoreggiamento, nell’ambito delle quali furono previste specifiche misure sul traffico di esseri umani. Tampere infatti rappresentò il primo, decisivo impegno delle Istituzioni europee ad attuare concretamente misure di lotta ad ogni forma di criminalità organizzata e transnazionale.
In vista dell’attuazione degli impegni di Tampere, fu successivamente sancita una collaborazione trilaterale tra Italia, Germania e Francia in materia di contrasto alla criminalità. I tre Paesi intesero, attraverso l’impegno trilaterale, “realizzare strategie comuni sulla base di legislazioni, di controlli e di misure severe per contrastare l’immigrazione clandestina e lo sfruttamento che ne deriva”.
Gli interventi da porre in essere andavano nella direzione di potenziare o istituire nei paesi di origine e di transito dei flussi irregolari, laddove non esistessero, le reti di esperti e di ufficiali di collegamento, specializzati in tema di immigrazione, documenti falsi ed altro e di armonizzare e coordinare maggiormente l’attività di contrasto tra questi Paesi e gli Stati membri.
Un’altra dimensione essenziale della cooperazione internazionale contro il trafficking è quella della “cooperazione allo sviluppo”. Il fenomeno della tratta affonda infatti le sue radici nella povertà e nel sottosviluppo.
Gli interventi di cooperazione possono riguardare da un lato la prevenzione, attraverso la tutela ed il sostegno ai soggetti potenzialmente vittime del trafficking, dall’altro, il reinserimento nella società d’origine delle persone che, riuscite a sottrarsi alla condizione di sfruttamento cui erano sottoposte, devono ritrovare una loro collocazione sociale e lavorativa.
Importante è citare anche la cooperazione bilaterale Italia-USA, realizzata in vista del raggiungimento di obbiettivi congiunti quali: lo scambio periodico di informazioni sullo stato della legislazione, sui dati raccolti, su studi ed analisi condotte, sulle azioni di polizia, sulle attività investigative e sui procedimenti svolti in questo ambito. Ciò al fine di approfondire, per quanto possibile, la conoscenza e le dimensioni del fenomeno e scambiarsi soprattutto utili informazioni sulle procedure e sulle metodologie d’indagine. È avvenuta, inoltre, l’individuazione di alcuni Paesi, in particolare la Nigeria e l’Albania, verso i quali possono concentrarsi gli sforzi dei due Governi, a sostegno delle Autorità locali, per favorire innanzitutto una più approfondita conoscenza delle peculiari caratteristiche che il fenomeno assume in quei Paesi. Ciò per rendere più incisive ed adeguate le risposte che, sul piano del law enforcement, del crime prevention, ma anche della protezione e dell’assistenza, è possibile fornire. Da qui si incoraggia la formazione di forze di polizia e di altre istituzioni locali, chiamate a contrastare le attività criminose legate al traffico di donne e minori a fini di prostituzione, e soprattutto a fornire alle vittime ogni possibile assistenza e supporto, in vista del loro recupero e reinserimento.
Gli impegni della cooperazione allo sviluppo nei Paesi di origine dovranno guardare, oltre all’impegno generale, volto a favorire nel tempo la rimozione delle cause di povertà, sollecitando le potenzialità e le capacità endogene dei territori più arretrati e riducendo quindi il bisogno di abbandonarli, con tutti i conseguenti rischi che ciò possa comportare, anche e soprattutto al problema delle vittime del traffico, attraverso l’attivazione di programmi di protezione e reinserimento che agevolino l’insorgere di nuove possibilità lavorative, riducendo così il rischio di “rivittimizzazione”.
È noto infatti come la vittima che decida di far ritorno al Paese di provenienza potrebbe andare incontro a forti resistenze familiari o della comunità al raccoglimento. Gli interventi che è fondamentale siano messi in opera devono assicurare a queste donne una realtà diversa che non le spinga a ricadere nel meccanismo perverso della tratta, dove, come è noto, la servitù per debito diventa un legame dal quale è difficilissimo liberarsi.
Monitorando i dati sui procedimenti di espulsione di immigrati che hanno fatto ingresso illegalmente il Italia, emergono realtà estremamente preoccupanti, a conferma della risposta altamente repressiva delle autorità: tra il 1998 e il 2000, 341 mila immigrati hanno ricevuto l’ordine di espulsione e circa 193 mila di essi sono stati rimpatriati nel Paese di origine. Inoltre, negli ultimi due anni, 37mila immigrati sono stati detenuti nei CPT (Centri di permanenza temporanea), istituiti dalla nuova legge d’immigrazione per “ospitare” gli stranieri irregolari in attesa di rimpatrio. D’altronde, anche il nuovo disegno di legge del 2002, concernente “disposizioni contro le immigrazioni clandestine”, rispetto al precedente “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione della straniero” del 1998, presenta disposizioni più rigide ed intransigenti nei confronti degli stranieri sprovvisti di permesso di soggiorno presenti sul territorio nazionale, prevedendone misure di rimpatrio più celeri ed immediate e disponendo maggiori forze di polizia presso ambasciate o consolati, per fronteggiare il fenomeno.
Attraverso la legge 8 agosto 2003, n. 288, l’Italia ha però introdotto moderni strumenti di contrasto al fenomeno del trafficking, ponendosi all’avanguardia, in Europa, nell’ambito della lotta a questa forma di crimine.
La gravità del fenomeno, le ripercussioni drammatiche che apporta alla vita delle vittime e la sua continua evoluzione, hanno comportato l’elaborazione di un testo che non si limita all’aspetto repressivo del problema, ma tiene in eguale considerazione anche quello preventivo e sociale.
Il provvedimento prevede la punibilità di chiunque eserciti su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà, ovvero chiunque riduca o mantenga una persona in uno stato di soggezione continuativa al fine di costringerla a mendicare o a fornire prestazioni di tipo lavorativo o sessuale, o che comunque comportino lo sfruttamento. Inoltre, la legge del 2003 si contraddistingue per l’attenzione posta al recupero della vittima di questa forma di sfruttamento: si tratta quasi sempre di extracomunitari, prevalentemente donne e minori, introdotti in Italia con la forza o con l’inganno e sottoposti ad inaudite violenze i cui effetti sono difficilmente cancellabili.
Per assistere, proteggere e reinserire socialmente la vittima della tratta, la legge ha istituito un apposito Fondo presso la Presidenza del Consiglio con il quale finanziare programmi ad hoc. Al Fondo sono destinate le somme previste dall’art. 18 del Testo Unico sull’Immigrazione nonché quelle derivanti dalla confisca dei beni e patrimoni appartenenti alle persone condannate per i delitti di riduzione in schiavitù, servitù o traffico. Il testo prevede, inoltre, un altro programma specifico, destinato al primissimo intervento che garantisce, in via transitoria, vitto, alloggio e cure sanitarie ed è finanziato con uno stanziamento separato che ammonta a circa 2,5 milioni di euro.


4. Conclusioni

Da quanto detto, può affermarsi che, contemporaneamente alla crescita del numero di persone che esercitano la prostituzione di strada, si sia registrato un preoccupante aumento di episodi violenti a danno della popolazione immigrata. Attualmente in Italia, ogni 25 ore, un cittadino straniero è vittima di un atto di violenza; in un terzo di casi si tratta di atti di matrice xenofoba.
La maggior parte delle vittime sono donne e i luoghi più pericolosi sono le grandi città. Ad esempio: dal 1992 al 1999 la percentuale di donne, tra le vittime straniere di omicidio, è cresciuta dal 6,8% al 23,1%. Solo nel 1999, il numero di prostitute straniere assassinate è stato di 186 (in buona parte ragazze albanesi e nigeriane).
I dati presentati da alcune organizzazioni non governative, invece, parlano di 400 donne assassinate nel 2000. Nemmeno le attività di controllo e repressione, esercitate dalle forze dell’ordine sulle strade hanno contribuito ad arginare il dilagante fenomeno dello sfruttamento sessuale, anzi, assieme ad altri fattori, hanno portato allo sviluppo di un “mercato parallelo” della prostituzione. È proprio questa una prostituzione “invisibile”, dietro la quale possono celarsi forme di sfruttamento ancora più drammatiche e violente, per esempio nei confronti di ragazze minorenni.
Il fenomeno della prostituzione, che occupa determinate aree del territorio urbano, si sposta più o meno rapidamente verso quelle zone dove l’azione repressiva delle forze dell’ordine si fa meno incalzante. A questo corrisponde una diminuzione delle condizioni di sicurezza delle ragazze.
Per evitare conflitti con la cittadinanza e controlli di polizia, il racket tende, infatti, a organizzare i luoghi della prostituzione sempre più lontano dai centri delle città, col risultato che da un lato si riduce la “sicurezza” delle ragazze (non sono rari gli episodi di violenza da parte di clienti o di bande che rubano l’incasso, certi di non essere denunciati dalle loro vittime, spesso ragazze prive del permesso di soggiorno) e dall’altro diventa difficile qualunque intervento di assistenza e monitoraggio del fenomeno. Sicuramente, il metodo migliore per apportare un valido aiuto alle trafficate, vittime della prostituzione, è quello di predisporre efficaci piani d’azione che, non soltanto si occupino del loro pieno recupero e reinserimento nella società, ma che, soprattutto, operino sul piano psicologico, consentendo alle giovani donne “schiavizzate” di riappropriarsi della loro personalità, brutalmente calpestata ed annichilita e di guardare al domani, impegnandosi per una graduale ricostruzione della propria vita.
Risulta necessaria anche la promozione di massicce campagne informative che incentivino le ragazze schiavizzate a ribellarsi ai loro aguzzini ed a chiedere ausilio ad associazioni socio-assistenziali, o, quantomeno, alle forze di polizia. Quest’ultima soluzione è una delle meno frequenti, data la sfiducia che le stesse ragazze ripongono nelle forze dell’ordine, dovuta all’alto tasso di corruzione che spesso interessa la polizia dei propri Paesi di origine.
Resta comunque estremamente difficoltoso convincere le ragazze sfruttate a collaborare con la giustizia ed a denunciare i propri aguzzini o le organizzazioni criminali responsabili della tratta.
Alla base della reticenza delle trafficate sussiste sempre un fortissimo sentimento di paura, che assume, a sua volta, molteplici forme: dal timore di subire violenza fisica, ai ricatti di natura psicologica. Le campagne informative, trasmesse dai media, avrebbero in questo quadro un valore, sia di ausilio per le ragazze, già vittime del fenomeno della prostituzione, sia preventivo per i soggetti “a rischio”, ancora residenti nei paesi di origine, ma che, allettati dalla prospettiva di una vita più agiata, si affidano a persone senza scrupoli, approdando inesorabilmente ai margini di una nuova, inaspettata realtà, violenta e degradante. Probabilmente, anche la prospettiva della riapertura delle “case chiuse”, che offrirebbe una soluzione al problema sanitario e della sicurezza, caratterizzanti la condizione delle “prostitute di strada”, non porrebbe, però, completamente fine al fenomeno delle organizzazioni criminali, dedite al traffico ed allo sfruttamento delle straniere. Infatti, il sistema olandese, che già da tempo ha optato per una legalizzazione del sex work, considerandolo alla tregua di un “normale” impiego, non è stato risparmiato dal fenomeno della prostituzione di strada, insediata in aree periferiche della metropoli che, a fronte della compendiosa domanda, offre prestazioni meno controllate e sicure, dal punto di vista sanitario, ma certamente più a buon mercato.
Non deve essere inoltre dimenticata l’assistenza prestata alle ragazze che decidano di denunciare i propri aguzzini, cambiando vita. Questa deve essere completa e soprattutto mirata alla graduale ricostruzione della personalità della vittima, distrutta e provata dalla bassezza della vita, fino ad allora condotta, e dai soprusi subiti. Infine, l’assistenza deve avere come ulteriore obbiettivo il pieno reinserimento delle ragazze nella società perché, attraverso l’acquisizione di un impiego lecito e il recupero della fiducia in se stesse, gradualmente riconquistata, possano, con il tempo, tornare a sentirsi “vive”.