Gli accordi in forma semplificata e i soggetti di diritto internazionale

Antonio Servedio

1. La forma semplificata di stipulazione

Gli accordi in forma semplificata(1) secondo una definizione corrente, sono quelli che entrano in vigore per effetto della sola sottoscrizione(2) del testo da parte dei plenipotenziari e che si ha quando, dal testo stesso o comunque dai comportamenti concludenti delle parti, risulti che le medesime hanno appunto inteso attribuire alla firma il valore di piena e definitiva manifestazione di volontà(3).

Questa categoria di accordi, stipulata dagli stessi negoziatori, non è una categoria omogenea. A questa è stata associata anche lo scambio di note diplomatiche o di strumenti simili, accordo risultante da dichiarazioni di volontà consacrate in distinti documenti, ciascuno dei quali è da una delle parti contraenti diretto all'altra. Essi sono stipulati da chi ha negoziato e predisposto il testo senza ricorrere alla procedura della ratifica. Vi rientrano, tra gli altri, gli accordi che si formano interamente nell’ambito di organizzazioni internazionali.

Natura diversa hanno le intese(5) tra Governi, che non sono accordi in senso giuridico, essendo ciò escluso dallo stesso testo o dalle dichiarazioni di chi le sottoscrive. Si suole ricomprendervi l’Atto Finale della Conferenza di Helsinki del 1975 sulla Cooperazione e la Sicurezza in Europa, atto di notevole portata politica, ma sprovvisto di carattere vincolante.

Della stessa entità i numerosi Gentleman’s Agreements(6) , conclusi in seno alle Nazioni Unite in materia di criteri per la ripartizione tra gruppi geografico politici dei seggi in determinati organi(7).
In una zona di confine si pongono gli accordi sull’applicazione provvisoria dei trattati, quelli, cioè, che si formano quando le parti prevedono che, in attesa della ratifica, i testi dei trattati entrino provvisoriamente in vigore. La dottrina, molto controversa, da una parte li colloca negli accordi in forma semplificata, dall’altra li considera come intese prive di carattere giuridico. C’è chi, come il Picone, li definisce accordi giuridici non vincolanti.

Essi, pur condividendo con le intese non giuridiche il fatto di poter essere in ogni momento revocate unilateralmente, sarebbero connotati da carattere giuridico, poiché idonei a sospendere l’efficacia di precedenti convenzioni sullo stesso oggetto e per l’impossibilità in cui si troverebbe lo Stato, in caso di revoca, di annullare con efficacia retroattiva le misure di esecuzione già prese(8).
Gli accordi in forma semplificata differiscono quindi dagli accordi perfezionati con procedimenti formali o solenni, in quanto questi ultimi prevedono, oltre alla fase della negoziazione e firma, anche quelle di ratifica(9) e scambio (o in caso di trattati multilaterali, deposito) delle ratifiche. In questo caso la firma non comporta ancora alcun vincolo per le parti contraenti, avendo, essa, solo funzione di autenticazione del testo.

La manifestazione di volontà con cui lo Stato si impegna, si ha, invece, con la ratifica. Allo scambio (o al deposito) delle ratifiche spetta la funzione di perfezionare il trattato, portando a conoscenza delle altre parti contraenti il consenso a vincolarsi. È appena il caso di osservare che non esiste alcuna rigida correlazione tra l’oggetto del trattato o la sua importanza politica e la forma di stipulazione(10).
La forma semplificata di stipulazione, si diceva, si realizza attraverso la firma del testo del trattato.

Tale valenza è, peraltro, assegnata alla firma anche dall’articolo 12 della Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati(11), così come il precedente articolo 10 stabilisce che il testo di un trattato è certificato come «autentico e definitivo:

  1. secondo la procedura prevista in questo testo o concordata dagli Stati che hanno partecipato all’elaborazione del trattato;

  2. in mancanza di una tale procedura, per mezzo della firma, della firma ad referendum o della parafatura da parte dei rappresentanti di questi Stati del testo del trattato o dell’atto finale di una conferenza nel quale il testo è incorporato».

Il termine parafatura (paraphe, initialling ) si riferisce alla sottoscrizione effettuata non per esteso da parte del plenipotenziario. Non è molto chiaro come tale articolo possa considerare «autentico e definitivo» il testo di un trattato firmato ad referendum, cioè con riserva della successiva conferma da parte dei competenti organi dello Stato che il plenipotenziario rappresenta.

Orbene, se una tale categoria di accordi diviene obbligatoria in virtù della sola sottoscrizione, si intuisce che sottostanno ragioni di speditezza e praticità delle relazioni internazionali(12). C’è anche chi(13) imputa tale affermazione non solo alla «necessità di disciplinare questioni urgenti servendosi di procedure rapide», ma anche al «vantaggio di aggirare i Parlamenti nazionali in aree nelle quali il potere esecutivo preferisce riservarsi una certa flessibilità e ampiezza di poteri».

Proprio quest’ultima affermazione deve indurre a soffermarci sui limiti che il Potere Esecutivo (sono normalmente i suoi rappresentanti ad impegnare lo Stato, in questo genere di accordi) incontra nel concludere un accordo senza ricorrere alla procedura della ratifica. Da un punto di vista comparativo, può dirsi che una siffatta possibilità copra almeno gli accordi settoriali e specifici in materie tecnico-amministrative(14) risalenti alle attribuzioni delle varie branche dell’Amministrazione, per le quali essa stessa disponga di poteri normativi propri. Ma, in tale ambito, l’approssimazione sembra regnare, posto che le Carte Costituzionali raramente contengono norme espresse al riguardo(15).

Nell’ordinamento italiano, nel silenzio della Costituzione(16), la stipulazione in forma semplificata sarebbe assolutamente da escludere solo quando l’accordo appartenga ad una delle categorie di cui all’articolo 80 della stessa Costituzione (trattati che hanno natura politica, che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, che importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi). Parte della dottrina, attribuendo contenuto politico alla maggior parte dei trattati, la circoscrive solo a quelli di alta natura politica. Pacifica l’interpretazione della seconda, terza e quinta, altra dottrina restringe gli oneri delle finanze solo a quelli non preventivati.

Non mancano casi in cui il Governo italiano ha perfezionato accordi in forma semplificata rientranti nelle categorie citate, per i quali occorreva l’intervento del Parlamento, sotto la forma della legge di autorizzazione alla ratifica, e la ratifica da parte del Presidente della Repubblica. Rifacendosi alla Convenzione di Vienna(17), dottrina autorevole(18) perviene alla conclusione che l’accordo concluso dall’Esecutivo senza la relativa competenza costituzionale(19) è da ritenersi alla stregua di un’intesa priva di carattere giuridico. Giuridicità chiamata a riespandersi, se l’organo bypassato manifesta il suo assenso adoperando lo stesso strumento formale previsto dalla Costituzione (nel caso italiano, la legge).

2. La soggettività internazionale

Dall’impostazione sin qui data, parrebbe che la stipulazione di accordi internazionali sia competenza esclusiva degli Stati (non sono mancati, del resto, riferimenti alla Convenzione di Vienna del 1969 che, si rammenti, è applicabile agli accordi internazionali in forma scritta che si perfezionano tra gli Stati). Difatti il diritto internazionale è nato come diritto della comunità degli Stati e ad essi continua, per grossa parte, ad indirizzarsi creando, in capo agli stessi, diritti ed obblighi. La dottrina è pressoché concorde nell’attribuire lo status di soggetto di diritto internazionale allo Stato - organizzazione (insieme degli organi statali indipendenti che esercitano effettivamente un potere di governo su una comunità territoriale) e non allo Stato - comunità (comunità umana stanziata su una parte della superficie terrestre e sottoposta a leggi che la tengono unita).

È tuttavia indubbio che gli Stati non rappresentano la sola categoria de quo: praticamente unanime la dottrina nel riconoscere piena soggettività internazionale agli insorti, alla Chiesa Cattolica e alle organizzazioni internazionali. I primi, in quanto costituiscono un’organizzazione di governo che controlla effettivamente una porzione di territorio; la seconda, poiché - indipendente da altri Stati - esercita un potere di governo sullo Stato della Città del Vaticano (e, si badi, per tradizione era considerata tale anche quando tra il 1870 e il 1929 perse ogni dominio territoriale) e conclude accordi internazionali; le terze, posto che, pur essendo formate da Stati, si ergono su di essi con organi comuni che stipulano accordi propri delle organizzazioni che non investono la sfera giuridica degli Stati membri(20).

Vi sono, però, altri protagonisti principali della vita di relazione internazionale per cui sono necessari dei distinguo, non essendo la dottrina pervenuta ad analoghe univoche conclusioni.
Per quanto concerne gli Stati membri di Stati federali, si potrebbe affermare che, difettando del requisito dell’indipendenza, non sarebbero soggetto di diritto internazionale. Quando operano sul proscenio internazionale stipulando accordi con Stati terzi, lo farebbero perché autorizzati dalla Costituzione e quindi il consenso del potere centrale li qualificherebbe come organi dello Stato federale(21).

Per altri sarebbero soggetti limitatamente alla sfera di autonomia di cui godono anche nell’ambito dei rapporti con gli altri membri della comunità internazionale(22). C’è chi, poi, afferma che l’accordo internazionale da essi stipulato rimane comunque tale, disinteressandosi se i relativi impegni vadano riferiti all’ente contraente o a quello centrale(23).
Simili le argomentazioni per gli altri enti dipendenti da uno Stato (Stati vassalli, protettorati), a parte l’unanimità che sembra regnare nel definire soggetti di diritto internazionale gli Stati membri (in quanto indipendenti e sovrani) di confederazioni. Tassativamente esclusa tale qualità per i territori posti sotto amministrazione fiduciaria ONU e per i governi - fantoccio, vi è qualcuno(24) che ritiene i Governi in esilio in grado di essere rappresentativi di uno Stato che continui a essere titolare dei suoi diritti e obblighi.

Per quanto concerne gli individui (e analogamente minoranze e nazioni(25) che, in larga misura, possono essere considerati aggregazioni di essi, pur con qualche differente sfaccettatura) vi è chi parla di una loro personalità, sia pure limitata. Essa trae spunto da una serie di norme convenzionali che obbligano gli Stati a riconoscere e tutelare i diritti fondamentali dell’uomo: a tali obblighi degli Stati corrisponderebbero veri e propri diritti degli individui. È, però, possibile configurare tali norme come attributive di diritti ed obblighi solo fra gli Stati contraenti, relativamente a comportamenti di cui gli individui siano i meri beneficiari materiali(26).

Quando si osserva che alcuni trattati internazionali in materia di diritti dell’uomo prevedono anche l’istituzione di appositi organi e meccanismi procedurali, di cui l’individuo si può avvalere quando ritiene di essere vittima di una violazione da parte di uno Stato dei diritti ivi contenuti, si reputa che sia titolare di un diritto procedurale(27). Anche i popoli vanno esclusi dal novero dei soggetti internazionali; l’espressione che sta prendendo piede nella prassi internazionale di “diritti dei popoli” mira solo ad enfatizzarne i contenuti, ma l’effettivo titolare dei diritti è lo Stato. Il discorso cambia quando l’espressione diritto dei popoli ha relazione con il principio di autodeterminazione dei popoli, regola di diritto internazionale positivo, sia contenuta in testi convenzionali, sia intrisa di carattere consuetudinario.

Alcuni autori(28), attribuendo la leadership di tali gruppi ai movimenti di liberazione nazionale, finiscono col propendere per la legittimazione giuridica e politica di essi movimenti.
Il campo di applicazione del principio è piuttosto ristretto, essendo l’offensiva ammissibile contro il colonialismo, i regimi razzisti e il dominio straniero.
Altri(29), svincolando il principio di autodeterminazione dei popoli dall’organizzazione sovrastante identificabile nel movimento di liberazione nazionale, finiscono con l’escludere la concessione della soggettività a questi ultimi.

Non condivisibile(30) è la tendenza della giurisprudenza italiana a riconoscere la qualifica di soggetto internazionale al Sovrano Militare Ordine di Malta, ordine religioso che governò su Rodi dal 1310 al 1522 e fino alla fine del 1700 su Malta, ora dedito a sole opere assistenziali, peraltro dipendente dalla Santa Sede..

3. La rappresentanza

Dopo aver abbondantemente disquisito sulle problematiche afferenti i soggetti di diritto internazionale, è ora di approfondire quali sono le persone chiamate ad esprimere il loro consenso nella sfera delle relazioni internazionali ed in particolare nella stipulazione di accordi. Nel premettere che trattasi necessariamente di persone fisiche, si deve comunque rimandare agli ordinamenti giuridici propri di ciascun soggetto (si dovrà, quindi, far capo alle Carte Costituzionali per gli Stati, ai trattati istitutivi per le organizzazioni internazionali).

Al momento della stipulazione, la qualità di rappresentante è attestata da un apposito documento chiamato tradizionalmente nella prassi diplomatica “pieni poteri”(31). Accanto ai pieni poteri, o indipendentemente da essi, i negoziatori vengono forniti di “istruzioni”, spesso anche scritte, sulla condotta dei negoziati; hanno rilievo internazionale in quanto rese note ai plenipotenziari delle altre parti. Possono essere modificate o integrate in qualsiasi momento(32).

Di regola una persona è considerata abilitata a rappresentare lo Stato soltanto in quanto produca pieni poteri, a meno che risulti - recita l’articolo 7 paragrafo 1 della Convenzione di Vienna - «dalla pratica degli Stati interessati o da altre circostanze che essi avevano l’intenzione di considerare questa persona come rappresentante dello Stato a questi fini e di non richiedere la presentazione di pieni poteri». Alla solennità della produzione dei pieni poteri di un tempo corrisponde, oggigiorno, la pratica diffusa di non farvi ricorso, per ragioni di urgenza e praticità. Fanno comunque eccezione alla suddetta disposizione, secondo il successivo paragrafo 2:

  1. i Capi di Stato, i capi di Governo e i Ministri degli Affari Esteri, per tutti gli atti relativi alla conclusione di un trattato;

  2. i Capi di missione diplomatica, per l’adozione del testo di un trattato tra lo Stato accreditante e lo Stato accreditatario;

  3. i rappresentanti accreditati degli Stati a una conferenza internazionale o presso un’organizzazione internazionale o uno dei suoi organi, per l’adozione del testo di un trattato in questa conferenza, questa organizzazione o questo organo».

A queste la prassi e la dottrina aggiungono i comandanti supremi e comandanti di unità isolati, quanto a negoziazione e conclusione di trattati tra belligeranti.
Quando un atto relativo alla formazione di un trattato è compiuto da una persona che non possa ritenersi autorizzata a rappresentare lo Stato, è dichiarato privo di effetti giuridici. Così dispone l’articolo 8 della citata Convenzione, che però ritiene possibile una successiva conferma dello Stato interessato(33).

Per completezza d’indagine, gioverà evidenziare che, parlando di persone abilitate a rappresentare, o di rappresentanti, non si è inteso far riferimento al significato tecnico che le espressioni assumono nella terminologia privatistica.
C’è qualche autore(34) che propone la distinzione tra rappresentante e organo, laddove il primo pone in essere degli atti giuridici i cui effetti si riverberano su un soggetto diverso (il rappresentato), il secondo, al contrario, è parte integrante del soggetto per cui agisce, con la conseguenza che non sussiste alcuna distinzione di personalità.

Si intende che, per aversi rappresentanza nell’ambito dell’ordinamento internazionale, è presupposta l’esistenza di due soggetti giuridici internazionali. Tale circostanza si configura in genere assai raramente, mentre è lo stesso soggetto internazionale che, mediante i propri organi e senza ricorrere all’intermediazione di altri enti, manifesta direttamente la sua volontà e attua le proprie azioni.


(*) - Capitano dei Carabinieri, comandante della Compagnia di Bordighera.
(1) - Espressione «da deplorare perché non ha significato giuridico ed anche sul piano pratico è fuorviante», calzante per il sistema statunitense; così: L. Ferrari Bravo, Lezioni di Diritto Internazionale, Napoli, 1992, p. 122 ss.
(2) - Vedi, per questo, l’articolo 12 della Convenzione di Vienna: «The consent of a State to be bound by a Treaty is expressed by the signature of its representative when:
a) the treaty provides that signature will have that effect;
b) it is otherwise established that the negotiating States were agreed that signature should have that effect;
c) the intention of the State to give that effect to the signature appears from the full powers of its representative or was expressed during the negotiation».
(3) - Vedi, al riguardo: B. Conforti, Diritto Internazionale, Napoli, 1987, p. 68, nonché: M.R. Saulle, Lezioni di organizzazione internazionale, volume I, Le organizzazioni internazionali a livello mondiale e regionale, Napoli, 1993, pp. 252-253.
(4) - Vedi, per i dettagli: G. Morelli, Nozioni di Diritto Internazionale, Padova, 1955, pp. 285-286, nonché: M. R. Saulle, op. cit., pp. 251-252.
(5) - Diversamente, c’è chi equipara le intese agli accordi, trattati, convenzioni, patti, non individuando alcuna differenza sostanziale. V. al riguardo: F. Capotorti, Corso di Diritto Internazionale, Milano, 1995, p. 113.
(6) - Vedi, nel senso: B. Conforti, op. cit., p. 69, nonché: L. Ferrari Bravo, op. cit., p. 216.
(7) - Carattere comune ai due istituti «sembra essere la volontà delle parti che, in caso di non osservanza, essi non ingenerino responsabilità internazionale». Così: M. Giuliano - T. Scovazzi - T. Treves, op. cit., p. 320.
(8) - Rifacendosi a tale teoria, B. Conforti, op. cit., p .70.
(9) - Altrimenti detta, accettazione o approvazione. V.: B. Conforti, op. cit., p. 66, nonché: M. Giuliano - T. Scovazzi - T. Treves, op. cit., p. 297.
(10) - Vedi: F. Mosconi, La formazione dei trattati, Milano, 1968, pp. 319-320.
(11) - Testo riportato in nota 2.
(12) - «La procedura parlamentare di approvazione dei trattati internazionali poteva dispiegarsi allorché gli impegni internazionali erano numericamente esigui ed avevano a loro oggetto materia di alta politica e la positio di nuove norme. Attualmente gli accordi sono divenuti molto numerosi [...] risulta pressoché impossibile investire il Parlamento». Così: A. Tommasi Di Vignano - M. Solina, Profili di Diritto Internazionale, Torino, 1990, p. 79.
(13) - Vedi: A. Cassese, Il Diritto Internazionale nel mondo contemporaneo, Bologna, 1984, p. 211.
(14) - Nel senso: B. Conforti, op. cit., p. 70 e A. Tommasi Di Vignano - M. Solina, op. cit., p. 79.
(15) - La Costituzione irlandese esclude, al suo articolo 29 n. 5, dall’approvazione parlamentare gli accordi di carattere tecnico o amministrativo; quella olandese, all’articolo 62, prevede la forma semplificata per ampie categorie di convenzioni; la Carta francese del 1958, ne ammette implicitamente l’esistenza, stabilendo, all’articolo 52, che il Presidente della Repubblica sia informato di ogni trattativa mirante alla conclusione degli accordi internazionali non soggetti a ratifica; quella della Federazione di Bosnia-Erzegovina rinvia alla legge il compito di individuare quali accordi non richiedono l’intervento parlamentare (Capitolo VII articolo 4, par.1).
(16) - La categoria degli accordi in forma semplificata è stata riconosciuta dal legislatore ordinario con legge 11 dicembre 1984 n. 839, laddove prevede che anch’essi vengano comunque pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.
(17) - Il suo articolo 46 statuisce:«Il fatto che il consenso di uno Stato ad essere vincolato da un trattato sia stato espresso in violazione di una regola del suo diritto interno sulla competenza a stipulare non può essere invocato da tale Stato come vizio del suo consenso, a meno che la violazione non sia manifesta e non concerna una regola del suo diritto interno di importanza fondamentale. Una violazione è manifesta se è obiettivamente evidente per qualsiasi Stato che si comporti in materia secondo la prassi abituale e in buona fede».
(18) - Ibidem, p 77.
(19) - Tra gli esempi più significativi: la domanda di ammissione dell’Italia alle Nazioni Unite, il Memorandum d’Intesa per Trieste, la Dichiarazione finale della Conferenza di Tangeri del 29 ottobre 1956, una serie di accordi di cooperazione e di assistenza militare. Per un approfondimento, v.: ibidem, p. 74.
(20) - La personalità delle organizzazioni internazionali è rilevabile anche in un’opinione individuale del giudice Ago allegata al parere consultivo, reso dalla Corte Internazionale di Giustizia il 20 dicembre 1980, circa l’interpretazione dell’accordo del 25 maggio 1951 tra l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Egitto: «un’organizzazione internazionale è, al pari di uno Stato, un soggetto di diritto internazionale, ma dotato di una capacità giuridica internazionale ristretta e soprattutto, a differenza di uno Stato, è un soggetto di diritto internazionale privo di qualsiasi base territoriale».
(21) - È l’opinione di B. Conforti, op.cit., p. 15 e di A. Tommasi Di Vignano - M. Solina, op. cit., p. 128.
(22) - Vedi, nel senso: G. Morelli, op. cit., pp. 141 ss., nonché: F. Capotorti, op. cit., p. 27, laddove ammette delle loro «estrinsecazioni occasionali di personalità». Similmente coloro che concordano «nella misura in cui gli Stati membri partecipino direttamente, ed autonomamente rispetto alla autorità federale, alla vita di relazione internazionale [e la cui] autorità non risulti in fatto limitata». Così: M. Giuliani - T. Scovazzi - T. Treves, op. cit., pp. 97-100.
(23) - Tale è la conclusione a cui perviene L. Ferrari Bravo, op. cit., p. 215.
(24) - Vedi: F. Capotorti, op. cit., pp. 29-30.
(25) - Secondo la scuola del Mancini, sarebbero soggetti internazionali le stesse nazioni, cioè gruppi di individui che hanno comunanza etnica, di lingua, di costumi e, sovente, anche di origine e di religione ed inoltre il convincimento collettivo di costituire una comunità umana differenziata dalle altre.
(26) - Così: B. Conforti, op. cit., pp. 19-20 e M. Giuliano - T. Scovazzi - T. Treves, op. cit., pp. 178 ss.
(27) - Nel senso: M. Giuliano - T. Scovazzi - T. Treves, op. cit., pp. 178 ss., nonché: A. Giannini, op. cit., pp. 119 ss.
(28) - Vedi, in merito a ciò: A. Giannini, op. cit., pp. 113 ss.
(29) - Vedi: B. Conforti, op. cit., pp. 14, 24 e 25, nonché: M. Giuliano - T. Scovazzi - T. Treves, op. cit., pp. 171 ss.
(30) - Ibidem, rispettivamente pp. 26-27 e pp. 159-162. Della tesi opposta, per cui l’ordine è soggetto, pur essendo subordinato alla Santa Sede: A. Tommasi Di Vignano - M. Solina, op. cit., pp. 133-134 e F. Capotorti, op. cit., p. 32.
(31) - Ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione di Vienna, si tratta di un «documento emanante dall’autorità competente di uno Stato e designante una o più persone quali rappresentanti dello Stato per la negoziazione, l’adozione o l’autenticazione del testo di un trattato, per esprimere il consenso dello Stato ad essere vincolato da un trattato o per compiere ogni altro atto relativamente a un trattato».
(32) - Vedi: L. Ferrari Bravo, op. cit., p. 218.
(33) - La norma codificata rispecchia quella che era la teoria già proposta dalla dottrina del tempo. Vedi, in proposito: F. Mosconi, op. cit., pp. 149 ss.
(34) - Vedi, in relazione a ciò: G. Morelli, op. cit., pp. 318 ss., nonché: A. Tommasi Di Vignano -M. Solina, op. cit., pp. 146 ss.