Mobbing

Comportamenti tipici

Considerato il fenomeno nei suoi aspetti generali e nelle sue gravi conseguenze, il mobbing si concretizza in genere in una serie di atti concreti che, a titolo esemplificativo, sono indicati di seguito. Questa classificazione è ovviamente puramente esemplificativa e non esaustiva, tenuto conto che la varietà di comportamenti ostili che possono essere riscontrati e le strategie di distruzione psicologica sono vaste quanto la fantasia umana. In tutti i casi, per parlare di mobbing, è necessario individuare, nell’insieme di fatti che si sviluppano nel corso di mesi o di anni, un chiaro intento persecutorio.

  • Impedire alla vittima di comunicare adeguatamente, anche tramite il ricorso ad attacchi verbali, riguardo alle assegnazioni di lavoro, minacce, svalutazioni sul piano personale e professionale, etc.
  • Isolare la vittima da contatti sociali con superiori e/o colleghi fino a relegarlo in una stanza da solo e lontano dagli altri.
  • Ledere la sua reputazione personale mettendo in giro voci sul conto della vittima, azioni di messa in ridicolo, derisione riguardo alla provenienza geografica, alle sue convinzioni personali, etc.
  • Demansionare la vittima tramite l’assoluto o parziale esautoramento dei compiti precedentemente assegnati o attraverso l’assegnazione di compiti insignificanti e inutili ai fini degli obiettivi professionali dell’ufficio di appartenenza.
  • Privare il dipendente del feedback sullo svolgimento dei compiti assegnateli o farlo solo in termini negativi.
  • Produrre effetti negativi sulla salute fisica della vittima assegnando incarichi pericolosi o attraverso minacce di lesioni fisiche, molestie sessuali e azioni volte a compromettere lo stato di salute del lavoratore, negando periodi di ferie o di congedo, attribuendo mansioni a rischio o sottoponendolo a turni massacranti o ad attività tanto stressanti quanto inutili.
  • Compiere azioni violente o verbalizzare minacce di violenza, talvolta finalizzate a determinare reazioni incontrollate che possono costituire l’alibi per ritorsioni o addirittura per un’apparente “giusta causa” di licenziamento.
  • Ridurre la considerazione che il lavoratore ha di se stesso, privandolo degli status symbol, non affidandogli incarichi o attribuendogli incarichi inferiori o superiori alle sue competenze, simulare errori professionali, criticare le sue prestazioni, la sua professionalità o personalità anche in presenza di soggetti esterni, applicare sanzioni in maniera immotivata, dare consegne volutamente complesse/lacunose o addirittura contraddittorie.
  • Trasferire il dipendente con una modalità illecita, cioè senza reali motivi tecnico-organizzativi. Si individua in tal senso una condotta mobizzante tutte le volte in cui il trasferimento è dettato da intenti discriminatori, di ritorsione, punitivi o per motivi irragionevoli ed illeciti, che esulano dai principi cardine di buona fede e correttezza cui le parti devono ispirarsi nel rapporto di lavoro.
  • Promuovere condotte riconducibili a molestie sessuali.
  • Spingere il lavoratore verso dimissioni forzate. Ciò accade di frequente quando le vessazioni subite diventano intollerabili, anche in ragione delle peculiarità fisiche e psichiche del lavoratore.
  • Provocare un eccessivo sovraccarico di lavoro. Il datore di lavoro ha l’obbligo di organizzare al meglio i carichi di lavoro e di adottare tutte le misure volte a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
  • Abusare del potere disciplinare. Ciò accade nell’esercizio del potere disciplinare ogni qualvolta il potere stesso è finalizzato non già a sanzionare il comportamento in sé, quanto piuttosto a punire il lavoratore come persona.
  • Discriminare una lavoratrice per il suo stato di gravidanza fino all’eliminazione dall’organizzazione.