Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

SALUTE 
I RISCHI SANITARI CONNESSI ALLA MACELLAZIONE CLANDESTINA DI CINGHIALI
06/11/2013
Di Enzo COMPAGNIN V.q.a.f Gianni RANIERI V.q.a.f. Gianluca MANCINELLI Assistente del Corpo forestale dello Stato

Tra le attività reddituali nel settore alimentare è entrata in modo significativo nell’ultimo...

 

Riassunto
 
La scoperta da parte del NIPAF di Piacenza di una conclamata attività di macellazione illegale di cinghiali abbattuti nel territorio provinciale piacentino ha permesso di acclarare un vero e proprio business legato all’illecita vendita di carne di selvatici. Il rischio sanitario associato al consumo di carne non sottoposta a controlli veterinari è alto ed in particolare connesso alla possibilità di contrarre una zoonosi parassitaria pericolosa come la Trichinellosi. A seguito dell’attività investigativa imbastita è sensibilmente aumentato il numero delle registrazioni dei capi abbattuti ed il numero di centri di macellazione autorizzati alla lavorazione di selvaggina è stato adeguato alle nuove necessità. Il procedimento penale che ha visto indagato un selecontrollore/macellaio si è concluso con una condanna  irrevocabile per il reato di cui all’art. 6 c. 1 del D.Lgs. 193/2007.

Abstract
 
The discovery by the NIPAF Piacenza of an overt activity of illegal slaughterig of wild boars killed in the Piacenza province, has allowed us to ascertain a true business related to not legal sale of wild meat. The health risk associated with the consumption of meat  not subject to veterinary checks is high, and in particular you boost the chances of contracting a dangerous parasitic zoonoses such as trichinellosis. Following the investigative work,  the registration number of culled animals has significantly increased such as the number of butchers authorized to work in game.  The criminal investigation ended with an irrevocable criminal conviction for a selecontrollore/butcher  for offense under Article. 6 c. 1 of the law 193/2007.

 
 

 

Tra le attività reddituali nel settore alimentare è entrata in modo significativo nell’ultimo decennio la produzione di carne di ungulati selvatici, apprezzata soprattutto nella ristorazione agrituristica. Se da una parte in Italia si assiste al lento declino degli allevamenti zootecnici tradizionali e del mercato generalista delle carni, con la crisi dei comparti delle carni bovina e suina, dall’altra non si può sottacere l’aumento di interesse per le carni cosiddette “alternative” provenienti dagli allevamenti di selvaggina, dalla classica attività venatoria e da quella conseguente all’attuazione dei piani di abbattimento/selecontrollo e di eradicazione predisposti per il contenimento delle popolazioni sovrabbondanti di ungulati, non adeguatamente contrastate in natura [1]. Un’attività di polizia giudiziaria realizzata nel 2010/11 nel territorio provinciale piacentino, finalizzata ad indagare nell’ambiente delle macellazioni clandestine di cinghiali selvatici, ha messo in luce il fenomeno del commercio illegale di carne  in quanto non sottoposta a visita ispettiva veterinaria e pertanto priva di bollatura sanitaria. Tale commercio veniva alimentato dall’attività abusiva di sezionamento degli animali abbattuti con i conseguenti rischi igienico-sanitari connessi al consumo di prodotti carnei non certificati. In sintesi, le due condizioni fondanti la tutela del consumatore nel settore agro-alimentare, la salvaguardia della salute e quella dell’ordine economico, sono state eluse. Un considerevole numero di carcasse di cinghiali abbattuti in ossequio al piano provinciale di eradicazione/selecontrollo  è stato deliberatamente occultato alla vigilanza sanitaria  in quanto oggetto di lavorazioni  completamente abusive ad opera degli stessi selecontrollori, e ciò al fine di ottenere una riduzione dei costi di sezionamento e di certificazione ed il conseguente ingiusto profitto.         

  1. 1) Per l’accordo Stato-Regioni del 17 dicembre 2009, n. 253/CSR, rientra nel campo di applicazione del Reg. CE 853/04 la cessione di capi di selvaggina di grossa taglia abbattuti nell’ambito di piani selettivi di diradamento della fauna selvatica o comunque nel corso di programmi di abbattimento e di eradicazione.
 

 

La sicurezza alimentare nella lavorazione e commercio delle carni di selvatici

 

In ambito comunitario e nazionale  si sono succedute nel corso degli anni diverse norme riguardanti la lavorazione ed il commercio delle carni della selvaggina in relazione alla loro acuita valenza commerciale e gastronomica, al fine di corrispondere in modo esaustivo alle necessità di salvaguardia igienico-sanitaria del consumatore[1]. Le direttive sono state riprese, perfezionate ed adeguate ai tempi, fino ad ottenere, con i regolamenti comunitari del cosiddetto “pacchetto igiene” del 2004, uno specifico approfondimento riguardo la salubrità e la sicurezza degli alimenti derivanti dalla lavorazione delle carni di selvaggina allevata e cacciata. Questo, in particolare, lo si legge nell’allegato III – sezione IV - del Reg. CE n. 853/2004 dove, ai capitoli I e II, per la prima volta viene indicata la necessità di requisiti formativi ed informativi per i cacciatori circa il controllo preventivo degli animali cacciati oltre all’obbligo di ricorrere, per la lavorazione della selvaggina a pelo, a strutture comparabili ai macelli dei grandi animali domestici; aspetti allora innovativi, dunque, che ribadiscono l’importanza del controllo delle carni da selvaggina lungo tutta la filiera  mediante visite ante mortem e post mortem degli animali abbattuti.  Si può certamente affermare che con l’introduzione del pacchetto igiene viene data una strutturazione organica anche all’attività di controllo delle carni di selvatici e che anche la figura del cacciatore/selecontrollore assume un ruolo di rilievo in questa produzione alimentare di nicchia; di fatto a quest’ultimo si richiedono una formazione adeguata e sufficienti nozioni per quanto attiene alle patologie della selvaggina. Al c. 5 del cap. I del Reg. CE 853 del 2004 (Corsi di formazione per cacciatori in materia di igiene e di sanità) si legge che l’autorità competente deve incoraggiare le associazioni venatorie a dispensare tale formazione. Il successivo cap.II (trattamento della selvaggina selvatica grossa) prevede l’obbligatorietà del conferimento rapido dei capi abbattuti ad un centro di lavorazione autorizzato per la lavorazione di carne di selvatico ove eseguire l’ispezione post mortem da parte dell’autorità AUSL competente per  la possibile immissione delle carni sul mercato previa bollatura sanitaria. Anche in questo caso il contributo del cacciatore/selecontrollore è fondamentale: a questi spetta l’onere della giusta conservazione dei campioni muscolari ed ematici da consegnare all’Istituto Zooprofilattico per le indagini analitiche e della compilazione di una scheda riassuntiva dove vengono riportati la data, il luogo e l’ora dell’abbattimento in modo da fornire altre indicazioni utili al veterinario ufficiale. Il cacciatore/selecontrollore quindi, per il Reg. CE n. 852/2004, diventa “produttore primario” ed in quanto tale assume la funzione di “operatore del settore alimentare” e di conseguenza responsabile della sicurezza alimentare. In sintesi, deve garantire che tutte le fasi sulle quali ha giurisdizione, dall’abbattimento al dissanguamento e fino al conferimento della carcassa presso il centro di sezionamento, soddisfino i requisiti igienici richiesti. Il veterinario pubblico, in applicazione del Reg. CE n. 854/2004, deve poi provvedere all’esame visivo della carcassa, delle sue cavità e degli organi rimasti in modo da accertare che la morte dell’animale non sia dovuta a cause diverse dall’abbattimento e contestualmente deve individuare eventuali anomalie ricollegabili a contaminazioni ambientali. Da ultimo, eseguita la scuoiatura del selvatico e constatata l’assenza di contaminazioni ovvero  di fonti di pericolo che potrebbero rendere le carni non idonee al consumo umano, viene impressa la bollatura sanitaria sulla superficie esterna della carcassa dell’animale che certifica la possibilità di immissione delle carni al commercio. Il marchio deve essere apposto  prima che il prodotto lasci lo stabilimento e questo deve essere indelebile e con caratteri decifrabili dall’organo di controllo. Alfine, presso il centro autorizzato di sezionamento di fauna selvatica, si provvede alla compilazione di un registro di carico e scarico per il capo conferito per corrispondere agli obblighi di rintracciabilità. Solo a questo punto i tagli derivati dal sezionamento della carcassa possono essere immessi in commercio con le necessarie garanzie sanitarie per il consumatore.

  1. 1) Si rammenta che ai fini del Reg. CE 178 del 2002 per “alimento” si intende qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato destinato ad essere ingerito o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito da esseri umani. Rientrano nella definizione di alimento anche gli animali vivi (compresi i selvatici) preparati per l’immissione sul mercato ai fini del consumo umano.
 

L’aspetto sanzionatorio amministrativo e penale nel pacchetto igiene

 

Il D.Lgs. n. 193  del  6 novembre 2007, strumento normativo di  attuazione della direttiva 2004/41/CE relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare,  è il risultato di una vera rivoluzione nel panorama legislativo nazionale, certamente  molto atteso dagli O.S.A. (operatori del settore alimentare) ma in particolare dagli addetti ai controlli ufficiali.  Il D.Lgs. n. 193/07, nella sua funzione di determinare le violazioni di natura amministrativa e penale al pacchetto igiene, introduce infatti una notevole semplificazione sanzionatoria oltre a stabilire la possibilità per la P.G. operante di modulare quest’ultima in base alla gravità dell’illecito commesso a scapito della sicurezza alimentare: vige quindi il concetto di applicare all’O.S.A. sanzioni pecuniarie crescenti in relazione all’aumento del rischio fatto correre al consumatore, attraverso condotte illecite in spregio alle prescrizioni contenute nei Regg. CE 852, 853 e 854 del 2004.  Prioritariamente il legislatore tende a risolvere il contenzioso con l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie, “salvo che il fatto costituisca reato” autonomo, previsto da diverse fattispecie normative.  Il D.Lgs. n. 193/07 con l’art. 6. c. 1 (Sanzioni) introduce l’unica sanzione penale specifica  proprio per il settore che riguarda la produzione delle carni ed in particolare punisce “chiunque, nei limiti di applicabilità del regolamento (CE) n. 853/2004, effettua attività di macellazione di animali, di produzione e preparazione di carni in luoghi diversi dagli stabilimenti o dai locali a tale fine riconosciuti ai sensi del citato regolamento ovvero la effettua quando il riconoscimento e' sospeso o revocato”.     Il legislatore ha quindi voluto introdurre un’aggravante per quelle condotte illecite identificabili come “macellazioni clandestine”o più in generale per l’abusiva manipolazione e preparazione di prodotti carnei che potrebbero permettere l’immissione sul mercato di carni pericolose in quanto prive di ispezioni sanitarie. La pena prevista per questo reato contravvenzionale  si sostanzia nell’arresto da sei mesi ad un anno o nell’ammenda fino a euro 150.000, in relazione alla gravità dell'attività posta in essere. In tal senso appare chiaro il ruolo strategico che può avere l’attuazione di una specifica azione di prevenzione, mirata in prima battuta a scoraggiare talune condotte in uso presso molti operatori,  informandoli delle pesanti conseguenze di ordine giudiziario ma anche igienico-sanitario in cui si può incorrere con comportamenti non conformi .

 

L’attività di contenimento del cinghiale: analisi sanitaria

 

E’ in dubbio che la presenza nell’ambiente di sempre più numerose popolazioni di cinghiale ponga seri problemi anche di interesse sanitario, oltre che ecologico. Questa specie ospita agenti eziologici di importanti patologie che possono essere trasmesse ad altri animali (domestici, da reddito, selvatici), compreso l’uomo; il continuo aumento della densità di popolazione porta inevitabilmente ad un aumento del numero di contatti con soggetti affetti da zoonosi e ad un conseguente possibile aumento del tasso di mobilità delle patologie infettive. A questo si aggiunga che l’incrementata presenza delle persone negli ambienti boschivi legata a forme di turismo agro-silvo culturali e le stesse attività silvo-pastorali, venatoria , di raccolta di funghi, tartufi e di prodotti del sottobosco aumentano le possibilità di contatto dell’uomo con questo ungulato selvatico. Quando poi non è l’uomo a invadere l’habitat del cinghiale è  più frequentemente lo stesso suide che si appropria di plaghe territoriali agricole per necessità squisitamente alimentari. Per quanto detto  appare evidente l’importanza del monitoraggio dello stato sanitario della fauna selvatica per valutare la presenza o meno di alcune patologie infettive e parassitarie tra le quali la Trichinellosi. Nel 2010, in un cinghiale cacciato nel territorio bolognese, sono state rilevate per la prima volta in Italia larve di Trichinella pseudospiralis.  Considerando che T. pseudospiralis fino a qualche anno fa non veniva censita come specie patogena nel continente europeo, e per questo studiata più per curiosità scientifica che per un concreto rischio di contaminazione, oggi ci si trova ad  avere particolare interesse per questo agente eziologico causa di zoonosi: sono ormai note le sue capacità di infettare anche l’avifauna. La descrizione di nuove specie di Trichinella, come pure il verificarsi di infezioni umane causate da T. pseudospiralis richiede la necessità di modificare l’approccio clinico-diagnostico alla trichinellosi umana, dal momento che gran parte delle conoscenze attuali si basa sulle infezioni causate dalla specie più descritta, vale a dire T. spiralis.

 
Fig. n. 1: Femmina adulta T. spiralis. Larve pienamente formata in utero
 
Fig. n. 2: Maschio adulto T. spiralis. Presenza di Pterigopodi sulla bassa coda
 
 
 

Zoonosi a trasmissione alimentare: il controllo della Trichinellosi

 

A partire dal 1 gennaio 2006 per verificare la presenza di Trichinella nelle carni di animali recettivi devono essere utilizzate solamente le metodiche analitiche indicate dal Reg. CE 2075/2005; il recepimento di tale regolamento che “definisce norme specifiche applicabili ai controlli ufficiali relativi alla presenza di Trichinella nelle carni” ha permesso la standardizzazione delle indagini trichinoscopiche in tutta l’Unione Europea. Il monitoraggio della Trichinellosi si rende necessario (e obbligatorio) in quanto non essendo questa una zoonosi esclusiva dei selvatici, potrebbe essere facilmente trasmessa anche a popolazioni di suini allevati. E’ noto infatti come la presenza sul territorio di una specie selvatica che funga da reservoir per alcune patologie infettive, possa contaminare anche il bestiame domestico interferendo notevolmente nelle classiche campagne di controllo sanitario. Nonostante le specie infestanti siano principalmente quelle carnivore, ad esempio la volpe, alla quale si riconosce il mantenimento della Trichinella nel ciclo cosiddetto “silvestre”, anche mammiferi onnivori con comportamento cannibalistico o che si nutrono di carcasse (scavenging) possono contrarre tale zoonosi;  in questo caso il cinghiale è una specie a forte rischio ma non può essere sottovalutato il rischio di contagio per i suini allevati specie allo stato brado che rientrano nel ciclo “domestico”. L’uomo invece è considerato come ospite accidentale di Trichinella spp. e l’infestazione avviene di conseguenza solo per consumo  di carni crude (o poco cotte) o di insaccati[1]. I casi di contaminazione umana sono diversi e si manifestano con  un quadro clinico che interessa l’apparato gastroenterico prima e successivamente il tessuto muscolare,  habitat ideale per il parassita. Il parassita adulto lo si trova nell’intestino tenue e ha una lunghezza che oscilla tra 1 mm per i maschi (Fig. n. 1) e 3 mm per le femmine (Fig. n. 2); le larve che nascono nell’intestino migrano attraverso la circolazione per arrivare ai muscoli scheletrici. Nel muscolo la larva si annida creando intorno a sé una struttura che la protegge e dopo circa sette settimane la sintomatologia può manifestarsi con febbre, dolori muscolari, astenia, edema facciale e periorbitale, debolezza, fotofobia, difficoltà nella coordinazione dei movimenti, problemi cardiaci e respiratori, emorragie. Una volta diagnosticata la trichinella nell’uomo, deve essere curata o potrebbe avere esiti letali; è indispensabile l’utilizzo di vermifughi ai quali il parassita è sensibile. La diagnosi viene suggerita dalla presenza di marcata eosinofilia (fino al 70%), leucocitosi, aumento degli enzimi muscolari (Cpk) e confermata attraverso esami sierologici, o in ultimo attraverso biopsia muscolare positiva per Trichinella, esame raro considerata la sua invasività.

  1. 1) Il Dipartimento di Malattie infettive, parassitarie e immunomediate (Iss), Laboratorio nazionale e comunitario di riferimento per la trichinellosi comunica che negli ultimi anni sono aumentati i casi di trichinellosi riscontrati negli immigrati dalla Romania; il fenomeno non è stato rilevato solo in Italia, ma anche in altri Paesi europei come Germania, Danimarca, e Regno Unito. Le motivazioni sono certamente imputabili al consumo di tradizionali produzioni gastronomiche insaccate importate dal paese di origine e realizzate in loco mediante macellazioni casalinghe in assenza dei dovuti accertamenti sanitari sul prodotto carneo. È noto come i processi di lavorazione che portano alla realizzazione di insaccati non debellino le larve di trichinella. 
 

La provincia di Piacenza: analisi del fenomeno

 

Al fine di contenere il numero di cinghiali nel territorio piacentino è stato adottato dalla Provincia un piano di controllo che ne prevede la totale eradicazione nei territori pedecollinari e planiziari, aree di maggiore valenza agricola ed impatto antropico, con la possibilità di effettuare prelievi selettivi anche nelle aree di montagna, considerate veri e propri serbatoi naturali di ripopolamento di questo ungulato. Le battute condotte in tale contesto vengono di norma richieste dagli agricoltori a seguito del danneggiamento delle coltivazioni operato dai selvatici; questi abbattimenti, eseguiti in attività che esulano dalla ordinaria attività venatoria, sono subordinati all’autorizzazione dell’Amministrazione provinciale di Piacenza che ne stabilisce le modalità esecutive; i selecontrollori  e comunque gli attuatori degli abbattimenti son avvisati della imprescindibile condizione di consegnare le carcasse dei cinghiali abbattuti  ai centri di macellazione abilitati ai sensi della Deliberazione di Giunta Regionale 970/2007 , per gli obblighi sanitari. Il numero di capi abbattuti  deve essere comunicato alla Provincia  e deve essere destinato nella misura del 50% agli esecutori medesimi dell’abbattimento, a titolo di rimborso spese, e nel restante 50% ai proprietari terrieri come indennizzo per i danni ricevuti alle coltivazioni agricole. Tale indennizzo avviene mediante la cessione diretta della carne ricavata dalla regolare macellazione del cinghiale o dei proventi derivanti dalla vendita legittima a consumatori finali quali ristoranti ed agriturismi. Seguendo tale prassi la carne possiede il fondamentale requisito della rintracciabilità[1] all’atto dell’immissione in commercio[2].

  1. 1) La rintracciabilità di un prodotto alimentare nella propria filiera è il presupposto cardine per una buona gestione produttiva ed è fondamentale per l’eventuale risoluzione di problemi di natura sanitaria che possono coinvolgere il prodotto stesso. Dal punto di vista legislativo e in base al Reg. CE n. 178 del 2002, “Gli operatori del settore alimentare e dei mangimi devono essere in grado di individuare chi abbia fornito loro un alimento, un mangime, un animale destinato alla produzione alimentare o qualsiasi sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento o di un mangime. A tal fine detti operatori devono disporre di sistemi e di procedure che consentano di mettere a disposizione delle autorità competenti, che le richiedano, le informazioni al riguardo”.
  2. 2) L’art. 3 c. 8 del Reg. CE n. 178/02 introduce il concetto di «immissione sul mercato», intesa come  “la detenzione di alimenti o mangimi a scopo di vendita, comprese l'offerta di vendita o ogni altra forma, gratuita o a pagamento, di cessione, nonché la vendita stessa, la distribuzione e le altre forme di cessione propriamente detta”.
 

La macellazione clandestina

 

La complessa attività di P.G. imbastita nel territorio piacentino ha permesso di acclarare come molti  selecontrollori  abbiano volutamente omesso la comunicazione agli uffici provinciali del numero di capi uccisi, non inviando le schede riassuntive della battuta al fine di occultare la carne e di creare un mercato nero. La giustificazione tecnica a queste mancanze addotta da molti operatori risiedeva nei dichiarati problemi logistici nel raggiungere l’unico centro di lavorazione autorizzato: il tempo necessario per raggiungerlo, in ragione del luogo dell’abbattimento, risultava incompatibile con le esigenze di conservazione della carcassa, specie nei periodi nei quali le temperature climatiche risultano più elevate. In realtà molti selecontrollori, così facendo, eludevano la spesa ( 30 euro a capo) per la macellazione “regolare”. L’indagine permetteva di individuare quindi alcuni ristoratori  implicati nella compravendita illegale di carne di cinghiale: nei congelatori di diversi locali agrituristici ispezionati congiuntamente al personale A.U.S.L venivano  rinvenuti notevoli quantitativi di carne di cinghiale priva di rintracciabilità, quindi sottoposta a vincolo sanitario per la successiva distruzione. Non casualmente tali attività di ristorazione erano tutte gestite da persone legate al mondo del telecontrollo; è facile pensare come l’introduzione della carne nei circuiti commerciali della ristorazione locale avvenisse senza tanta difficoltà e che l’approvvigionamento della materia prima fosse il reale motivo per l’attivazione del selecontrollo. Ai ristoratori coinvolti sono state comminate le dovute sanzioni amministrative ed in un caso è stata disposta la chiusura del locale per  gravi non conformità di ordine sanitario.

 

Work in progress

 

Quale esito stragiudiziale più significativo dell’attività d’indagine attuata, è stata autorizzata nel territorio piacentino l’apertura di altri tre centri di macellazione di fauna selvatica, determinandosi quindi un concreto cambio di orientamento. Anche dalle province limitrofe  ora provengono carcasse di cinghiali  da battute di telecontrollo ed il numero di capi sezionati regolarmente è passato dai 60 ai circa 500 l’anno. L’espletamento di un’azione di controllo nell’esercizio delle competenze professionali proprie del CFS ha determinato tangibili conseguenze incidendo in modo rilevante sul fenomeno  delle macellazioni clandestine di cinghiali, con ripristino di condizioni di legalità e sicurezza ed emersione di una filiera controllata  e non marginale. Il rischio incombente, cui il CFS dovrà porre la necessaria attenzione, è che una volta consolidata la prassi della filiera selecontrollo-macellazione-commercio le ragioni ecologiche che sono all’origine dei piani faunistici di controllo possano essere superate da quelle economiche e che l’intero meccanismo possa diventare uno strumento surrettiziamente utilizzato per alimentare la filiera economica, essendosi perso il fine originario del riequilibrio territoriale delle popolazioni del suide.   

 

Bibliografia

 
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