Il carsismo caratterizza il cuore della Puglia, nell’area denominata Murgia, le cui peculiarità principali sono rappresentate dalla roccia affiorante e dalla elevata pietrosità.
I venti e le acque ricche di anidride carbonica hanno modellato, nel corso dei millenni, questa massa calcarea con una lenta azione di erosione meccanica e chimica, scolpendo la roccia e dando luogo ad un eccezionale repertorio di “sculture calcaree”, le più diffuse delle quali sono i bacini carsici.
I terreni dell'altopiano murgiano, per le caratteristiche sopra descritte, si prestano ottimamente al pascolo, ma sono poco adatti all’uso agricolo, poiché la pietrosità limita l'approfondimento degli apparati radicali delle coltivazioni ed impedisce l'accesso delle macchine agricole nei fondi. Di conseguenza, in questa area il lavoro agricolo si è storicamente circoscritto nei canali e nelle lame - ricchi di sedimenti terrosi – che venivano migliorati attraverso la spietratura manuale o tramite i vomeri degli aratri. Infatti, alla fine di ogni ciclo produttivo, i contadini raccoglievano le pietre affioranti o rimosse dagli aratri utilizzandole poi come materiale per la realizzazione di innumerevoli manufatti: trulli, recinti per le bestie, muri a secco e altre creazioni, vere e proprie opere d’arte che caratterizzano il paesaggio pugliese murgiano.
A partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, la spietratura manuale fu rimpiazzata da tecniche meccanizzate sempre più efficaci, cui si è dato il nome di "spietramento", che interessò non solo i terreni storicamente coltivati ma anche le superfici con rocce affioranti da sempre utilizzati a pascolo, ovviamente con notevoli danni al territorio.
Un primo sistema di intervento sui “nuovi terreni” fu intrapreso sul finire degli anni ’80 quando la Regione Puglia, all’interno dei programmi di sviluppo agricolo e forestale, emanò la legge regionale n. 54 del 31 agosto 1981. La norma per favorire i territori di collina e di montagna, al fine di incrementare il reddito di lavoro nelle campagne, per il settore della zootecnia finanziava lo sviluppo delle produzioni foraggere attraverso il miglioramento dei pascoli, non contemplandone la loro trasformazione in seminativo.
Questi interventi, non particolarmente incisivi sull’ambiente, avevano lo scopo di migliorare la produttività delle aziende zootecniche fermo restando la destinazione a pascolo dei terreni “lavorati”.
Terminata questa prima fase, iniziò la "frantumazione della Murgia", ossia la trasformazione di territori destinati da sempre al pascolo in terreni seminativi, al fine di accedere fraudolentemente a maggiori contributi, nell'ambito dell'integrazione dei redditi da cerealicoltura.
La Comunità Economica Europea impose una riduzione dei prezzi dei seminativi per ravvicinarli a quelli del mercato mondiale. Al fine di compensare la perdita di reddito gravante sui coltivatori di seminativi, fu adottato il Regolamento CEE n° 1765/92 (successivamente il Reg. CEE 1251/99) che istituì un regime di pagamento proporzionale alla superficie coltivata, definito aiuto compensativo. Il regolamento fissava le modalità di accesso a tale sovvenzionamento prevedendo all’art. 9 del Reg. CEE 1765/92, confermato dall’art. 7 del Reg. CEE 1251/99, che le domande di pagamento compensativo, presentate dai conduttori dei terreni seminativi, non avrebbero dovuto riguardare terreni destinati alla data 31.12.1991 al pascolo permanente, a colture forestali o ad usi non agricoli, le cui superfici quindi non erano eleggibili. La stessa normativa escludeva pagamenti a favore di beneficiari per i quali si accertava la creazione artificiale delle condizioni necessarie per ottenere i parametri in questione.
Quindi oggetto di contributi della CEE erano solo le superfici storicamente utilizzate a seminativo.
Diversamente cominciò un’attività fraudolenta di modifica dello stato dei luoghi finalizzata ad occultare la vocazione dei fondi di origine naturale/pascolo che si correlo con la presentazione della domanda di aiuto compensativo nella quale, mendacemente, si affermava l’utilizzo a seminativo di quei fondi già prima del 1992, quindi eleggibili al premio.
Così ebbe inizio l’attività di spietramento del substrato calcareo dei pascoli, con la successiva attività di scarificatura effettuata con potentissimi mezzi meccanici. All’inizio si trattò di episodi sporadici, poi, quando si capì quanto questo meccanismo fosse redditizio, il fenomeno, favorito da un decennale vuoto normativo di tutela del territorio, si ampliò a dismisura ed fu eseguito anche su terreni rocciosi o acclivi, laddove la sua utilità agronomica era prevedibilmente nulla.
Inoltre interessati dai lavori furono anche i segni che l’uomo nel corso del tempo aveva lasciato sul territorio: i muretti a secco, le strade interponderali, i tratturi, i pozzi, le cisterne e le neviere, “macinati” da pseudo agricoltori per far posto a pochi metri quadrati di terreno “nudo” da inserire nella domanda di compensazione al reddito.
Forte è stato l'impatto ambientale causato da anni di spietramento; oltre ai gravi danni alla biodiversità derivanti dalla distruzione dell’ecosistema pseudosteppa, sono visibili le massicce trasformazioni a carico del paesaggio murgiano, che ha perso la sua secolare identità per trasformarsi, in molte zone, in una monotona distesa di ciottoli frantumati.
Celato agli occhi dei più, invece, è il rischio erosione cui i terreni spietrati sono sottoposti. Da studi pedologici risulta che le caratteristiche strutturali dei suoli "macinati" peggiorano, in quanto diminuisce la percentuale di sostanza organica ed aumentano le particelle fini inerti. Ciò comporta che, durante piogge intense e con pendenze moderate, parte di questi suoli scivoli lungo i versanti, andando ad accumularsi negli avvallamenti, spesso in corrispondenza di opere antropiche.
- Figura 2 - le lame storicamente coltivate
Il danno idrogeologico non riguarda solo il territorio murgiano, ma si allarga anche alle zone litorali. Infatti, si è constatato che dove si riversano le lame provenienti dalle zone trasformate è aumentata la frequenza di insoliti eventi di piena ed allagamenti. Numerosi sono stati gli eventi alluvionali violenti che, negli ultimi anni, nel barese e nel tarantino, hanno causato notevoli danni ad abitazioni, coltivazioni e infrastrutture. Ancora vivo, ad esempio, è il ricordo di quanto successo nell'autunno 2003 a Palagiano, nella provincia di Taranto, in cui crollarono due ponti stradali.
Ed è proprio il 2003 l’anno in cui il Corpo Forestale dello Stato effettuò il primo sequestro di un terreno della Murgia barese abusivamente convertito. Tali territori non erano più privi di tutela; infatti, già dalla fine degli anni 90’ furono designati dalla regione Puglia tra i Siti d'Importanza Comunitaria (SIC) e Zone di Protezione Speciale (ZPS) denominati “Murgia Alta”.
L’indagine divenne il punto di partenza per una serie serrata e capillare di controlli effettuati sull’area che, dal 2004, sarebbe, inoltre, diventata “Parco Nazionale dell'Alta Murgia”.
In tre anni i Forestali del Comando Stazione di Corato (Bari) con la collaborazione del Comando Stazione di Spinazzola (Bari) e del Nucleo Antifrodi dei Carabinieri di Salerno perlustrarono la superficie del Parco per censire e perimetrare tutte le trasformazioni avvenute successivamente al 1992. Migliaia risultarono gli ettari di terreni di natura carsica storicamente destinati alla pastorizia oggetto di “miglioramento fondiario”.
- Figura 3 - Terreni oggetto del processo di restaurazione vegetale
Lo spietramento ha prodotto, e continua a produrre, la liberazione in atmosfera di masse significativa di gas-serra di CO2 e altri gas-serra, per via del disfacimento sia della biomassa (Epigea ed ipogea) sia, come detto in precedenza, della sostanza organica del suolo.
Ultimo aspetto da valutare, ben evidenziato dagli esperti nominati dalla Procura di Trani, è la distruzione della biodiversità attraverso la devastazione della Steppa a Graminacee, habitat naturale del Falco Grillaio specie simbolo della Murgia.
Tali effetti sono accentuati dalla costante coltivazione agraria protratta nel corso degli anni che determina una irreversibile distruzione dell’ambiente naturale. Tale pratica, infatti, sviluppandosi in un arco temporale esteso comporta la perdita delle caratteristiche naturali e seminaturali delle aree compromettendo l’originaria vocazione dei suoli.
Al fine di interrompere le condotte delittuose sopra evidenziate la Procura della Repubblica emise nel gennaio del 2006 il provvedimento di arresto per 30 persone, tra le 86 indagate, contestualmente a dei provvedimenti di sequestro preventivo per 3000 ettari di natura seminativo e pascolivo. Inoltre furono elevate 10.000.000 di euro di sanzioni amministrative per l’indebito percepimento di aiuti comunitari.
Dieci anni sono trascorsi dall’esecuzione dei provvedimenti cautelari personali e reali, tutti confermati nel 2006 dal Tribunale della Libertà e dalla Cassazione aditi dagli indagati per confutare l’esistenza dei presupposti di misure tanto restrittive.
Lasciando da parte la fase processuale della vicenda, che si è conclusa di fatto con la prescrizione di molte posizioni, alcune assoluzioni e con pochissime condanne, è importante segnalare una conseguenza positiva della operazione: dal 2006 nella Murgia non è stato movimentato un solo metro quadro di pascolo!
L’attività di spietramento, perpetrata per oltre 20 anni, che ha mutato i connotati storici di un territorio tardivamente inserito nel “Parco Nazionale dell’Alta Murgia”, si è fermata.
D’altro canto molti terreni già trasformati non sono stati più oggetto di lavorazioni periodiche sia a causa delle imposizioni della Procura sia per scelte economiche imprenditoriali.
Infatti, paradossalmente si è constatato che condurre a seminativo i terreni “spietrati” è economicamente poco conveniente; in effetti dopo un’iniziale produttività, tali terreni risultano poco fertili. La trasformazione d’uso da pascolo a seminativo risulterebbe per i primi anni vantaggiosa, valutando un’analisi costi – benefici dell’intervento che si basi esclusivamente sulla produttività per ettaro; ma già considerando un periodo di riferimento più lungo, gli interventi appaiono del tutto svantaggiosi.
Fortunatamente in queste aree è iniziato il processo di restaurazione vegetale con la ricostituzione delle originarie caratteristiche.
La durata di tale progresso è valutabile in oltre un secolo.
Nelle migliori delle ipotesi basteranno 5 decenni, qualora questa evoluzione sarà assistita dall’uomo con l’introduzione di specie che caratterizzano la vegetazione naturale di questo territorio.
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