Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

MONITORAGGIO DEL TERRITORIO
FIUMI E VELENI
01/07/2014
di Giovanni Damiani Direttore Tecnico dell’ARTA  Professore incaricato Università degli Studi della Tuscia Viterbo

Potremmo disquisire a lungo sulla soggettività della visione di un fiume, considerando punti di vista utilitaristici: fonte d’acqua per gli usi domestici e per irrigare le colture; allevamento di pesci per i pescatori; eccezionale riserva di “selvaggina” per il cacciatore

  

Riassunto


Potremmo disquisire a lungo sulla soggettività della visione di un fiume, considerando punti di vista utilitaristici: fonte d’acqua per gli usi domestici e per irrigare le colture; allevamento di pesci per i pescatori; eccezionale riserva di “selvaggina” per il cacciatore; formidabile giacimento di materiali litoidi per quelli che costruiscono città; idrovia per chi si occupa di trasporti; riserva di legname tenero e flessibile per una moltitudine di usi (dalla fabbricazione dei cesti a quella della carta, delle cassette per la frutta e degli zoccoli di legno); serbatoio di canneti per ricavarvi stuoie e paglia per le sedie; deposito di legname secco per il riscaldamento della casa; luogo di ricreazione e di svago; fornitore di liquido refrigerante per le centrali termoelettriche e nucleari o per applicazioni industriali; solco di allontanamento e di escrezione dei nostri scarichi domestici, metabolici ed industriali. Ma soprattutto non si dimentichi che per i fiumi è meglio prevenire, non inquinare, piuttosto che depurare. Essi sono “i reni” che depurano le acque che circolano nel territorio…mentre i depuratori sono macchine  per la “dialisi”. Consideriamo sempre che la differenza tra un’acqua pura ed una depurata è grandissima, e ciò che è nocivo per i fiumi lo è anche per i nostri impianti di depurazione che spesso sono danneggiati da sostanze tossiche.

Abstract
River and poisons From the utilitarian to the ecologic approach
We could lengthily discuss about the subjectivity of the vision of a river, by taking into account utilitarian views: water sources for home uses and to irrigate crops; fish breeding for fishermen; stunning sink of “game” for the hunter; wonderful quarry of rock materials for city builders; water road for transports; sink of soft and flexible timber for many uses (from baskets to paper production, of fruit baskets and clogs); reed reserve to be woven and produce straw for chairs; reserve of dry timber for house heating; recreational and leisure place; source of refrigeration liquid for thermoelectric and nuclear power plants of for industrial applications; sewage system from liquid home and industrial wastes. But, over all, it cannot be forgotten that for the rivers it is better preventing then polluting, instead of cleaning them later on. They are the “kidneys” able to filter the waters circulating in the land, while the purifiers are machines for the “dialysis”. We must always consider that the difference between a clear and a purified is huge, and what is dangerous for the rivers is dangerous also for our depurations plants often damaged by toxic substances.

 
 
 

Dall’approccio utilitaristico a quello ecologico

Anche tra chi si occupa del loro studio, i fiumi  possono essere visti in vari  modi a seconda della sensibilità, della formazione e degli scopi dell’osservatore.

 
 
 
  1. Per i geografi, fin dall’antichità, essi erano i principali se non unici effettivi riferimenti per orientarsi sul territorio:basta guardare le carte geografiche redatte a partire dal 1500,  di Ortelius o del Mercatore, per capire che la centralità del disegno geografico era costituita solo dai corsi d’acqua. Anche Dante Alighieri identifica i luoghi dei suoi personaggi principali attraverso la descrizione dei fiumi che  vi scorrono: essi sono infatti gli elementi più longevi  praticamente perenni  del territorio e fino a quando esisterà la pioggia ed una pendenza, scorreranno in un solco verso il basso con poche deviazioni;
  2. Per gli studiosi di idraulica i corsi d’acqua rappresentano la fase terrestre del ciclo idrologico:mediante la misura delle piogge essi ricostruiscono l’entità del “capitate” acqua in un bacino, e attraverso le misure delle portate lungo il reticolo arborescente superficiale, ne seguono lo scorrimento e ne traggono un bilancio. Per loro i fiumi sono, quasi sempre, “canali naturali” e fonte di pericolo per le esondazioni;
  3. Per chi si occupa di energia il fiume è una fonte inesauribile di energia rinnovabile: quanto più elevate sono la pendenza e la portata idrica, tanto più è interessante piazzarci una diga e relative turbine;
  4. Dai geologi invece il fiume è visto come la strada attraverso la quale avviene incessantemente il traffico  unidirezionale di trasporto solido. L’acqua, sgretola, leviga, trasporta, scioglie, deposita, e quindi con il suo scorrere è una sorta di nastro trasportatore che si carica dei residui dell’ erosione e del di scioglimento di rocce e terreni presi dalle zone di montagna e che va a depositare tutto quanto a valle, costruendo incisioni e valichi (entro cui abbiamo ricavato comode strade) e pianure fertili ricche di anse e di meandri. “L’acqua e’ ’l vetturale della natura” scriveva Leonardo da Vinci, e il geologo Leopold quasi cinque secoli dopo aggiungeva:“i fiumi trasportano le rovine del mondo”;
  5. I Biologi vedono il fiume come una successione di ecosistemi aperti, correlati fra loro dall’acqua che fluisce, popolati da tipiche comunità animali e vegetali e da bioriduttori, macro e microscopici, tutti in rapporto con i fattori  abiotici, biotici e morfologici dell’alveo, delle acque, delle sponde e del territorio attraversato;
  6. Per il chimico le acque del fiume allo stato naturale rappresentano invece soluzioni e sospensioni in scorrimento, con la composizione che varia a seconda dei tipi di terreni drenati, del percorso effettuato dalle acque (più è lungo e più sali troviamo disciolti in acqua) e con gas disciolti. I gas principali sono l’ossigeno e l’anidride carbonica con i suoi derivati, fra cui il più importante ed abbondante è lo ione bicarbonato che funge da stabilizzatore del pH delle acque.

Potremmo continuare a disquisire a lungo sulla soggettività della visione di un fiume, considerando altri punti di vista utilitaristici: fonte d’acqua per gli usi domestici e per irrigare le colture; allevamento di pesci per i pescatori; eccezionale riserva di “selvaggina” per il cacciatore; formidabile giacimento di materiali litoidi per quelli che costruiscono città; idrovia per chi si occupa di trasporti; riserva di legname tenero e flessibile per una moltitudine di usi (dalla fabbricazione dei cesti a quella della carta,  delle cassette per la frutta e degli zoccoli di legno); serbatoio di canneti per ricavarvi stuoie e paglia per le sedie; deposito di legname secco per il riscaldamento della casa; luogo di ricreazione e di svago; fornitore di liquido refrigerante per le centrali termoelettriche e nucleari o per applicazioni industriali; solco di allontanamento e di escrezione dei nostri scarichi domestici, metabolici ed industriali.

In assenza storica di una visione integrata ed olistica (e di un adeguato conseguente quadro legislativo) è questa grande varietà di “servizi” che il fiume fornisce, e che ne alimenta punti di vista ed appetiti economici così vasti ed importanti,  ad averne decretato lo stato di incredibile degrado in cui versa, oramai, a livello mondiale.
Sono in crisi persino i più grandi fiumi del Pianeta, dal Gange al Rio Grande (che non arriva più all’oceano per l’eccesso di prelievi!) al Nilo.
Le normative di settore in materia di difesa delle acque dall’inquinamento hanno storicamente avuto il limite fondamentale di garantire gli usi dell’acqua, piuttosto che l’intero ciclo e la moltitudine di aspetti che la risorsa include nella sua complessità. Anche in Italia fino al 1999 non è mai esistita una legge sull’acqua, ma articoli di codice e una moltitudine di leggi e leggine che riguardavano la tutela igienica e la sicurezza dell’acqua per…usi specifici .
Il livello di deterioramento raggiunto dai nostri fiumi ha tuttavia mostrato che l’attenzione a un uso contingente, attuale e specifico, non è in grado di tutelare la risorsa perché fa perdere di vista tutti gli altri aspetti  e le interrelazioni per gli altri usi possibili.
Il cambio di paradigma su cui fondare una moderna ed adeguata azione di tutela è stato avviato in Italia con il Decreto Legislativo 152 del 1999 e poi si è consolidato con la successiva e vigente legislazione europea della Direttiva Quadro sulle Acque 60/2000/CE.

 

L’obiettivo principale è diventato quello di garantire, per le acque interne, il più alto livello possibile di integrità ecologica.

La Direttiva, recepita con il Decreto Legislativo 152 del 2006 (Norme in materia ambientale), fa ampio ricorso all’uso di Indici Biotici per valutare la qualità delle acque e in pratica si ispira ai seguenti criteri:

 
  1. garantire la rinnovabilità qualitativa della risorsa acqua (quella quantitativa è garantita dal ciclo idrologico), basata sul “servizio” che i fiumi rendono in quanto formidabili depuratori naturali delle acque circolanti sul territorio;
  2. avere approccio complessivo che consideri contestualmente flora, fauna, idromorfologia, chimismo, qualità dell’acqua e dell’ambiente fluviale….e, in definitiva l’ecologia dell’ambiente legato alle acque;
  3. integrare nella valutazione e nella gestione, come inscindibili, gli aspetti qualitativi da quelli quantitativi (portate, Deflusso Minimo Vitale);
  4. dopo aver fissato come obiettivo prioritario la massima integrità ecologica accettabile e raggiungibile, la legge va a disciplinare anche gli usi per specifica destinazione.
 
Larve assai giovani dell’artropode crostaceo malacostraco Autropotamobius pallipes, il gambero di fiume italiano.

In tanti hanno definito “rivoluzionaria” questa nuova filosofia.  La sua logica consiste nell’analizzare se nel fiume vi è assenza di inquinanti significativi,  e se nella la specifica idro-macro-regione in cui scorre, si trova il  popolamento “giusto” di macroinvertebrati (larve e ninfe di insetti, crostacei, planarie, molluschi, sanguisughe, vermi ecc. ), di alghe (diatomee in primis), di macrofite, di pesci . Un esito positivo vuol dire che l’ambiente ha buone funzioni di depurazione naturale, che la qualità dell’acqua è buona per la vita genericamente intesa, e anche per gli usi dell’uomo sia per la nostra generazione che per quelle future. Integrità, infatti, significa rinnovabilità della risorsa e durevolezza…e, in una parola, sostenibilità dell’uso delle acque. Una buona integrità ecosistemica del fiume consente anche una molteplicità di usi umani delle sue acque.

 

Larve assai giovani dell’artropode crostaceo malacostraco Autropotamobius pallipes, il gambero di fiume italiano.  Sebbene quelle fotografate abbiano poche settimane di vita e siano piccole di circa 1,5 cm (vi veda a confronto l’insetto nell’immagine che è un Agrion), gli esemplari sono perfettamente formati.
Austropotamobius pallipes (Lereboullet, 1858) è specie inserita negli allegati II e V della Direttiva 92/43/CE “Habitat”.
Il gambero di fiume, una volta assai comune, dai primi anni ’70  ha subito un crollo demografico della specie scomparsa da interi bacini idrografici. Essa sopravvive attualmente in  18 Paesi  europei, ma con una presenza talmente rarefatta da essere ritenuta a concreto rischio di estinzione.


 

Riporto alcuni passaggi tra i più significativi per i fiumi, del D.Lgs.152/2006recante “Norme in materia ambientale, in recepimento della direttiva 60/2000/CE (WFD= Waters Framework Directive– Europa 2000), che fa proprie anche le norme di qualità ambientale (obiettivi di qualità), fissate dalla Direttiva 76/464/CE sulle sostanze pericolose (Europa,1976).

 

art. 73 (Finalità)

  1. prevenire e ridurre l’inquinamento e attuare il risanamento dei corpi idrici inquinati;
  2. conseguire il miglioramento dello stato delle acque ed adeguate protezioni di quelle destinate a particolari usi;
  3. perseguire usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche, con priorità per quelle potabili;
  4. mantenere la capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici, nonché la capacità di sostenere comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate;
  5. mitigare gli effetti delle inondazioni e delle siccità contribuendo quindi a:
  6. garantire una fornitura sufficiente di acque superficiali e sotterranee di buona qualità per un utilizzo idrico sostenibile, equilibrato ed equo;
  7. ridurre in modo significativo l’inquinamento delle acque sotterranee;
  8. (omissis)..
  9. impedire un ulteriore deterioramento, proteggere e migliorare lo stato degli ecosistemi acquatici, degli ecosistemi terrestri e delle zone umide direttamente dipendenti dagli ecosistemi acquatici sotto il profilo del fabbisogno idrico.
 

Il raggiungimento degli obiettivi indicati al comma 1 si realizza attraverso i seguenti strumenti:

 
  1. l'individuazione  di obiettivi di qualità  ambientale e per specifica destinazione dei corpi idrici;
  2. la tutela integrata degli aspetti qualitativi e quantitativi nell’ambito di ciascun distretto idrografico e un adeguato sistema di controlli e  di sanzioni;
  3. il rispetto dei valori limite agli scarichi fissati dallo Stato, nonché la definizione di valori-limite in relazione agli obiettivi del corpo recettore;
  4. l’adeguamento dei sistemi di fognatura, collettamento e depurazione degli scarichi idrici, nell’ambito del servizio idrico integrato;
  5. l’individuazione di misure per la prevenzione dell’inquinamento nelle zone vulnerabili e nelle aree sensibili;
  6. l’individuazione delle misure tese alla conservazione, al risparmio, al riutilizzo e al riciclo delle risorse idriche;
  7. l’adozione delle misure per la graduale riduzione degli scarichi, delle emissioni e di ogni altra fonte di inquinamento diffuso contenente sostanze pericolose o per la graduale eliminazione degli stessi  allorchè contenenti sostanze pericolose prioritarie, contribuendo a raggiungere nell’ambiente marino concentrazioni vicine a valori del fondo naturale per le sostanze presenti in natura  e vicine allo zero per le sostanze sintetiche antropogeniche;
  8. l’adozione di misure volte al controllo degli scarichi e delle emissioni in acque superficiali secondo un approccio combinato.
  9. Il perseguimento delle finalità e l’utilizzo degli strumenti di cui ai commi 1 e 2, nell’ambito delle risorse finanziarie previste dalla legislazione vigente, contribuiscono a proteggere le acque territoriali e marine e a realizzare gli obiettivi degli accordi internazionali in materia.
 

All’art. 76 (Disposizioni generali) comma 2 stabilisce che per i fiumi: “L’obiettivo di qualità ambientale è definito dalla capacità dei corpi idrici di mantenere i processi naturali di autodepurazione e di supportare comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate”.
Inoltre all’art. 77 comma 3 (sempre in applicazione della Direttiva) stabilisce che entro il 31/12/2008 ogni corpo idrico superficiale classificato, o tratto di esso, deve conseguire almeno i requisiti dello stato di “sufficiente”  di cui all’Allegato 1 alla Parte Terza del Decreto”, e che entro il 22/12/2015 si debba pervenire al raggiungimento dell’obiettivo di qualità ambientale corrispondente allo stato di “buono”.

 

L’evoluzione dell’inquinamento delle acque

Nel mondo antropizzato, dove trovare più, oramai, un fiume effettivamente definibile “in condizioni naturali”?
L’acqua, il più potente solvente che in misura diversa tutto scioglie e trasporta, è nella sua fase terrestre interessata da inquinanti d’ogni genere, di origine organica-metabolica e da inquinanti xeno-biotiche, in massima parte di sintesi.  Quando si parla di inquinamento in genere si pensa ad addossare la responsabilità prevalente ai soli scarichi industriali, ma se andiamo ad approfondire la situazione è ben più complessa e chiama in causa l’intero assetto della società, i nostri stili di vita ed il modo in cui trattiamo il territorio.
Nel medioevo e fino all’epoca pre-industriale i problemi d’inquinamento idrico derivavano essenzialmente dalla possibile contaminazione microbica fecale delle acque superficiali e di falda, provocata dall’infiltrazione di liquami sul suolo, dai pozzi disperdenti, dalle latrine collettive delle città.  Vi era la pratica comune di buttare le deiezioni e le poche acque domestiche dalle finestre e, nei grandi centri abitati, direttamente in strada. Oltre all’indebolimento delle popolazioni in tutta l’Auropa causato dal crollo della produzione di alimenti per anomalie climatiche legate all’esplosione di vulcani e all’attività solare, vi furono epidemie di colera e  di tifo che causarono uno sterminio per fame e per malattie.   Fino alla metà dell’800, infatti,  la stragrande moltitudine della popolazione non aveva l’acqua corrente in casa ed erano pochissime le città fornite di fognature.
La detergenza domestica non costituiva un problema rilevante per l’inquinamento in quanto per lavare venivano utilizzati liscivie di cenere, argilla, erbe contenenti saponosidi, e più tardi saponi a base di acidi grassi naturali completamente e velocemente biodegradabili.
La popolazione, inoltre,  era meno della metà di quella attuale e l’agricoltura non impiegava sostanze chimiche di sintesi.
L’estrema penuria di fertilizzanti rendeva intimamente interconnessi fra loro agricoltura ed allevamento e questo non produceva reflui idrici da smaltire nel ciclo dell’acqua : i concimi azotati e fosfati delle deiezioni animali, il “letame”, erano  considerati una grande risorsa per la terra, avevano un notevole valore economico e a nessuno sarebbe mai venuto in mente di disfarsene buttandolo nell’acqua.
All’inizio del 1900 vi è la riscoperta delle fogne, dei sistemi fognari e dei servizi igienici che erano stati praticamente abbandonati pressochè dovunque, fin dall’epoca del caduta dell’impero romano.
Lo sviluppo delle reti fognarie, in quanto raccoglitrici di quote vastissime di metaboliti dalla popolazione e aggregatrici dell’inquinamento in determinati punti, provocava danni molto rilevanti ai  corsi d’acqua. Infatti piccoli scarichi diffusi inquinano meno degli stessi unificati in un punto perché nell’ambiente acquatico oltre un certo limite non v’è ossigeno disciolto necessario ai processi naturali autodepurativi. Stiamo parlando di una svolta epocale: il ciclo dell’acqua, anche per la crescita della popolazione, non aveva mai conosciuto l’immissione così massiccia di sostanza organica nella sua fase terrestre.
Soprattutto in ambiente urbano, praticamente ovunque, scomparvero in pochi decenni migliaia di chilometri di piccoli corsi d’acqua che costituivano il reticolo naturale di fossi colatori del territorio. Prima erano stati utilizzati per allontanare gli scarichi fognari a cielo aperto e poi, resi fetidi e pericolosi per la salute, a grande richiesta, sono stati progressivamente intubati o coperti.  Anziché costruire fognature autonome dai fossi che avrebbe reso successivamente assai più facile e soprattutto continua e meno costosa la moderna depurazione tecnologica degli scarichi, si è annientato i ruscelli in città. Questi erano  ambienti bellissimi dal punto di vista ecologico, spazi di biodiversità, risorse preziose per l’irrigazione gratuita  in ambiente urbano, bellissimi e attraenti anche dal punto di vista paesaggistico mentre svolgevano un ruolo importante anche sul microclima locale che, con la loro scomparsa, è divenuto così generalmente arido.  Oggi la loro presenza è rilevabile solo quando, nel corso delle piogge intense, vanno in piena eruttando liquami sulle strade, e il loro percorso è rintracciabile solo consultando, ove disponibili, le vecchie carte geografiche. In Germania da anni sono state condotte esperienze mirate alla loro riscoperta e rinaturalizzazione (renaturierung), mentre da noi (e non solo) si continua ad intubare quelli superstiti. Provate ad affacciarvi da un ponte e ad osservare il fiume nelle ore successive ad una pioggia intensa:  lo troverete sporchissimo perché le fognature miste (ex fossi colatori) andando in piena, si sono auto-ripulite dai sedimenti luridi e la loro portata considerevole, incompatibile con le potenzialità di trattamento dell’impianto di depurazione, è stata sversata direttamente tramite by pass nel corpo ricettore.
Tutto il 1900 è caratterizzato dallo sviluppo della produzione di nuove molecole di sintesi chimica:  all’inquinamento organico e fecale che negli anni precedenti erano stati i principali problemi ambientali dell’acqua si aggiunge così, con sempre maggiore importanza, l’inquinamento chimico derivante dalla diffusione di decine di migliaia di nuove molecole di sintesi industriale. Esse sono sconosciute alla natura, in larga misura indegradabili, tossiche, in grado di accumularsi nelle catene alimentari e di contaminare gli alimenti. Nuove molecole sono state utilizzate per circa mezzo secolo a livello di massa, come, ad esempio, i formulati detergenti di sintetici che inizialmente erano tutti a base non biodegradabile e con una pletora di additivi assai inquinanti.  I fiumi degli anni ’60-70 erano coperti da schiume bianche.
L’agricoltura adotta molecole di sintesi sia per la fertilizzazione dei terreni che per la lotta ai parassiti e alle erbe infestanti. Anche a causa egli abusi o usi impropri,  l’inquinamento che ne risulta è particolarmente insidioso e in gran parte persistente, (sia per l’incremento dei nitrati nelle acque correnti e nelle falde che per i pesticidi clorurati), diffuso, e come tale non affrontabile con rimedi tecnologici “a valle”.

: Lavori di copertura superficiale (capping) della discarica di Bussi sul Tirino. Ritenuta la discarica di rifiuti chimici più grande d’Europa, scoperta nel 2006, non è ancora in sicurezza effettiva essendo permeata dalle acque del confinante fiume Pescara.

L’accelerazione più forte del XX secolo si è avuta infatti dopo la seconda guerra mondiale, con  l’esplosione dell’era della chimica (praticamente tutti i grandi impianti chimici e petrolchimici realizzati in Italia all’epoca  sono oggi nell’elenco dei  SIN -“siti contaminati  di interesse nazionale”!) , con il cosiddetto “boom economico” e l’affermarsi trionfante del consumismo (negli anni ‘60 venne coniato il termine “società dei consumi”), con la crescita dell’urbanizzazione, della popolazione e dei servizi di fognatura e della produzione dei rifiuti indegradabili.
I problemi nuovi, che sommandosi ai vecchi mettono in crisi straordinaria le nostre acque,  sono: inquinamento industriale, inquinamento chimico, organico e microbiologico da fognature urbane, inquinamento  diffuso dei suoli e inquinamento diffuso delle falde.   La stragrande maggioranza delle discariche per rifiuti solidi urbani era prossima ad un corso d’acqua,…e i cumuli venivano incendiati periodicamente per creare spazio a nuovi rifiuti, aspettando la piena che le ripulisse. Il livello raggiunto dalle piene era visibile dalla disseminazione di sacchetti di plastica intrappolati dalla vegetazione fluviale, rimasti a sventolare come tristi bandierine lungo interi corridoi fluviali e le spiagge prossime ai litorali accumulavano tonnellate di rifiuti di plastica d’ogni genere.
Si produce diffusamente  in quel periodo un nuovo fenomeno, l’eutrofizzazione delle acque litoranee-marine, dei laghi e delle acque correnti, causata dall’eccesso di nutrienti (composti azotati e fosfati) veicolati dai fiumi e derivati dagli scarichi delle fognature urbane (all’epoca i detergenti contenevano il 9% di polifosfati che costituivano la metà dell’apporto di fosforo dall’ambiente domestico!), dagli allevamenti agricoli e dai trattamenti di fertilizzazione chimica diffusa dei suoli.
Le attività di allevamento, in particolare, subivano un processo di crescita delle proprie caratteristiche industriali (da estensivi divenivano intensivi), crescevano di numero e dimensioni e,   per la ricerca del massimo profitto da conseguire con l’impiego della minor manodopera possibile, per la prima volta diveniva un’attività a straordinario consumo di acqua per via dell’automazione introdotta per le pulizie e per allontanare le deiezioni.
Nello secolo appena concluso, a partire dagli anni ’70 inizia l’era  in cui compaiono i primi  impianti di depurazione, all’epoca invocati come grande speranza, rivelatisi poi necessari ma tutt’altro che risolutivi.
La scienza sottovalutò la portata delle conseguenze ecologiche e sanitarie derivanti dall’inquinamento da metalli pesanti, quali il mercurio (metallo volatile, classificato come persistente-pericoloso che una volta usato come additivo anti-muffa nelle vernici murali e in molti farmaci anti-parassiti umani come i pidocchi) e da molecole di sintesi tossiche e persistenti e…persino da atomi radioattivi .

 

C’è stata per un lungo periodo, anche fra i chimici e i medici, la convinzione che il nostro Pianeta fosse talmente grande da poter diluire tutti gli inquinanti sversati nell’ambiente, a livelli tali che questi alla fine, si sarebbero ridotti a disperdersi, livellandosi in tracce insignificanti tali da  non costituire più alcun problema sanitario ed ecologico.  Invece si è dovuto constatare che molecole micidiali (come ad esempio i cosiddetti “P.O.P.s “ = Persistent Organic Polluttants)   possono essere concentrate notevolmente negli organismi animali, vegetali e nei funghi (fenomeno di bioaccumulo) e concentrarsi centinaia di migliaia di volte rispetto alle concentrazioni ambientali iniziali, nei passaggi fra i vari livelli delle catene e delle reti alimentari (fenomeno di “magnificazione” alimentare) con effetti potenzialmente devastanti per chi- come l’uomo- è ai vertici delle piramidi alimentari stesse.
La pericolosità del bioccumulo del mercurio fu capita per la prima volta in Giappone, con l’insorgere di una malattia che provocò centinaia di decessi e decine di migliaia di danni fisici permanenti. Questo metallo colpiva l’uomo perché si concentrava nelle carni dei pesci e il morbo fu chiamato di “Minamata” perché descritto nel 1956 nella baia di Minamata, nell’isola giapponese di Kyushu e fu capito compiutamente solo nel 1968.
L’impiego del  DDT ad esempio, è da anni vietato  in Italia ed in Europa, ma i suoi derivati continuano a circolare nell’ambiente: si ritrova comunemente nei sedimenti marini e fluviali, nei laghi, e persino nel latte materno; in Italia venne bandito nel 1968,  consentendo la vendita delle “scorte” fino al 1978 e viene ancora prodotto per la vendita nei Paesi del terzo e quarto mondo.    
Il ciclo delle acque ha subito inquinamenti importanti anche dal cielo: all’inizio dell’era industriale salì all’attenzione pubblica il problema dell’acidificazione delle acque  lacustri e la morte di estese foreste divenuta massima negli anni ’70 – soprattutto del nord Europa– per le ricadute da inquinamento atmosferico. Per limitare le piogge acide sono stati compiuti progressi notevoli nella limitazione delle emissioni di anidride solforosa, agente acidificante dei fiumi, dei laghi e della vegetazione, che deriva innanzitutto dallo zolfo presente come impurità in taluni combustibili quali la nafta ed il carbone; tuttavia il complesso delle emissioni di ossidi di azoto (un complesso di molecole acidificanti che si formano per l’ossidazione dell’azoto dell’aria e che si verifica in tutte le combustioni) è sempre stato e resta in costante aumento. Oggi, come prima fonte, si ha il traffico autoveicolare  e solo dopo la responsabilità va addossata al riscaldamento degli edifici e all’industria. 
Attualmente in talune aree del Pianeta la conurbazione in megalopoli e in generale la crescita della popolazione eccede (soprattutto nei Paesi a elevato grado di povertà) la capacità dei governi di costruire fogne e depuratori.
Nei Paesi poveri, aridi o semiaridi, l’acqua è una risorsa pregiatissima che continua a scarseggiare, derivandone imponenti flussi migratori di profughi ambientali, povera gente in fuga dalla sete, dalla fame, dalla desertificazione e dal sottosviluppo.
In queste aree, più che altrove, il valore raggiunto dall’acqua è causa conflitti armati locali o guerre sanguinosissime. Sono oltre 30 i conflitti attualmente in corso legati al controllo delle risorse idriche incluso il conflitto israelo-palestinese considerando che ben oltre la metà del rifornimento idrico di Israele proviene dai territori palestinesi occupati.
Nei Paesi industrializzati sono state praticamente sconfitte o ridotte a un ruolo insignificante le malattie a propagazione oro-fecale per la contaminazione dell’acqua: qualche problema resta sulle salmonelle e alcune forme di tifo, tenute comunque sotto controllo dalle autorità sanitarie;  nei Paesi non sviluppati esse non solo persistono largamente, ma  sono addirittura in aumento.
In larga parte del mondo – soprattutto industrializzato-  le acque sotterranee  sono oramai  contaminate da nitrati, pericolosi  in dosi significative (oltre 50 mg/L  fissato come limite massimo  nell’acqua da bere)  e non depurabili se non a costi insostenibili.
In definitiva possiamo dire che anziché applicare la regola della prevenzione e una “scienza della lungimiranza”, l’umanità ha inseguito gli eventi dopo danni o di catastrofi ambientali: l’inquinamento acido dell’aria da anidride solforosa emessa dalla combustione del carbone e che dal 5 al 9 dicembre 1952 colpì l’Europa provocando oltre diecimila morti (4.000 nella sola Londra); l’inquinamento da diossina a causa dell’incidente industriale di Seveso nel 1976; lo sversamento incidentale di petrolio dell’Amoco Cadiz nel 1978; la perdita di radioattività dall’impianto nucleare di Three Mile Island nello stesso anno; la collisione di due petroliere nel Golfo del Messico nel 1979; l’esplosione dell’impianto della Union Carbide in Bhopal nel 1984; l’incidente nucleare di Chernobyl nel 1986; lo sversamento di sostanze tossiche in Basilea nel 1986,; l’inquinamento da mercurio, ammoniaca e cianuri del Danubio a seguito dei bombardamenti “chirurgici” di fabbriche chimiche nella guerra dei Balcani del 1991-95 .
Dobbiamo prendere atto, in coscienza, che la situazione dell’inquinamento idrico e del degrado morfo-strutturale dei nostri corsi d’acqua è andata largamente a finire fuori-controllo.
Se ripercorriamo le tappe dell’avanzata del degrado, cogliamo la vera e straordinaria essenza del cambio di paradigma che stiamo vivendo con la nuova normativa di tutela delle acque. Questa va vista anche all’interno del nuovo approccio all’ambiente che ci ha portato l’appartenenza all’Unione Europea, adottando i principi di precauzione, prevenzione, sicurezza, correzione alla fonte (adozione dei provvedimenti risolutivi o di mitigazione nei cicli produttivi…piuttosto che tentare di depurare alla fine del tubo di scarico…), con la nuova disciplina delle sostanze chimiche che per la prima volta richiede siano  testate prima di essere immesse nel mercato e nell’ambiente. Con il programma REACH è in corso il censimento totale di tutte le sostanze pericolose usate o detenute a qualsiasi titolo nei processi produttivi.

 

Veleni e sedimenti fluviali

I sedimenti sono costituiti dalle particelle di materiale di natura inorganica ed organica  che si depositano sul fondo dei laghi o, come nel nostro caso,  sul letto dei fiumi in zone a bassa pendenza, con  scarsa velocità di corrente, nelle barre di accrescimento delle anse e nelle pools,  termine che designa le pozze nei corsi d’acqua.
Ciascun corso d’acqua ha il suo tratto più pianeggiante tipicamente interessato, per intero, dalla deposizione di sedimenti.  Ma troviamo zone di sedimentazione anche a monte, ogni qualvolta si riduce la pendenza o quanto il fondo presenti alternanze di “raschi” (collinette di deposito di ciottoli, sabbia e ghiaia, affioranti quasi alla superficie e individuabili con tratti di corrente rapida e spumeggiante) e “pozze”, caratterizzate da acque più profonde, più lente e con fondo molle per l’azione di deposito.
I substrati molli con sedimenti sciolti, sono fondamentali per gli ecosistemi dei corpi idrici superficiali perché costituiscono micro habitat per molte specie acquatiche che vivono immerse nel fango. Al loro interno, inoltre, avvengono processi microbici che elaborano la sostanza organica e trasformano i nutrienti azotati e fosfati.
Dal punto di vista chimico i sedimenti sono importanti perché costituiscono il sito preferenziale di accumulo per molte sostanze inquinanti che si legano alle particelle minerali per affinità o per adsorbimento. Dall’ analisi  dei sedimenti è  quindi possibile scoprire se nel fiume siano state veicolate, anche in passato, sostanze tossiche. Molti chiamano questo fenomeno “memoria chimica” dei sedimenti.

Le principali cause che provocano la contaminazione dei sedimenti presenti nei corpi idrici superficiali sono:

 
  • Immissione di reflui civili ed industriali;
  • Dilavamento o erosione di suoli contaminati da attività industriali ed agricole;
  • Sversamenti accidentali di prodotti chimici e petroliferi;
  • Apporti di inquinanti da falde contaminate;
  • Apporti da attività portuali o connesse alla navigazione.
 

Bisogna considerare, tuttavia che le sostanze accumulate nei sedimenti fluviali sono soggette a fenomeni di risospensione e di sedimentazione ciclici, finché non raggiungono le acque costiere dove si depositano in maniera più persistente. La maggior parte delle sostanze tossiche tende a legarsi alle particelle più fini del sedimento (cosiddetta “pelìte”).
Secondo l’ISPRA  la contaminazione dei sedimenti presenti in un corpo idrico non provoca soltanto un peggioramento della qualità delle acque ma comporta anche un rischio continuo e a lungo termine per gli ecosistemi e per la salute umana per la risospensione nella colonna d’acqua dei contaminanti e la loro ri-diffusione e trasferimento ai vari livelli trofici attraverso la catena alimentare.
Studi condotti in Europa occidentale indicano che i sedimenti delle zone costiere e dei corpi idrici presenterebbero nel 5% dei casi dei rischi per la salute umana e nel 10% per l’ambiente.
Si comprende pertanto come i sedimenti costituiscano una matrice ambientale molto importante da tenere in considerazione durante la valutazione dello stato della qualità di un fiume e della sua evoluzione.  Sedimenti non contaminati sono essenziali non solo per la vita di tutti quegli organismi che vi vivono perennemente a contatto o immersi,  ma anche per quelli che nutrendosi del benthos, possono accumulare nei loro tessuti sostanze chimiche tossiche.
L’approccio tecnico, amministrativo e legale in materia di qualità dei sedimenti fluviali e lacustri delle acque interne  può dirsi appena iniziato in Italia e in gran parte d’Europa ed è in evoluzione rapida. La finalità urgente è sviluppare standard di qualità per i sedimenti che contribuiscano alla valutazione dello stato qualitativo complessivo del corpo idrico in cui sono depositati. A livello internazionale sono stati proposti diversi approcci per stimare la qualità dei sedimenti di acque interne fluviali e lacustri, insieme a opportuni valori di screening.  In Italia non è ancora stata adottata una normativa tecnica specifica, ma l’importanza dell’argomento e l’elevata indicatività fornita dalle analisi dei sedimenti hanno portato a condurre, su svariati fiumi, campagne di monitoraggio su tale matrice con un set molto corposo di analisi chimiche, microbiologiche e tossicologiche.

 

Il monitoraggio attuale della qualità dei fiumi secondo la Direttiva Quadro

Per determinare lo stato di qualità dei fiumi, e in generale dell’inquinamento delle acque, oggi non basta più il ricorso alle analisi chimico-fisiche finalizzate alla ricerca di sostanze inquinanti e  alle analisi microbiologiche per la ricerca di agenti patogeni per l’uomo e per gli animali.  
Le metodiche chimico-fisiche e microbiologiche, ancorchè preziose ed insostituibili, da sole  non sono in grado di fornirci, nella situazione attuale di grande complessità, una diagnosi completa ed efficace sullo stato di qualità dell’ambiente su cui basare interventi risanatori e la pianificazione degli stessi.
Molte sostanze, infatti, possono facilmente sfuggire alle analisi chimiche tradizionali, anche se accurate, che hanno inevitabilmente limiti tecnici (strumentali, di sensibilità e rilevabilità, specie quando occorra determinare concentrazioni estremamente basse e in matrici complesse). I limiti sono anche economici, di limitazione di personale e di tempo: non è possibile analizzare tutte le casistiche esistenti. Si consideri a riguardo che, soprattutto negli ultimi 50-60 anni, sono state prodotte e immesse nell’ambiente centinaia di migliaia di molecole di sintesi, estranee alla vita e che possono dare origine a loro volta, ricombinandosi, a derivati producendo nuovi inquinanti.
L’accertamento della presenza di inquinanti è reso difficile, inoltre, quando gli scarichi idrici avvengono di nascosto e saltuariamente magari nei giorni festivi e in ore notturne.   
Ancora più impegnativa è la determinazione e quantificazione degli inquinanti di origine diffusa come, ad esempio, i concimi di sintesi e i pesticidi  sparsi in agricoltura o quelli che provengono dalle acque di dilavamento delle superfici stradali, dalle sedi ferroviarie, dei piazzali o da ricadute di inquinanti atmosferici.
Per quanto detto oggi la valutazione della qualità è basata sia su parametri chimico-fisici cosiddetti “macrodescrittori”, e sia  su analisi tipo “eco-biologiche”, fondate sullo studio della composizione del popolamento delle comunità biologiche fluviali.  Con metodo chimico  oltre ai “macrodescrittori” che sono parametri a maggiore indicatività  si analizzano anche solventi, molecole clorurate, pesticidi, metalli pesanti che per la loro pericolosità sono state definite sostanze  “prioritarie” e presentano limiti fissati dalla norma.
Non dobbiamo però dimenticare che nel monitoraggio chimico-fisico dell’acqua i risultati sono relativi ad un campione e costituiscono una sorta di “foto istantanee” della situazione del fiume al momento del prelievo. Per avere un quadro più completo occorre quindi disporre di tante “foto” (vale a dire avere una moltitudine di analisi ripetute nel tempo), che poi vanno legate assieme con opportuni sistemi logici per ricostruire il “film” che ci dia informazioni possibili sulla realtà. Ciò è costoso ed impegnativo e, comunque, non risolve tutti i problemi. Ad esempio la chimica non può dire se una sostanza è tossica o meno nell’ambiente analizzato,  per questo sono stati adottati altri metodi che, come quelli biologici, ricoprono ruoli distinti. I diversi metodi d’indagine vanno quindi utilizzati insieme.
Le tecniche basate sugli Indici Biotici hanno la caratteristica di registrare, attraverso le comunità viventi nel fiume, inquinamenti e alterazioni occorsi nell’ultimo periodo (anche di diversi mesi) e di fornire un giudizio di qualità non istantaneo ma integrato nel tempo.
Consentono così di svelare l’esistenza di scarichi nascosti o di sversamenti occasionali (es. da autobotte) anche se avvenuti nel passato più recente, in quanto le sostanze inquinanti lasciano una sorta di “cicatrice” nella composizione delle comunità biologiche fluviali che persiste anche per mesi. Non ci consentono tuttavia, di individuare quali sostanze abbiano causato l’inquinamento.

 

Fig. 1                                                      Fig. 2

 

Fig. 1 Dinocras ferreri: larva di Plecottero perlodidae.I Plecotterisono insetti che passano la vita larvale in acque correnti e allo stato adulto sono alati e a respirazione aerea. Le larve richiedono acque pulite e ben ossigenate e pertanto sono indicatori biologici di buona qualità
Fig. 2 Una larva acquatica dell’Efemerottero Epeorus s.p. Questa effimera predilige acque torrentizie e possiede i due cerci ma non il paracerco, a differenza delle altre famiglie dello stesso ordine che hanno tutti i tre elementi. Le effimere trascorrono quasi tutta la loro vita larvale e ninfale in acqua, e l’adulto, provvisto di ali, ha vita aerea. In aria vive solo poche ore: non si nutre (ha bocca cucita ed è privo di apparato digerente) e compie solo i processi legati alla riproduzione della specie.


 

Le comunità biologiche che vengono attualmente prese in considerazione nella diagnosi di qualità delle acque correnti tramite apposite metodologie e metriche ufficiali, sono:

 
  1. i macroinvertebrati bentonici già citati (ma a cui si applicano metodi analitici nuovi, finalizzati a determinarne anche il rapporto fra specie tolleranti e specie sensibili, nonché  la quantificazione numerica degli organismi presenti in un luogo);
  2. il popolamento algale (fitoplancton ove presente nei grandi fiumi) e soprattutto il fitobentos (microalghe bentoniche quali le diatomee), adatto soprattutto a determinare lo stato trofico delle acque,
  3. le macrofite acquatiche,
  4. la fauna ittica (composizione, biomassa, classi di età del popolamento ittico).
 

Il giudizio di stato elevato di qualità è così definito “nessuna alterazione antropica, o alterazioni antropiche poco rilevanti, dei valori degli elementi di qualità chimico-fisica del tipo di corpo idrico superficiale rispetto a quelli di norma associato a tale tipo inalterato”...e ”i valori degli elementi di qualità biologica del corpo idrico superficiale rispecchiano quelli di norma associati a tale tipo inalterato e non evidenziano nessuna distorsione, o distorsioni poco rilevanti. Si tratta di condizioni e comunità tipiche specifiche.”  (Allegato 1 alla parte terza del citato D.Lgsl 152/06):

 

Concentrazione e massa degli inquinanti.

C’è un aspetto che ha le sue radici nel modo di rappresentare i risultati delle indagini chimiche, che trae in inganno anche gli addetti ai lavori quando si ragiona sui veleni trasportati dalla corrente dei fiumi.  I risultati sono riportati necessariamente in termini di concentrazione: microgrammi o milligrammi della specie chimica per litro.  Per chi legge, ad esempio,  0,5 microgrammi (mezzo milionesimo di grammo) il valore appare bassissimo e  non preoccupante.  Se invece moltiplichiamo quel valore per i valori di portata idrica del fiume, vale a dire per il numero complessivo di litri che transitano ogni secondo, il dato diventa allarmante. E se poi moltiplichiamo quest’ultimo valore per tutti i secondi presenti in un anno, si vedrà con stupore che si arriva, in termini di massa assoluta, a decine di tonnellate di veleni trasportati annualmente in mare!  Se quelle tonnellate fossero state sversate tutte insieme in mare da una carovana di camion il fenomeno avrebbe prodotto pubblica emozione e la notizia sarebbe stata di apertura di tutti i TG a livello mondiale che lo avrebbero qualificato come disastro ambientale.  Il fatto, invece, che tale immissione sia avvenuta (e continui ad avvenire) secondo dopo secondo, ora dopo ora, giorno dopo giorno, a dosi piccolissime ma incessantemente, fa perdere il senso della realtà e della dimensione di quanto male stiamo facendo al nostro ambiente.
Anche per la valutazione dell’impegno necessario al risanamento vale quanto detto sopra: quei 0,5 microgrammi/litro per un fiume piccolissimo è un problema risolvibile in genere con  pochi interventi per togliere la poca massa inquinante presente; lo stesso valore invece se fosse rinvenuto nel fiume Po potrebbe indicare un impegno imponente necessario per il risanamento e cifre confrontabili a un  prodotto interno lordo.
La misurazione delle portate dei corsi d’acqua è un’attività fondamentale che negli ultimi anni ha visto, purtroppo,  un’allarmante riduzione in zone estese del Paese,  con il passaggio delle competenze dallo stato alle regioni. Occorrerebbe dare impulso a questa attività e ri-statalizzarla sia per la sua importanza strategica che per riportarla nell’ambito dei bacini idrografici dei fiumi i cui confini naturali
le linee spartiacque non coincidono assolutamente con quelli politici delle regioni.

 

Elementi di “scienza della lungimiranza” per il risanamento di nostri fiumi.

Oggi  le scienze che si occupano della salute delle nostre acque correnti ci forniscono importanti evidenze su come procedere per il risanamento e per avviare una gestione sostenibile delle acque integrando gli aspetti ecologici, economici e sociali. Da quanto precedentemente detto chi ha avuto la pazienza di arrivare a leggere fino a queste righe può trarre autonomamente molte conclusioni sul da farsi.  Mi limiterò quindi a suggerire un decalogo sintetico sulle azioni più significative ed urgenti per venire incontro alla riqualificazione dei nostri fiumi.

 

1 E’ urgente restituire ai fiumi la propria, spontanea fascia di protezione delle sponde, costituita dalla vegetazione tipica riparia.  Questa è importantissima: fornisce apporti trofici alla vita acquatica, ombreggiamento, contenimento del riscaldamento dell’acqua anche con l’evapotraspirazione, crea habitat per nicchie ecologiche, stabilizza le sponde contrastando l’erosione ma, soprattutto, protegge il corridoio fluviale dall’inquinamento diffuso.  Gli inquinanti sparsi in ambiente agricolo, derivanti dal dilavamento delle strade, dei piazzali ecc, che in passato si ritenevano sfuggiti a qualsiasi controllo una volta dispersi nell’ambiente, vengono in realtà bloccati  e in gran parte biodegradati  a livello della lettiera delle fasce vegetazionali riparie.  Anche la denitrificazione fino a livello di azoto elementare è fortissima se il fiume ha la sua vegetazione spontanea continua e per una ampiezza che va da qualche decina di metri di spessore, fino a 200 metri circa. E’ matura  l’era per iniziare un’imponente e urgente opera di forestazione delle fasce spondali fluviali, soprattutto in zone di pianura e, in considerazione che la vegetazione tipica delle vicinanze con l’acqua ha una straordinaria rapidità di accrescimento, i risultati potrebbero vedersi in pochi anni ed essere stupefacenti. E’ necessario altresì dotarsi di protocolli di manutenzione eco-compatibile della vegetazione fluviale sul modello,ad esempio, di quello adottato dalla provincia di Benevento.

 

2 Ricostituire la continuità e la “permeabilità ecologica” fluviale.   Ogni diga, traversa  o briglia costituisce una barriera architettonica insuperabile per i pesci e nociva per molte altre popolazioni fluviali impedite negli spostamenti per riprodursi, per sfuggire a stress ambientali (es. riscaldamento dell’acqua e crollo del tenore di ossigeno) per la ricerca di cibo. Ove vi sono interruzioni del continuum fluviale occorre realizzare passaggi artificiali perché i pesci possano avere libertà per gli spostamenti migratori longitudinali. Esistono molte soluzioni e tecnologie ben collaudate in merito. Occorre altresì eliminare anche le barriere trasversali artificiali per garantire la transizione acqua/terra (e viceversa) di anfibi, rettili, insetti a vita larvale acquatica come plecotteri, tricotteri, effimere, libellule, ditteri ecc. che poi sono cibo per pesci ed uccelli acquatici.  L’ecotono fluviale, che è quella fascia di transizione tra ecosistema acquatico e quello terrestre, è la nostra “Amazzonia”: è il più straordinario serbatoio di biodiversità che esista alle nostre latitudini e nel nostro Paese.

 

3  Avviare una politica graduale ma inflessibile, di separazione tra acque bianche meteoriche, di falda e dei ruscelli, da quelle nere, luride, le sole da portare alla depurazione. Senza separazione, lo ribadisco, nei periodi piovosi la depurazione delle acque è impossibile da attuarsi interamente.  Realizzando fognature indipendenti, inoltre, i ruscelli e i torrentelli in città liberati dai liquami di fogna possono essere riportati alla luce ed essere rinaturalizzati per quanto possibile. Non importa se ci vorranno decenni per arrivare a livelli significativi di separazione, perché l’importante è fare “la cosa giusta” che non viene intrapresa con la motivazione che sarebbe troppo grande, costosa ed impegnativa da fare.

 

4 Rinunciare ad ulteriori artificializzazioni dei corridoi fluviali: il fiume ha bisogno del proprio spazio vitale negli eventi di piena periodica e non possono più essere tollerate invasioni di campo con insediamenti abitativi e produttivi.

 

Realizzare usi razionali dell’acqua, per ridurre gli sprechi di risorsa pregiata.  Ogni litro risparmiato è acqua ridata al fiume, alla vita acquatica, alla natura e al “servizio” che i fiumi svolgono nella depurazione  degli inquinanti organici biodegradabili

 

6. Risanare le perdite idriche degli acquedotti.  Nelle città disperdiamo fino al 50% e oltre delle acque pregiate sottratte ai fiumi e alla natura: un  vero e proprio “idrocidio”.  A ciò si risponde generalmente aumentando le captazioni, piuttosto che riparare le perdite.  Si consideri che le conseguenze delle rotture ipogee degli acquedotti, soprattutto per i fenomeni corrosivi alimentati dalle correnti elettriche disperse, sono anche di tipo sanitario. Infatti quando viene meno la pressione l’acqua che scorre in discesa nella rete crea una depressione, e così li acquedotti “risucchiano” materiali dall’ambiente esterno. Il risultato è che nell’acquedotto finiscono sovente inquinanti fognari. Riparare le perdite significa poter ridare tanta acqua ai fiumi, riavere in tutto o in parte sorgenti e cascate oggi intubate e, nel contempo,  promuovere la sicurezza sanitaria per i cittadini.

 

7 Garantire un DMV (Deflusso Minimo Vitale) effettivo. Questo punto non ha bisogno di alcun commento, tanto è ovvio ed eloquente.

 

Scegliere le tecnologie appropriate nella depurazione delle acque. Almeno al di sotto di 2000 abitanti/equivalenti realizzare quanto più possibile i fitodepuratori.   Questa tecnologia naturale di depurazione, perfettamente mimetica nel suo inserimento nel paesaggio, non ha bisogno di elettricità, non produce rumori o esalazioni odorigene, non produce fanghi da smaltire, ha dai costi gestionali minimi o praticamente inesistenti, ed è raccomandata dalla normativa vigente. I fitodepuratori hanno mostrato performance incredibili con abbattimenti della carica inquinante organica e batterica anche del 99% ed oltre e da anni sono realizzati nei Paesi avanzati europei, negli USA, in Canada, in Australia.  Andrebbero realizzati anche da noi molto più diffusamente, ovunque vi sia spazio sufficiente. Gli impianti di depurazione biologici a fanghi attivi, tecnologicamente complessi e costosi, vanno realizzati solo per grandi comunità (a mio giudizio non inferiori a 30.000 abitanti serviti), perché devono essere seguiti costantemente, richiedono alti costi di gestione e consumi lettrici  che devono essere scaricati, tutti,  sulle bollette degli utenti.  Si tenga infine presente che esistono altre tipologie impiantistiche che possono essere adottate, da sole o in combinazione fra loro, per ottenere il massimo risultato depurativo con il minimo di spesa gestionale.

Ricostruzione di zone umide.Abbiamo “bonificato” troppo e solo adesso ci accorgiamo della straordinaria importanza delle zone umide per il ciclo dell’acqua, clima e biodiversità. In USA hanno realizzato grandi zone umide naturalizzate, con le acque di scarico trattate per fitodepurazione (Constructed wet-lands).

 

10 Agire sulla cultura: sviluppare una vera e propria scienza degli  ambienti fluviali nelle Università, nel Corpo Forestale dello Stato e in tutti gli Enti ed Organismi che trattano materie legate al ciclo dell’acqua.Comunicare al pubblico, che informato può essere chiamato a collaborare; coinvolgere le scuole di ogni ordine e grado; educare il cittadino a comportamenti virtuosi e a scelte consapevoli perché adotti prodotti non inquinanti (es. saponi a base naturale biodegradabile piuttosto che detergenti di sintesi), non buttino sostanze nocive nei sistemi fognanti, non abbandonino rifiuti.

 

Ma soprattutto si affermi la consapevolezza che è meglio prevenire, non inquinare, piuttosto che depurare.I fiumi sono “i reni” che depurano le acque che circolano nel territorio…mentre i depuratori sono macchine per la “dialisi”. Consideriamo sempre che la differenza tra un’acqua pura ed una depurata è semplicemente grandissima, e ciò che è nocivo per i fiumi lo è anche per i nostri impianti di depurazione che spesso sono danneggiati da sostanze tossiche.