Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

FAUNA 
L’AQUILA REALE: BIOLOGIA E PROBLEMI DI CONSERVAZIONE IN ITALIA
01/10/2013
Di Marco PANELLA Vice questore aggiunto forestale

Nella sua vasta distribuzione geografica l’aquila reale si è adattata a situazioni ambientali anche molte diverse  tra loro come ad esempio le aree semidesertiche dell’Asia Minore  oppure a tundre pianeggianti della Siberia e dell’Alaska.

Riassunto:
 
Nella sua vasta distribuzione geografica l’aquila reale si è adattata a situazioni ambientali anche molte diverse  tra loro come ad esempio le aree semidesertiche dell’Asia Minore  oppure a tundre pianeggianti della Siberia e dell’Alaska.
In Italia invece l’habitat dell’aquila  reale è esclusivamente montano con presenza di pareti rocciose adatte alla nidificazione e di sovrastanti praterie dove principalmente si svolgono le attività di caccia. Geograficamente le aquile reali sono presenti in tutto l’arco alpino e l’Appennino fino alla Sicilia e sui rilievi della Sardegna.

 

Abstract:
 
Golden eagle is widely diffused thanks to its adaptability to different environments, including those ones much differentiated among themselves, such as  semi-desertic  Asia or the flat tundras of Siberia and Alaska.
Otherwise, in Italy golden eagle’s habitat is only the mountain with rocky walls apt for nesting with meadows standing above and where hunting is mostly practiced. Golden eagle lives everywhere in the entire Alps and Apennine up to Sicily and Sardinian heights.

 

 

L’aquila reale, nella denominazione latina Aquila chrysaetos, è l’uccello da preda più grande della fauna italiana. Infatti tra gli uccelli da preda, appartenenti sistematicamente all’ordine dei falconiformi, soltanto alcune specie di avvoltoi hanno dimensioni maggiori.
L’aquila reale è da sempre protagonista di miti e leggende rappresentando un simbolo di forza e potere. Veniva già divinizzata nella Grecia antica e successivamente in epoca romana divenne effigie delle legioni alla conquista del mondo. Ma l’evocazione simbolica dell’aquila è eterna e globale dalle antiche culture mongole dell’Asia agli Indiani d’America fino all’araldica militare e sportiva di ogni epoca successiva: immagini di dominio che oggi contrastano con la reale fragilità degli animali predatori in un contesto di equilibri naturali alterati dall’uomo.
L’aquila reale ha una vasta distribuzione geografica essendo presente in tutte le regioni fredde e temperate dell’emisfero nord. Lungo il suo areale, che comprende Europa, Nord Africa, Asia fino al Giappone e Nord America, si distinguono alcune sottospecie tra loro tuttavia poco differenziate.
All’osservazione in natura un occhio esperto difficilmente può confondere la sagoma di un’aquila reale con quella di un'altra specie di uccello rapace soprattutto per le sue grandi dimensioni, la coda lunga e la testa nettamente sporgente.
L’apertura alare si aggira tra 2 e 2,20 metri e la femmina ha dimensioni significativamente maggiori del maschio mentre nel piumaggio non si riscontrano differenze tra i sessi. Il peso nei maschi varia tra 3,5-4,5 kg di peso; nelle femmine tra 4,5-6.5 kg. Tali differenze come per altre specie di rapaci si suppone siano in relazione ai diversi ruoli dei membri della coppia: maggiore stazza per la cova e la difesa del nido da parte della femmina e maggiore agilità e velocità nella caccia da parte del maschio. 
Il piumaggio degli individui adulti ha una dominante marrone scura con tipici riflessi dorati sulla nuca dai quali derivano le denominazioni latina (chrȳsŏs=oro) e anglosassone (golden eagle) della specie. Negli individui più anziani le aree dorate più chiare tendono ad espandersi anche sul dorso e sulle ali. Una peculiarità che distingue le varie specie di aquile dagli altri uccelli rapaci è l’estensione del piumaggio lungo i tarsi fino alle zampe (i caratteristici “calzoni”).
Gli individui giovani sono facilmente distinguibili dagli adulti perché la colorazione di fondo è più scura ed uniforme che nell’adulto ma con vistose macchie bianche al centro delle ali e alla base della coda. Nel corso del tempo, con le successive mute delle penne, le giovani aquile perdono gradualmente le parti bianche del piumaggio acquisendo definitivamente l’abito adulto di solito al 4° anno di età.
L’aquila reale rispetto ad altre specie di uccelli è molto longevo: è stato verificato che in natura può vivere anche più di 30 anni.
Nella sua vasta distribuzione geografica l’aquila reale si è adattata a situazioni ambientali anche molto diverse tra loro come ad esempio le aree semidesertiche dell’Asia minore oppure le tundre pianeggianti della Siberia e dell’Alaska. 
In Italia invece l’habitat dell’aquila reale è esclusivamente montano con presenza di pareti rocciose adatte alla nidificazione e di sovrastanti praterie dove principalmente si svolgono le attività di caccia. Geograficamente le aquile reali sono presenti lungo tutto l’arco alpino e l’Appennino fino alla Sicilia e sui rilievi della Sardegna.
Le aquile reali sono rigidamente monogame e il territorio di ogni coppia è di solito costituito da una o più piccole valli o da un’adeguata porzione delle valli più ampie ed estese: le creste costituiscono spesso il confine tra territori limitrofi. In genere le quote maggiori dei territori sono utilizzate nella buona stagione mentre durante l’inverno vengono frequentate anche altitudini minori fino in alcuni casi alla pianura.

 

I nidi sono costituiti da ammassi di rami secchi a volte cospicui (fino a 2-3 metri di diametro e 1 metro di altezza) che vengono di anno in anno accresciuti con uno strato di rami freschi. In genere sono collocati su cenge rocciose riparate o in grotte in sistemi di pareti strapiombanti e irraggiungibili. Molto più raramente in Italia vengono collocati sulla cima di alberi di grandi dimensioni. Essi sono situati a quote molto variabili a seconda del contesto geografico: tra i 200 e i 2500 metri di altitudine. I nidi sono di solito costruiti in posizione sottostante alle zone di caccia più utilizzate: questo consente un trasporto più agevole in discesa delle prede al nido. Ciò spiega anche perché sulle Alpi dove le aquile cacciano fino a oltre 3.000 metri di quota i siti di nidificazione sono mediamente a quote molto maggiori rispetto all’Appennino e alla Sardegna.
La maturità viene raggiunta dalle aquile in genere al 4° anno di età. Condizioni essenziali affinché una giovane aquila possa riprodursi sono la conquista di un territorio e di un/una partner: ciò può avvenire con la colonizzazione di una nuova area o prendendo il posto di un’aquila deceduta o più raramente come esito di un conflitto con un rivale. Le coppie, una volta formate, sono tendenzialmente stabili e durature e i rituali di corteggiamento sono volti a rafforzare il loro legame. Il più spettacolare consiste nel “volo a festoni” consistente in serie di ascese e picchiate vertiginose effettuate anche lungo i confini del territorio allo scopo di ribadirne il possesso. Altri comportamenti nuziali sono lo scambio volante di rami e di prede tra maschio e femmina. Ogni coppia possiede all’interno di un territorio un certo numero di nidi alternativi del cui riassestamento, prima del periodo riproduttivo, si incaricano entrambi gli uccelli. La costruzione di nidi completamente nuovi è un evento abbastanza raro.
La deposizione avviene tra metà marzo e inizio aprile e le uova sono normalmente due, deposte a pochi giorni di distanza l’una dall’altra. La cova è svolta prevalentemente dalla femmina alla quale tuttavia il maschio da il cambio ogni giorno per periodi brevi. La cova non può mai venire abbandonata se non per pochi minuti poiché il raffreddamento o il surriscaldamento delle uova porterebbe alla morte dell’embrione: è questo un elemento della biologia dell’aquila, e più in generale dell’avifauna, di grande importanza per la conservazione in relazione soprattutto alle fonti di disturbo da parte dell’uomo. 
L’incubazione dura 42-54 giorni e quindi la schiusa avviene per lo più nel mese di maggio. A questo punto inizia l’allevamento dei piccoli: nella norma inizialmente il maschio porta il cibo nel nido per tutta la famiglia e la femmina provvede a nutrire e proteggere dal caldo o dal freddo i pulcini. Successivamente anche la femmina tende a lasciare incustodito con più frequenza il nido. La permanenza nel nido dei piccoli si protrae per 70-80 giorni cosicché l’involo avviene per lo più nella seconda metà di luglio.
Solo una minoranza delle nidiate tuttavia si conclude con l’involo di entrambi i giovani di aquile. Infatti solo nei territori più produttivi i genitori riescono a fornire un apporto di prede sufficiente per entrambi i piccoli. Nelle prime settimane di vita si verifica quindi con frequenza un fenomeno biologico denominato “cainismo” ovvero il piccolo d’aquila più vigoroso sopprime il fratello. Così facendo la coppia adulta ha la possibilità di allevare con successo almeno un giovane.
Nelle ultime fasi di permanenza nel nido i giovani di aquila divengono sempre più irrequieti sbattendo con frequenza le ali a scopo di allenamento e compiendo balzi sempre più coraggiosi fino al bordo del nido. I genitori gradualmente riducono l’apporto di prede. Infine viene compiuto il primo volo. Nel periodo successivo i giovani rimangono dipendenti dal punto di vista alimentare dai genitori la cui attenzione viene richiamata assiduamente con versi vocali. I giovani cominciano poi a seguire gli adulti nella caccia e già nell’autunno sono autosufficienti e nel corso dell’inverno successivo alla loro nascita abbandonano il territorio d’origine. Qualora nei mesi successivi ne facciano ritorno tendono ad essere scacciati dai genitori.
Iniziano quindi per le giovani aquile anni di erratismo alla ricerca di un proprio territorio vitale: in questa fase le aquile immature possono compiere anche movimenti di dispersione di centinaia di chilometri tendendo tuttavia a tornare con la maturità nelle zone di nascita. L’aquila reale può compiere, oltre agli spostamenti legati all’età giovanile, anche movimenti locali invernali verso ad esempio quote minori, ma solo le popolazioni più settentrionali della Scandinavia e del Canada, al di sopra del 65° parallelo, hanno sviluppato un vero comportamento di tipo migratorio.
La densità di coppie di aquile reali in una determinata area geografica dipende da una molteplicità di fattori ma il fattore essenziale è senza dubbio la quantità di prede. L’alimentazione dell’aquila reale varia considerevolmente nel suo areale globale: in aree semi-desertiche comprende addirittura tartarughe. Sulle Alpi gli animali più predati sono tra i mammiferi la marmotta, la lepre europea, la lepre bianca, i giovani di camoscio, capriolo e stambecco; tra gli uccelli il fagiano di monte, la pernice bianca e i gracchi. Sull’Appennino le prede più comuni sono la lepre, la volpe, la coturnice, le cornacchie e altri corvidi ecc, più raramente i serpenti. In passato una certa componente della dieta era composta da specie domestiche come le galline, gli agnelli e i capretti ma il progressivo abbandono delle montagne e delle attività agro-pastorali tradizionali hanno ridotto notevolmente queste fonti di cibo. 
La tecnica di caccia consiste soprattutto nel volo radente sul terreno in modo da sorprendere la preda. La caccia viene praticata nelle ore diurne e spesso insieme dai due membri della coppia.
Pur non essendo un avvoltoio l’aquila reale all’occorrenza, specialmente nei periodi climatici più sfavorevoli, si nutre di carcasse di animali rinvenuti sul territorio.

 
 

Dal punto di vista legislativo in Italia, come tutti rapaci diurni e notturni, la specie è particolarmente protetta ai sensi dell’articolo 2 della legge 157 dell’11 febbraio 1992. Oltre ovviamente all’abbattimento, alla cattura e alla detenzione di esemplari la legge 157/1992 (in base ad un’integrazione apportata con la legge n.96 del 4 giugno 2010) vieta “…. distruggere o danneggiare deliberatamente nidi e uova, nonché disturbare deliberatamente le specie protette di uccelli”.
L’aquila reale è inserita nell’Allegato A del regolamento n. 338/97 che dà applicazione nel territorio dell’Unione Europea alla Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e di fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES) ed è pertanto sottoposta in tale ambito al massimo regime di tutela. E’ inclusa nell’allegato 1 della direttiva europea 2009/147/CE (ex 79/409/CEE) concernente la conservazione degli uccelli. Quindi, oltre a prevederne la totale protezione, la direttiva impone agli Stati membri di classificare come Zone di Protezione Speciale i territori più idonei in numero e in superficie alla conservazione della specie. 
Oggi molti territori di aquila reale sono inclusi in aree protette. Si evidenzia però che, ben prima dell’istituzione di Parchi Nazionali o Regionali, molte delle 130 Riserve Naturali dello Stato amministrate dall’Ufficio per la Biodiversità del Corpo Forestale dello Stato hanno contribuito a preservare coppie riproduttive di aquila reale sia sull’arco alpino (Val Grande, Dolomiti Bellunesi, Foresta di Tarvisio) sia sull’Appennino (Orecchiella, Orrido di Botri, Sasso Fratino, Monte Velino, valloni della Majella, Gole del Raganello e Valle del Fiume Argentino sul Pollino). 

 

In Italia si stimano oggi in Italia oltre 500 coppie riproduttive di aquila reale. Di queste quasi 400 vivono sulle Alpi.
Fino agli anni ’80 in Italia l’andamento numerico della specie risultava in diminuzione ma negli ultimi decenni questa tendenza si è a poco a poco invertita e si assiste oggi ad una progressiva rioccupazione di vecchi siti. L’incremento è stato particolarmente rilevante sulle Alpi: l’aquila reale ha raggiunto in molti settori pressoché il livello di saturazione occupando tutti i territori disponibili. Anche sull’Appennino si sta registrando un lieve aumento delle coppie ma purtroppo in molti settori le trasformazioni ambientali (strade montane, stazioni sciistiche, insediamenti turistici) operate soprattutto tra gli anni ’70 e ’80 hanno rovinato in modo irreversibile la qualità degli habitat rendendone difficile la ricolonizzazione da parte dei rapaci.
Questa nuova situazione è attestata dal fatto che la Lista Rossa della fauna italiana, stilata alla fine degli anni ’90 seguendo i criteri dell’Unione Internazionale per la Protezione della Natura (IUCN), classificava l’aquila reale tra le specie “Vulnerabili”. Nell’ultima revisione della Lista Rossa delle specie italiane pubblicata dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nel maggio 2013 l’aquila reale viene invece classificata in Italia come specie “Quasi minacciata” ovvero in una categoria di pericolo minore.
Le cause di questo miglioramento sono molteplici e tra loro correlate. Innanzitutto l’aumento delle prede con particolare riferimento agli ungulati selvatici. Infatti i territori montani via via abbandonati dalla popolazione umana sono stati progressivamente ripopolati da cervi, caprioli, camosci e cinghiali. Tale fenomeno è stato anche localmente innescato da interventi di reintroduzione. L’istituzione a partire dai primi anni ’90 di nuove grandi aree protette ha fatto inoltre diminuire la pressione venatoria, specialmente alle quote più alte, su molte specie preda dell’aquila reale come ad esempio la lepre e la coturnice facendo anche decrescere il numero degli abbattimenti illegali e in genere degli atti di bracconaggio.

 

Le minacce alla conservazione dell’aquila reale sono tuttavia ancora numerose

 
Habitat dell'Aquila Reale

Gli abbattimenti illegali in passato erano molto frequenti e anche quando la lotta ai cosiddetti “nocivi” fu dichiarata illegale perdurò la consuetudine di uccidere i rapaci con la motivazione, per lo più pretestuosa, della difesa delle greggi, del pollame e della selvaggina. Da sempre come noto il bracconaggio sfugge alle statistiche pur tuttavia oggi questo fenomeno sembrerebbe in decrescita. Ciò nonostante si registrano ancora abbattimenti o ferimenti con armi da fuoco di aquile reali. Tra gli ultimi casi noti: nel 2012 un individuo nelle Marche non lontano dal Parco Nazionale dei Monti Sibillini e un altro sempre nel 2012 in Toscana sulle Alpi Apuane; nel febbraio 2013 un individuo in Alto Adige. Ma gli eventi rimasti sconosciuti sono sicuramente molto più numerosi.
La causa di mortalità non naturale attualmente più frequente è l’avvelenamento che ancora mette in pericolo, in Italia ed in Europa, la sopravvivenza di numerose popolazioni di specie animali. Sono noti innumerevoli casi di rinvenimento di animali deceduti per avere ingerito sostanze avvelenate distribuite sul territorio sotto forma di esche avvelenate: l’ultimo episodio riguardante la morte di un esemplare di aquila reale risale soltanto a pochi mesi fa: nel giugno 2013 nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. 
Le vittime predestinate degli avvelenamenti sono principalmente i cani vaganti e i lupi a causa dei conflitti con le attività zootecniche: aquile ed altre specie sono spesso vittime non predestinate.
Le esche possono essere costituite sia da semplici bocconi (polpette di carne, rotoli di lardo, uova, ecc.) oppure da intere carcasse di animali domestici (ovini, caprini, bovini, equini) imbottite o contaminate da sostanze velenose. In questo caso gli effetti negativi sulla fauna sono particolarmente nefasti perché sull’esca avvelenata possono nutrirsi più individui e di più specie.
Le statistiche purtroppo non esprimono che in minima parte la consistenza del fenomeno. Infatti la maggior parte degli animali vittime degli avvelenamenti vengono occultati dai responsabili o comunque non vengono rinvenuti. Inoltre la sottostima è dovuta al fatto che frequentemente l’intossicazione viene confusa con altre cause secondarie di morte. 
In molti casi non è possibile risalire al principio attivo impiegato per l’avvelenamento ma risulta crescente negli ultimi anni l’utilizzo di prodotti fitosanitari usati in agricoltura rispetto ad altre sostanze velenose, tipo stricnina, tradizionalmente adoperate allo scopo ed oggi dichiarate illegali e di più difficile reperimento. 
In questi ultimi anni il problema degli avvelenamenti della fauna sia domestica sia selvatica ha avuto un certo rilievo da parte dei mezzi d’informazione. Anche per questo motivo, pur essendo l’uso dei veleni da tempo punito penalmente, si sono resi ultimamente necessari adeguamenti normativi tesi ad una maggiore prevenzione e repressione del fenomeno. Tra questi l’Ordinanza del Ministero della Salute del 10 febbraio 2012 recante “Norme sul divieto di utilizzo e di detenzione di esche o di bocconi avvelenati”. Il D.Lgs. 14-8-2012 n. 150 invece, istituendo un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi, interviene indirettamente sul problema, rendendo più efficaci i controlli e più severe le sanzioni sull’uso e il commercio dei prodotti fitosanitari. 

 

Tra i fattori limitanti dell’aquila reale, vista la sua abitudine di cibarsi soprattutto d’inverno di animali morti, vi è anche la possibile carenza in montagna di carcasse. Tale carenza è in parte dovuta alle norme veterinarie comunitarie che impongono oggi agli allevatori uno smaltimento controllato degli animali morti. Per ovviare a questo problema il Regolamento della Commissione Europea n.142 del 25 febbraio 2011 prevede uno specifico sistema di deroghe. Pertanto nei territori di presenza dell’aquila reale, come di altre specie di necrofagi (avvoltoi, nibbi, ecc.) considerate minacciate di estinzione o protette, l'autorità competente, a determinate condizioni, può autorizzare l’abbandono sui pascoli o l’utilizzo in stazioni di alimentazione (carnai) di carcasse intere di animali per le quali sarebbero altresì prescritte altre forme di smaltimento.

 

Un effetto con conseguenze negative dell’alimentazione da parte dell’aquila reale sulle carcasse rinvenute sul territorio è il loro possibile avvelenamento da piombo derivante dal consumo di mammiferi selvatici come ad esempio i cervi, i caprioli, i camosci cacciati ma non recuperati. Inoltre le aquile reali, in inverno, individuano i visceri abbandonati degli ungulati abbattuti durante la caccia e atterrano per nutrirsene sfruttando a proprio vantaggio questa particolare risorsa di cibo. Una recente pubblicazione dell’ISPRA evidenzia come la micro-frammentazione dei proiettili di piombo nel corpo degli animali colpiti e la successiva assimilazione da parte dei consumatori (predatori, necrofagi e anche uomo) delle loro carni, arrechi gravi rischi a lungo termine per la salute. Negli uccelli selvatici il tasso di mortalità dovuto a questa intossicazione è difficile da quantificare anche perché una buona parte degli individui non viene recuperata, oppure perché la morte sopravviene per altre cause legate all’indebolimento dell’organismo.
Attualmente ai sensi del DM del 17 ottobre 2007 è vietato l’utilizzo di munizionamento a pallini di piombo solo all’interno di Zone di Protezione Speciale ricadenti dentro o nei pressi di zone umide. Tale provvedimento è pertanto assolutamente ininfluente per la tutela dell’aquila reale. Il problema è attualmente irrisolto poiché l’utilizzo di munizioni non contenenti piombo è oggi prescritto solo da alcuni calendari venatori per limitate porzioni di territorio e per poche forme di caccia.

 

In epoche recenti nel nostro Paese uno dei principali pericoli per la conservazione dei rapaci in generale e dell’aquila reale in particolare, proviene dai disturbi. 
L’aquila reale risulta sensibile laddove venga disturbata nelle aree di caccia ma soprattutto nei pressi del nido. Come già evidenziato infatti durante l’incubazione un abbandono anche per breve tempo della cova può portare alla morte dell’embrione; invece durante le fasi dell’allevamento la presenza umana può spaventare gli adulti facendo così mancare l’apporto di prede al nido. Il disturbo può altresì spaventare i giovani nidiacei inducendoli a tentare troppo precocemente l’involo dal nido provocandone la morte.
Alcuni potenziali disturbi di origine umana possono derivare da attività agricole e selvicolturali nei pressi dei siti di nidificazione, dagli incendi boschivi, dal sorvolo ravvicinato di mezzi aerei militari o di soccorso ma oggi sono più frequenti e pericolose molte tipologie di disturbi derivanti da attività sportive e del tempo libero se condotte al di fuori di regole e precauzioni: l’arrampicata sportiva, il volo con deltaplani e parapendii, la circolazione motorizzata fuoristrada, la fotografia naturalistica.
In alcuni siti la perdita della covata a causa del disturbo durante la nidificazione è negli anni costante e ripetuto al punto da indurre le aquile all’abbandono definitivo delle zone. Ad esempio il tentativo di una foto ravvicinata ad un nido attivo può avere effetti deleteri. Si rendono pertanto necessari addirittura campi di sorveglianza, svolti da volontari delle associazioni ambientaliste in collegamento con il personale del Corpo Forestale dello Stato, allo scopo di diffidare e allontanare gli intrusi. 
Come sopra riportato la legge nazionale 157 del 1992 vieta il disturbo deliberato delle specie protette di uccelli sebbene il regime sanzionatorio risulti tuttora lacunoso.
Limitatamente ai siti Natura2000 il problema del disturbo è contemplato a livello normativo anche dal Decreto Ministeriale n.184 del 17 ottobre 2007 recante “Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a ZSC e ZPS”. Tale norma prevede che le regioni e le province autonome regolamentino “l’avvicinamento a pareti occupate per la nidificazione dell’aquila reale mediante elicottero, deltaplano, parapendio, arrampicata libera o attrezzata e qualunque altra modalità”.
Le regioni hanno recepito con modalità diverse la disposizione nazionale. 
Si citano a titolo di esempio la Regione Lazio con la Deliberazione della Giunta Regionale n.612 del 16 dicembre 2011 che prevede la sospensione, nel periodo dal 1 gennaio al 31 luglio, dell’avvicinamento mediante elicottero, deltaplano, parapendio, arrampicata libera o attrezzata e qualunque altra modalità a pareti occupate per la nidificazione da aquila reale (Aquila chrysaetos) nelle aree di accertata nidificazione; La Regione Lombardia con la D.G.R. 20 febbraio 2008 - n. 8/6648 - che ha previsto che nelle ZPS presenti sul proprio territorio siano vietate a rocciatori, free-climber, escursionisti e al volo libero le pareti interessate da nidi di aquila reale, gipeto, gufo reale e pellegrino. La medesima norma vieta anche l’accesso ai siti di nidificazione ai fotografi naturalisti.
La Regione Marche invece già nel 1995 con la Legge Regionale n.17, articolo 5, ha fatto divieto, durante il periodo riproduttivo dal 1 febbraio al 31 agosto, di effettuare pratiche alpinistiche sulle pareti su una fascia di almeno 300 metri dai nidi di aquile reali. La medesima legge fa divieto a deltaplani con o senza motore di sorvolare pareti ove siano presenti nidi di aquila e disturbare gli stessi con continue osservazioni ravvicinate.
Molte aree protette, sia di livello nazionale sia di livello locale, hanno adottato regolamenti o ordinanze specifiche volte a seconda dei casi a impedire, limitare o soltanto regolamentare gli accessi e i disturbi ai siti di nidificazione. 
Laddove, dopo anni di ripetuti fallimenti nella riproduzione, questo genere di provvedimenti è stato applicato le aquile reali sono riuscite finalmente a condurre a termine con successo le nidificazioni. E’questo il caso ad esempio di una valle nella Riserva Naturale Statale del Monte Velino nella quale già dal 1992 il CFS, in qualità di organismo di gestione, limita l’accesso a tutela del nido di aquila reale.
Va evidenziato tuttavia che a lungo termine i risultati più positivi potranno essere conseguiti attraverso la sensibilizzazione e la condivisione delle decisioni delle Autorità da parte dei soggetti coinvolti (scalatori, turisti, fotografi, ecc.). Un ruolo essenziale in tal senso ha l’educazione e la corretta informazione del pubblico.

 

Un altro dei fattori limitanti dell’aquila reale emerso con sempre maggiore intensità negli ultimi decenni, è la chiusura degli ambienti aperti collinari e montani indispensabili come aree di caccia delle aquile. I mutamenti sociali ed economici intervenuti in Italia a partire dal secondo dopoguerra che hanno infatti agito sull’evoluzione del paesaggio collinare e montano italiano hanno portato alla graduale perdita di terre utilizzate per agricoltura ed allevamento. Di conseguenza è in atto una rilevante espansione delle superfici arbustive e boschive. 
Dal confronto dei dati dei due Inventari Forestali Nazionali realizzati dal CFS nel 1985 e nel 2005 la superficie boschiva nazionale risulta aumentata del 21,6 %. La superficie boschiva e arbustiva di nuova formazione assomma a 1.792.434 ha (una superficie come quella della regione Lazio !). Poiché non più di 150.000 ha derivano da nuovi impianti di arboricoltura da legno, la maggior parte dell’incremento deriva dalla colonizzazione spontanea da parte di terreni agricoli e pascoli abbandonati.
In relazione alla biologia dell’aquila reale si evidenzia che le maggiori estensioni di aree aperte che negli ultimi decenni risultano ricolonizzate da formazioni vegetali chiuse si collocano nelle quote di collina e bassa montagna. Oltre i 1500 metri sull’Appennino il fenomeno in termini assoluti è molto più contenuto mentre sulle Alpi la chiusura della vegetazione interessa invece anche quote più alte.
Pertanto sono le coppie di aquila reale geograficamente marginali e nidificanti alle quote più basse a soffrire in maggior misura questi mutamenti. Recenti ricerche condotte sul pre-appennino laziale ed esposte in un Workshop sull’aquila reale tenutosi il 16 marzo 2013 a Percile in provincia di Roma, attestano tuttavia una notevole capacità delle aquile ad adattare le loro tecniche di caccia e i tipi di prede a questa nuova situazione ambientale maggiormente boscosa: sono state osservate in alcune occasioni aquile ghermire prede direttamente dalle cime degli alberi e la loro nuova dieta è maggiormente orientata rispetto al passato su specie tipicamente forestali come ad esempio ghiri, scoiattoli, ghiandaie e piccoli di cinghiale.

 

La presenza sul territorio di elettrodotti costituisce una ulteriore minaccia molto importante per la conservazione dell’avifauna e dei rapaci in particolare. A partire dagli anni ’70 numerosi studi hanno attestato l’elevata mortalità di alcune specie sia per elettrocuzione, ovvero fulminazione per contatto di elementi conduttori, sia per collisione da impatto contro i cavi. I maggiori rischi di elettrocuzione si verificano sulle linee elettriche a media tensione poiché si verifica quando l’uccello tocca contemporaneamente con le ali i due cavi a differente potenziale rimanendo fulminato. Nelle linee elettriche ad alta tensione al contrario i cavi sono ad una distanza maggiore tra loro da non potere generalmente essere toccati simultaneamente: tali linee elettriche sono pericolose soprattutto per il rischio d’impatti in condizioni di scarsa visibilità. 
Le aquile reali, in quanto rapaci dotati di grandi ali, che quindi possono venire in contatto anche con conduttori tra loro distanti, sono considerate tra le specie più sensibili alla minaccia dell’elettrocuzione. 
A livello normativo il problema è contemplato dal già citato DM del 17 ottobre 2007 che prevede che per tutte le ZPS, le regioni e le province autonome, predisponendo le misure di conservazione, provvedano a porre l’obbligo di messa in sicurezza, rispetto al rischio di elettrocuzione e impatto degli uccelli, di elettrodotti e linee aeree ad alta e media tensione di nuova realizzazione o in manutenzione straordinaria o in ristrutturazione.

 

Il forte sviluppo degli impianti per la produzione elettrica da fonte eolica costituisce oggi una delle maggiori minacce per l’aquila reale soprattutto sul crinale appenninico, in Sicilia e in Sardegna. L’aquila reale durante la caccia è un’assidua frequentatrice dei crinali montani dove preferenzialmente vengono costruiti gli impianti eolici ed è noto e documentato il rischio diretto per gli uccelli costituito dalle pale dei generatori oltre che dal degrado ambientale generale connesso. 
Gli studi in tal senso sono numerosi in tutto il mondo e a riprova di ciò la stessa Unione Europea nel documento guida pubblicato nel 2010 sullo sviluppo dell’energia eolica in conformità alla normativa comunitaria (European Commission, October 2010 EU Guidance on wind energy development in accordance with the EU nature legislation), considera l’aquila reale tra le specie particolarmente vulnerabili agli impianti eolici per il comprovato e sostanziale rischio di collisioni.
L’articolo 5 del DM del 17 ottobre 2007 prevede che per tutte le ZPS, le regioni e le province autonome, predisponendo le misure di conservazione provvedano a porre il divieto di realizzazione di nuovi impianti eolici con potenza complessiva non superiore a 20 kw. Tuttavia i territori delle aquile si spingono spesso ben oltre i confini delle ZPS e all’attualità le misure di conservazione applicate non sempre risultano adeguate alla salvaguardia delle aquile reali e dei loro territori.

 

Nonostante le problematiche esposte, emerge oggi rispetto al passato un quadro confortante riguardo lo stato di tutela delle aquile reali. Tuttavia citando John Muir, il naturalista scozzese che tra l’800 e il ‘900 ebbe un ruolo nell’istituzione delle prime aree protette del mondo, “…la battaglia per la conservazione della natura continuerà indefinitivamente, perché essa è parte dell’universale battaglia tra il giusto e l’errore”.

 

Bibliografia

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  • Rapporto tecnico finale - Progetto svolto su incarico del Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare
  • Penteriani V. 1998 - L'impatto delle linee elettriche sull'avifauna; Volume 4 di Serie scientifica - WWF. Delegazione Toscana.
  • Rondinini, C., Battistoni, A., Peronace, V., Teofili, C. (compilatori). 2013 - Lista Rossa IUCN dei Vertebrati Italiani - Comitato Italiano IUCN e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Roma
  • Spinetti M. 1997 – L’aquila reale: biologia, etologia e conservazione. Edizioni Cogecstre.