Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

AREE PROTETTE, PARCHI E OASI
LA LUNGA STORIA DI "GERBONTE", FORESTA DI FRONTIERA
02/02/2016
di Emilio Brandimarte

Di proprietà della Regione Liguria, è ubicata nell’alta Valle del Torrente Argentina che sfocia nel...

 
 

           Fig. 1: solco lasciato da un fulmine                                                                                  Fig. 2: larice secolare

 

 

La lunga storia di "Gerbonte", foresta di frontiera

Fig. 3: 2003 - uno dei larici plurisecolari

Di proprietà della Regione Liguria, è ubicata nell’alta Valle del Torrente Argentina che sfocia nel Mar Ligure presso Arma di Taggia (IM). Si estende per circa 622 ettari in Comune di Triora (IM), noto per i processi alla stregoneria risalenti al ‘500 – duramente condotti dall’Inquisizione dell’epoca – nonché per il contrabbando di sale che si svolgeva nei suoi territori e per le dispute tra francesi e piemontesi sul finire del ‘700. Il crinale occidentale della foresta, sotto il quale si snoda l’unica via di accesso, rappresenta in buona parte l’attuale confine di Stato con la Francia.
La foresta prende nome dall’omonimo monte (m. 1.727), da sempre passaggio obbligato nei collegamenti tra il fondovalle e le vaste proprietà silvopastorali che un tempo rappresentavano la principale risorsa delle popolazioni montane. L’attuale estensione è frutto di alterne vicende storiche, con vari passaggi di proprietà e ridefinizione dei confini con la Francia a seguito del secondo conflitto mondiale.
Dagli inizi del ‘900 ad oggi la foresta ha subito grandi trasformazioni sia nella estensione e sia nella copertura arborea, che è passata dalla forte discontinuità – a tratti assimilabile ad un pascolo arborato con pochi larici vetusti – ad una elevatissima densità frutto delle vaste opere di rimboschimento che hanno tuttavia condotto ad una modesta presenza di spazi aperti. Dell’antica foresta sopravvivono sparuti gruppi di larici e abeti plurisecolari, per i quali occorrerebbe oggi una particolare forma di tutela e la conservazione del relativo seme, considerato che tali presenze, ad una distanza di soli 20 km. dal mare, rappresentano una vera rarità nel panorama forestale italiano.

 
 

Le vicende storiche della foresta

Le prime notizie si fanno risalire al 1250, come risulta da un atto del 1670 scampato all’incendio del vecchio archivio di Triora andato distrutto nel 1892; il documento si riferisce alle dispute sui confini e sui diritti di pascolo tra gli abitanti di Triora e quelli di Briga, ma l’individuazione delle cosiddette “bandite” – tra cui Gerbonte – è contenuta negli Statuti comunali del XIV° secolo. Nel 1892 il Comune di Triora dovette subire, oltre all’incendio che ne distrusse gli archivi, anche un grave dissesto finanziario rischiando di perdere la proprietà di vaste aree, compresa quella di Gerbonte, a causa dell’indebitamento nei confronti di un certo Rossat, imprenditore francese che aveva costruito la strada Taggia - Triora, collegando quindi la costa all’entroterra. Tale debito avrebbe determinato, in sostanza, il passaggio “allo straniero” di alcune zone di confine che all’epoca erano considerate strategiche. Al fine di evitare tale passaggio, la proprietà fu acquistata dal Marchese Luigi Durand de La Penne in accordo con le autorità italiane. La zona gli fu poi espropriata nel 1893 con un indennizzo di lire 42.708,60 e quindi destinata alla difesa militare, diventando in tal modo Demanio dello Stato italiano.

 
Fig.4: il "Registro riassuntivo" del 1912

Il 17 marzo 1911, in applicazione della Legge 277 del 1910, la proprietà fu trasferita al Demanio forestale di Stato e consegnata all’Ispettore Capo del Ripartimento forestale di Genova che ne assegnava l’ordinaria amministrazione all’Ispettore forestale del Distretto di Porto Maurizio (IM). Nello stesso anno furono avviati i primi rimboschimenti, utilizzando in massima parte, per semina e piantagione, larice e abete bianco ma sperimentando anche l’introduzione di specie alloctone come l’abete rosso, il pino cembro ed il pino laricio. Mentre le prime due specie  utilizzate hanno originato la vasta foresta oggi esistente, delle specie alloctone non rimane traccia fatte salve alcune zone dove l’abete rosso ha trovato condizioni favorevoli al suo sviluppo.
La prima ricognizione sulla  proprietà fu effettuata nel 1912 e la superficie boscata netta risultò essere di ettari 253.67; su tale estensione fu possibile stimare, molti anni dopo (1973 - Piano di gestione del Prof. Fabio Cristofolini), una massa legnosa di circa 21.000 metri cubi riferita al 1912, dei quali 10.000 di conifere e 11.000 di latifoglie. In effetti il rilievo effettuato nel 1912 fu molto accurato, condotto però con metodo più vicino al “censimento” che ad una vera e propria “cubatura”, con annotazione sommaria dei diametri fino al minimo di 1 centimetro per ogni singola specie, riportati a margine come “novellame”. Furono rilevate non solo le specie prevalenti (faggio-larice-abete bianco) ma anche quelle meno rappresentate o sporadiche (pino silvestre-sorbo – nocciolo – citiso – frassino –pioppo – carpino - querce). Risultato di tale censimento fu il  “Registro riassuntivo” del Real Corpo delle Foreste – Azienda del Demanio Forestale di Stato, che rappresenta quindi il primo documento di stima della foresta. Suddivisa in dieci  sezioni, la proprietà aveva una copertura arborea non uniforme, compresa tra un minimo del 55% ad un massimo del 95%. Furono misurate oltre 317.000 piante, con una incidenza però del solo 1,4% per quelle con diametro superiore a 50 cm., che rappresentavano, però, quasi il 50% della massa legnosa esistente all’epoca. La stima volumetrica effettuata nel 1973, riferita alla stessa superficie rilevata nel 1912,  fornì invece un valore di circa 9.000 metri cubi, cioè meno della metà di quello stimato 60 prima. Ma cosa era successo nel frattempo, nonostante le ingenti opere di rimboschimento realizzate in quel periodo? Certamente le necessità di materia prima nel corso delle due guerre mondiali devono aver messo a dura prova le risorse della foresta; in quel periodo le tagliate più pesanti furono condotte sulla faggeta, ridotta a meno di un quarto della sua consistenza in termini di massa legnosa, ma anche sul bosco di conifere nel quale furono tagliate quasi tutte le piante di maggior diametro. Furono però risparmiati dallo “svecchiamento del bosco” alcuni vetusti esemplari arborei che, arrivati fino ai nostri giorni, testimoniano l’antico assetto della foresta: si tratta di larici plurisecolari (56 esemplari censiti con diametri compresi tra 100 e 150 cm.) ed anche degli ultimi esemplari di abete bianco (7 esemplari con diametro oltre 100 cm.) sicuramente autoctono. Tali patriarchi della foresta, con età fino a 400 anni, rappresentano senza dubbio una grande attrattiva sia sul piano della ricerca scientifica e sia per una fruizione interessata alla “monumentalità” di queste specie arboree testimoni di un passato in cui la presenza del bosco era spesso in competizione con le attività di pascolo.

 
 

    Fig. 5 :1935 – residui esemplari di abete bianco e                                               Fig. 6 : anni ‘30, estirpazione di rododendri
               rimboschimenti appena avviati

 

Successivamente, l’ostinata tendenza all’incremento della superficie forestale e le difficoltà di affermazione delle giovani piantine da rimboschimento a causa della fitta copertura arbustiva hanno fortemente ridotto la diffusione del rododendro, considerato specie invadente ed estirpato con intervento manuale. Attualmente il rododendro non è più così diffuso, ma è comunque ancora presente nelle zone aperte e nelle radure del bosco, anche se in generale regresso. Tali zone necessitano oggi di particolare attenzione per ciò che riguarda le necessità di conservazione degli habitat faunistici delle specie stabilmente affermate nel comprensorio della foresta.

 

Le presenze faunistiche

La foresta di Gerbonte è inclusa nel SIC IT1314611 nonché nella ZPS IT1314679 ed occupa una posizione di assoluta preminenza tra le aree naturali presenti in Liguria. Occorre quindi che la sua gestione sia realizzata con estrema attenzione e competenza. In particolare, l’aspetto forestale deve essere strettamente correlato a quello faunistico attuando gli interventi previsti da un approfondito piano di gestione tenuto conto che il mantenimento degli habitat deve costituire il principale obiettivo da perseguire.
La fauna presente nel comprensorio del Gerbonte è stata complessivamente osservata nel 2003: emerge la consolidata presenza del camoscio, censito in 60/70 esemplari (ma la reale consistenza è senz’altro superiore), e quella molto più ridotta del gallo forcello stimato in 15/20 esemplari.
Ma le presenze faunistiche accertate non si limitano alle specie anzidette. La foresta è sicuramente frequentata dal lupo, che ha fornito chiare risposte ai richiami di wolf-howling ed è stato avvistato da soggetti diversi ed ugualmente attendibili. Tracce inequivocabili sono state rilevate sul terreno, con deiezioni ricche di frammenti ossei e carcasse di animali predati (prevalentemente cinghiali e camosci) che per le zone di ritrovamento lasciano poco margine al dubbio sulla reale presenza del lupo nell’area di Gerbonte. In alcune zone aperte e scoscese è facilmente avvistabile la marmotta, mentre le specie ornitiche osservate sono le seguenti: falco pecchiaiolo, biancone, aquila reale, falco pellegrino, picchio nero, averla piccola, gracchio corallino, codirossone, rondone maggiore, spioncello, fringuello, crociere, cincia dal ciuffo, passera scopaiola, venturone, bigiarella, tordela, pispolone, cincia bigia alpestre, rampichino alpestre.
In sintesi, per Gerbonte si potrebbe parlare in realtà di un progressivo “ritorno” della foresta nei suoi aspetti e nelle sue connotazioni più naturali. Per tali motivi l’intera area, ben oltre i confini della foresta stessa, assume particolare rilevanza. Con ogni probabilità il costante isolamento nei mesi invernali, durante i quali l’unica strada di accesso non è transitabile, nonché la notevole distanza dai centri abitati - peraltro sempre più spopolati – ed il crollo delle attività silvopastorali negli ultimi decenni, hanno determinato l’avvio di quel lento processo di rinaturalizzazione che altrove stenta ad emergere.
E’ del tutto evidente che su tale patrimonio andrebbero concentrate maggiori attenzioni in termini di studio e gestione, al fine di ampliare le conoscenze su un’area di elevatissima valenza naturalistica che ha rare occasioni di confronto sul territorio nazionale.