Sotto il sole d'Africa

Forte Baratieri (Eritrea): un vicebrigadiere e un carabiniere fotografati insieme con due zaptié.

L'arrivo dei primi carabinieri in terra d'Africa risale al 1883, quando l'Italia aveva da poco posto piede ad Assab, sul mar Rosso. Il 16 maggio di quell'anno, infatti, sbarcavano un maresciallo d'alloggio e quattro carabinieri con l'incarico di impiantare, proprio ad Assab, la prima Stazione dell'Arma. Con l'occupazione di Massaua nel 1885, i Carabinieri si organizzarono in Africa in modo più articolato, dapprima con una Sezione e due anni dopo con la Compagnia Carabinieri Reali d'Africa: 4 ufficiali, 93 tra sottufficiali, appuntati e carabinieri, a cui si aggiungevano, l'anno successivo, due buluk (plotoni) di militari indigeni, ciascuno con un buluk-basci (sergente) e 25 zaptié.


Quattro zaptiè in posizione presentat-arm, orgogliosi del loro moschetto modello 1891.
Quest'ultimo nome, di origine turca, designerà da allora in poi gli indigeni affiancati ai Carabinieri. Nel 1892 la Compagnia entrava a far parte del Regio Corpo delle Truppe d'Africa e nel 1894 contava 4 ufficiali, 23 sottufficiali, 57 carabinieri, un ufficiale indigeno (jus-basci), 4 buluk-basci e 90 zaptié. Nei due anni successivi, nel corso della guerra contro l'Etiopia, il reparto, che aveva sede all'Asmara, venne impegnato anche in prima linea. Parlando delle uniformi dei carabinieri (quelli addetti ai reparti territoriali dell'Arma) e degli zaptié occorre precisare che, per per non appesantire il testo, daremo una panoramica generale della loro evoluzione, sia perché si tratta di descrivere due modelli di uniforme nettamente distinti tra loro, sia, soprattutto, perché nel giro di cinquant'anni per le uniformi delle Truppe d'Africa si succedettero almeno sei diverse disposizioni regolamentari. Le prime tenute.


Uniformi del primo presidio di Carabinieri giunti in Africa nel 1883, nella base di Assab (Dancalia).
I Carabinieri arrivarono ad Assab nel 1883 con la tradizionale uniforme di panno turchino completa di "lucerna" e pennacchio indossata in Italia; ma dopo averla utilizzata una volta si resero conto della sua assoluta inadeguatezza. Veniva deciso allora di utilizzare le tenute da fatica in tela di cotone crudo, portate dall'Italia, e i caschi coloniali acquistati a Porto Said su cui fu applicato il fregio dell'Arma, la coccarda e, nelle grandi occasioni, anche il pennacchio. Dopo che nel 1887 le Truppe d'Africa ricevettero un'uniforme "bronzo chiaro", al posto di quella bianca e avana prevista nel 1885, anche i Carabinieri la adottarono.

Essa consisteva per gli ufficiali in: un casco coloniale piuttosto alto, sul quale erano portati coccarda e fregio metallico; una giubba con bavero dritto, due tasche superiori, poste in senso verticale e due inferiori in senso orizzontale; un paio di pantaloni; gambali di tela e scarpe o stivaletti. Gli ufficiali avevano quali distintivi di grado dei galloni sulle maniche e, con la grande uniforme, avvolgevano intorno al casco un velo azzurro e vi fissavano il tradizionale pennacchio a "salice piangente" rosso-blu. Gli altri militari vestivano in maniera analoga, ma la giubba aveva le sole tasche verticali.


Uno zaptié in tenuta di servizio, col caratteristico 'tarbush', copricapo africano a forma di tronco di cono. In secondo piano è un tenente dei Carabinieri.
Per tutti era in uso anche il berretto a visiera portato spesso con la foderina bianca. I primi zaptié nel 1889 indossavano un camicione bianco portato fuori dai pantaloni lunghi e larghi, un giubbetto inizialmente guarnito di gallone rosso, una fascia rossa in vita e un fiocchetto azzurro portato sul tarbusch, il tipico copricapo a tronco di cono, di color rosso granato, su cui venivano applicati la granata metallica dell'Arma ed i distintivi di grado costituiti da stellette.

In seguito i gradi saranno contraddistinti anche da galloni rossi a forma di V capovolta sulle maniche. Il nuovo secolo porterà per gli ufficiali l'adozione di una giubba, con quattro tasche a toppa. Il 27 febbraio 1904 l'intera materia veniva riordinata da uno specifico decreto. Con la grande uniforme, gli ufficiali dei Carabinieri indossavano giubba e pantaloni blu scuro con galloni di seta, distintivi di grado sotto forma di stellette sulle controspalline, casco bianco con i consueti accessori e gambali o stivaletti.


Brigadiere in uniforme coloniale (disegno di Giorgio Olivetti).
Con l'uniforme di marcia, giubba e calzoni erano di tela cachi, stesso colore per il casco. L'uniforme ordinaria e la piccola uniforme corrispondevano in pratica a quelle ora descritte, con il berretto bianco al posto del casco. Nelle zone calde giubba e calzoni potevano essere di tela bianca con qualsiasi tenuta. Sottufficiali e carabinieri vestivano in tela cachi con qualsiasi uniforme. Con la rande uniforme, il casco era arricchito dal tradizionale pennacchio; erano inoltre distribuite fasce mollettiere blu. Giubba "bronzo chiaro".

Per gli zaptié era prevista una uniforme in tela bianca, con giubbetto, camicia portata sopra i pantaloni, chiusi al ginocchio, fascia rossa e tarbusch (più alto da qualche anno). I distintivi di grado restavano invariati ma ad essi si aggiungevano, sulle maniche, quelli di anzianità, sotto forma di stellette rosse. Pur se il regolamento era estremamente chiaro, stabilendo l'esistenza di una sola uniforme, bianca, per tutti i militari indigeni, diverse foto di quegli anni dimostrano l'uso da parte degli zaptié di una giubba "bronzo chiaro" del modello adottato per i nazionali nel 1887.

Soltanto nel 1908, però, sarà ufficialmente adottata per gli zaptié, insieme all'uniforme bianca (da usare in parata ed in libera uscita), anche un'altra cachi, composta da giubbetto, pataloni corti all'europea, camicia di foggia indigena e gambali di tela per gli elementi montati.

Un ufficiale e un maresciallo a cavallo (a destra) nella prima uniforme bianca; a sinistra sono due graduati in tenuta color bronzo chiaro. A destra, tenente in uniforme coloniale festiva.

Nel 1885 il "Corpo Speciale d'Africa" italiano di stanza in Eritrea indossava le uniformi coloniali bianche come la maggior parte delle analoghe truppe europee. Ma sulla scia delle considerazioni che convinsero gl'inglesi a tingere con il the quel bianco ("sparava" riverberi esiziali che esponevano gli uomini alla vista e ai colpi degli indigeni ostili, e "teneva" poco o nulla le ovvie ambrature), il Ministero della Guerra s'indusse a studiare un nuovo tipo di uniforme color "bronzo chiaro" (un beige particolare), che fu adottato ufficialmente con circolare n. 132 del 18 settembre 1887 "Divisa per il Corpo Speciale d'Africa".


Uniforme dei Carabinieri del 'Corpo Speciale d'Africa'
La giubba corta, in tela di cotone, era a un petto tagliata a sacco e chiusa con cinque bottoni di frutto, aveva due tasche verticali interne con un bottone piccolo di frutto ciascuna, rinforzate con due cannelli esterni che andavano dalle spalle al bordo della giubba stessa; gli ufficiali avevano anche un paio di tasche orizzontali poste sulla linea dell'ultimo bottone inferiore. All'interno del petto vi erano due sparati; gli ufficiali portavano invece una specie di pettorina di tela asportabile detta "paradosso mobile". Paramani a punta per tutti, ma quelli degli ufficiali erano più alti. Il capo, cucito in nove taglie, era ornato di controspalline fissate con bottoncini di frutto; colletto dritto chiuso con un gancetto, con stellette in panno bianco per militari e graduati, in seta per ufficiali, argentate per ufficiali e dorate per generali. I distintivi di grado a "fiore", tipici dell'epoca umbertina, erano posti sui paramani: in ricamo d'argento per i generali, in gallone e trecciuola di filo azzurro per gli ufficiali, in gallone e trecciuola in filo rosso per sottufficiali e graduati. I sottufficiali e i militari erano pure equipaggiati con un farsetto a maglia di cotone grezzo da indossare eventualmente sotto la giubba tagliato alla "marinara", con un taschino sulla sinistra del petto.

I pantaloni, sempre in tela bronzo chiaro, erano confezionati in sette taglie, qui precisiamo ancora che gli ufficiali, sia per quanto riguarda la giubba che i pantaloni, avevano la facoltà di sostituire la stoffa di tela di cotone con la tela di lino o la flanella. Ai polpacci, uose in quattro taglie di tela dello stesso colore, alte una trentina di centimetri, con sottopiede in cuoio naturale, assicurate ciascuna con nove bottoncini di frutto e quattro di ottone al sottopiede.


Asmara (Eritrea), 1898: un appuntato e un carabiniere 'a cavallo' nell'uniforme bronzo chiaro prescritta per il Corpo Speciale d'Africa nel settembre 1887. I militari indigeni 'a piedi' sono degli zaptié.
Le truppe a cavallo indossavano, in luogo delle uose, gambali di tela pure in quattro taglie, fermati con otto bottoncini di frutto e due cinghiette in tela. Ai piedi: stivalini in pelle naturale con speroni da indossare sotto i pantaloni, per i Corpi di cavalleria, scarpe per i fanti. Gli ufficiali, inoltre, quando erano fuori servizio, potevano portare calzature diverse da quelle prescritte, anche in cuoio annerito. Il tutto era completato dall'elmetto, ossia il casco coloniale realizzato in otto diverse taglie con strati sovrapposti di "aeschinomene paludosa", una pianta acquatica molto leggera proveniente dal fiume Nilo, ai quali si aggiungeva una coperta di tela bronzo chiaro più fine di quella dell'uniforme.

La fodera interna era in cotone color verde scuro alle falde, alla visiera e al coprinuca, in seta e cotone celeste alla calotta; alluda (fascia interna) in montone marocchinato e soggolo, solo per truppe montate, in cuoio naturale. Esternamente, sulla base della calotta girava una fascia di tela di circa 3 centimetri per ornamento e a copertura delle cuciture di giunzione con le falde. Sulla sommità il cosiddetto "bottone gemello", costituito da una parte interna in metallo bianco e una esterna in lamiera di zinco ricoperta con la stessa tela del casco. Sulla destra di questo era cucito un trapezio, sempre in tela, per applicarvi una nappina colorata secondo il Corpo di appartenenza e il rispettivo pennacchio.


Casco da ufficiale nelle due versioni per grande uniforme (bianco) con pennacchio e fregio metallico della granata (quella del cappietto da cappello) e per tenuta di servizio di colore 'bronzo chiaro'.
Sulla parte frontale la coccarda con fregio e, per i carabinieri, anche il caratteristico cappietto metallico (non per gli ufficiali). Per riparare il casco dal sole e dalla pioggia si usava una copertura di tela bianca impermealizzata cucita in sei spicchi per la calotta e due strisce per visiera, coprinuca e falde. Nei servizi in cui il personale doveva essere a lungo esposto al caldo, i militari usavano un cappello conico in palma Beilul intrecciata a maglia, grosso modo a forma di sombrero messicano con un diametro di circa cinquanta centimetri e poco più di una ventina di altezza.

Erano in dotazione anche i normali berretti di fatica a due punte (da "marmittone" per intenderci) in panno turchino scuro e altri, particolari, a forma di fetz color granata per la truppa, tipo kepy bianchi per gli ufficiali; i militari dell'Arma, ovviamente, indossavano tutti soltanto quest'ultimo modello, di colore bianco per gli ufficiali, turchino per sottufficiali e carabinieri. Unico soprabito per l'intero Corpo speciale era la mantellina in panno turchino corta come quella usata dai bersaglieri (a mezza coscia), con bavero rovesciato guarnito dalle stellette; gli ufficiali potevano indossare anche il mantello. Questi ultimi, inoltre, calzavano in servizio guanti a maglia in filo di lino o di cotone.


Tenente dei Carabinieri del Presidio d'Africa; un carabiniere e sulla destra un appuntato, entrambi nella tenuta coloniale. Gli altri militari sono zaptié eritrei.
Tutto sommato si trattava di un'uniforme coloniale abbastanza confortevole e funzionale per i tempi, tanto che i suoi capi vennero presto adottati nella madrepatria come abbigliamento di fatica per uso interno di caserma. C'era però un neo che ne aveva reso sgradevole l'immagine, una causa non certamente tecnica; si trattava di una situazione psicologica con una valenza ben più profonda di qualunque manchevolezza pratica: il ricordo della pesante sconfitta di Adua e dei cadaveri mutilati dei nostri soldati stesi sotto il sole abissino con indosso quell'uniforme bronzo chiaro.