Accanto alle mete classiche del divertimento mascherato, come Venezia, Rio, Viareggio, Nizza, che hanno saputo catalizzare l’attenzione del grande pubblico, esistono altri appuntamenti carnevalizi di indiscusso rilievo. Il primo fra questi può essere considerato il Carnevale di Foiano della Chiana, non fosse altro perché vanta un diritto di primogenitura, risalendo ufficialmente la sua origine al 1866, anche se più recenti ricerche sembrano farlo risalire ad epoca molto più remota.
Naturalmente, alle più antiche forme di manifestazione mascherata, con scorribande di carrozze prima e di “carri matti” poi – dai quali si lanciavano alla gente assiepata manciate di lupini, castagne secche, fagioli, arance –, è seguita nel tempo una evoluzione verso forme più moderne, rappresentate da fantasmagoriche allegorie di eventi o uomini politici, di film, motivi musicali o fantasie popolari. È così che il Carnevale di Foiano raggiunge il suo massimo splendore, coinvolgendo – e questa è una delle sue peculiari caratteristiche –, non solo tutti i suoi artistici cittadini e tutta la popolazione, ma anche quanti intervengono come spettatori nelle quattro giornate di festa.
Le vicende di una realtà difficile sono vissute anche dal nostro Paese con quello stupore e, talvolta, quell’amarezza che non possono determinare indifferenza. Ma il Carnevale ha sempre il magico potere di dissiparle, di distrarci e di rendere esaltanti alcuni momenti della vita. Il potere coinvolgente, in un’epoca di esasperato individualismo, riesce a creare delle occasioni di aggregazione e di armonia che sarebbero auspicabili in moltissimi altri settori del contesto sociale.
Insomma Foiano durante le feste di Carnevale si trasforma, si veste di vivaci colori, affida ai carri trionfali dei quattro Cantieri in gara, alle unità minori, ai trenini, alle bande folcloristiche, alle orchestrine, il compito di creare momenti di follia, di far godere «l’attimo fuggente», di ricordare a tutti che «passa la gioventù e non torna mai più». Ed è in questo clima che si articola la festa delle quattro giornate di gioiose battaglie, con lanci di coriandoli e stelle filanti, di frenetici balli, in attesa del momento più bello, più atteso: quello dell’ultimo giorno, con la “rificolonata” (la fiera di palloncini colorati con un lume all’interno), la lettura del testamento che Giocondo, re del Carnevale, dedica a quei sudditi che si sono distinti per dabbenaggine o gaffes e fatterelli che si prestano al dileggio e alle burla; con la lettura del verdetto della Giuria, che attribuisce il premio al carro giudicato migliore e che, nella frenetica esultanza dei vincitori e l’amarezza dei vinti, si conclude con la suggestiva cremazione della salma di re Giocondo.
Il Carnevale finisce, si spengono le luci, l’eco del clamore si attenua e si perde per le vie e per i borghi che man mano si fanno silenziosi e deserti. Ma nelle famiglie e nei Cantieri presto si comincerà a parlare del Carnevale dell’anno successivo.
Una festa antichissima. Sebbene il Carnevale di Foiano, almeno nella sua forma conosciuta, sia relativamente recente (risale agli anni Trenta), la sua celebrazione come festa della città è antichissima, e la sua esistenza già in tempi remoti sembra confermata da una disposizione contenuta nello Statuto della Comunità dell’anno 1539, dove, in materia di festività, si individua «il dì di Carnovale con uno di inanzi e uno di poi...», assegnando, dunque, ben tre giorni alla celebrazione.
È probabile che fossero di origine e natura carnevalesche i tumulti, i giochi, i balli dei giovani foianesi ricorrenti nella piazza alta del paese, «dov’è il Pretorio», tali da recare tanto «turbamento ai divini uffizi». Ma determinare quale sia stata la “forma” dei festeggiamenti non è facile: documenti relativi al 1809 rilevano che ancora a quest’epoca a Foiano il Carnevale non veniva celebrato con particolari cerimonie, ma che comunque il periodo era sentito come festivo, visto che il Podestà Vulpillot emise un’ordinanza con la quale si permetteva l’uso di maschere.
Le feste carnevalesche, comunque, si svolgevano per lo più al chiuso, sotto forma di veglie organizzate nella grande cucina delle case coloniche, accompagnate dai “cenci” di pasta frolla da far passare insieme al vinsanto fra gli invitati. Nel paese queste feste cedevano il posto a veglioni nel Teatro Garibaldi addobbato per l’occasione, teatro che fin dal 1826 era riservato a grandi avvenimenti che coinvolgevano giovani e meno giovani, tra musiche e danze.
L’apertura del teatro, anche se richiedeva notevoli costi, era sempre garantita, perché c’era la coscienza del valore che ricopriva l’avvenimento, il quale, oltre ad offrire «lecito divertimento al pubblico è altresì di non lieve utilità al medesimo poiché devia molti oziosi dai luoghi di vizio ed istruisce le masse». Con tali ed altre argomentazioni, il presidente dell’Accademia Teatrale, nel 1863, chiedeva al Comune «di accordarle una somma a sgravio di quella superiormente deliberata in dote per l’apertura del Teatro».
Comunque, il Comune contribuiva volontariamente alle cerimonie carnevalesche: risale infatti al 1844 un caratteristico rimborso «relativo all’art. 1 del Titolo XII del corrente statuto di Previsione: a favore di Domenico Toti lire ventuno in saldo della cera consumata per l’illuminazione del Palco di mezzo del Teatro nel Carnevale 1843-1844, con Partito di voti cinque tutti favorevoli».
Fra danze e scherzi. Le serate dei veglioni trascorrevano così fra danze e scherzi, ma anche con la partecipazione di compagnie drammatiche che offrivano allegre commedie. All’interno del palco numerato, intorno alla mezzanotte veniva consumata una cena, preparata il giorno prima. A volte si verificavano disagi: durante il veglione del 1866 si riscontrarono furti delle vettovaglie che si trovavano all’interno dei palchi. Questi piccoli avvenimenti testimoniano che, in un periodo nel quale la fame era endemica, per molti strati della popolazione occasioni di abbondanza, divertimento, spensieratezza venivano sentite come offesa alle sofferenze altrui.
Contemporaneamente ai veglioni in teatro, si svolgevano le prime sfilate (i cosiddetti “corsi di Carnevale”) lungo la via principale del paese, anche se purtroppo non si conosce la reale forma ed entità di tali manifestazioni. Certo è che erano molto accese, perché necessitavano della presenza di un medico che soccorresse i malcapitati: «Il sottoscritto medico di Fojano promette pel corso dell’imminente Carnevale e per quei giorni nei quali il dott. Angiolo Bianchi sarà occupato o per rappresentanza in teatro, o per procura, di supplire ai bisogni di questi comunisti, facendo del di lui veci, come chirurgo, e tranquillizzando così il malcontento di alcune famiglie. A dì 19 dicembre 1859».
E la storia continua. A Foiano il Carnevale non è un appuntamento qualsiasi. È un evento che si costruisce tutto l’anno, che si vive ogni giorno, quasi come succede ai senesi con il loro amatissimo Palio. Esiste infatti una rivalità accesa fra i gruppi storici che lo realizzano. Una tradizione, quella dei Cantieri in lotta, che nasce in tempi più recenti, quando l’amministrazione fascista creò nella cittadina i quattro rioni che ancora oggi si battono per ottenere la vittoria.
Si chiamano Bombolo, Azzurri, Rustici e Nottambuli i quattro Cantieri in fermento 365 giorni all’anno. Quando in Val di Chiana si inventavano i carri, forse nel resto d’Italia il Carnevale era vissuto ancora come un rito infarcito di paganesimo: nessuno avrebbe pensato che diventasse una vera e propria manifestazione di massa. Allora i carri di Foiano non erano di cartapesta e non avevano lo scopo di rappresentare ardite allegorie. Si trattava, come detto, di semplici carrozze del paese e “carri matti” da cui i nobili dispensavano “leccornie”. Da allora il rito carnevalizio si è evoluto verso forme più moderne e dissacranti di rappresentazione, con fantasmagoriche allegorie. È così che il Carnervale di Foiano raggiunge il suo massimo splendore, coinvolgendo come sempre al massimo grado tutti i suoi artistici cittadini nella speranza di ottenere la Coppa di Carnevale.
La festa che si consuma ogni anno trova con molta probabilità le proprie radici nei riti propiziatori medioevali. Cos’altro è infatti il rogo di Giocondo, il re del Carnevale che i foianesi rappresentano come un fantoccio di cencio e paglia, se non un momento di collettiva purificazione? Prima che Giocondo venga bruciato nella piazza principale, la tradizione vuole che si faccia “testamento”, ovvero che si leggano davanti a tutti i fatti più o meno positivi accaduti durante l’anno da poco finito, e che si proceda ad un vero e proprio funerale, quello dell’inverno che sta per finire. Il pagliaccio di Foiano, infatti non è solo una maschera burlona da gettare fra le fiamme, ma un simbolo arcaico attraverso il quale la cultura contadina inneggia alla rinascita, celebrando la scomparsa delle tenebre e del passato.
A Carnevale, per quattro domeniche consecutive, Foiano sarà al centro dell’interesse di cittadini e appassionati che ammireranno i suoi carri (conservati gelosamente nel più stretto riserbo fino alla giornata di inaugurazione), parteciperanno alle molte manifestazioni collaterali, godranno la musica delle bande invitate alla festa.