Il rebus dell’enigmistica

Con una storia che ha origini remote, oggi è per alcuni una vera professione, per i più un passatempo irrinunciabile, per tutti un ottimo esercizio della mente. I suoi adepti si riuniscono in associazioni, hanno le loro riviste, numerosi siti internet e possono contare anche su una biblioteca

Poco più di novant’anni fa, sotto lo sguardo insonnolito dei lettori del quotidiano New York World comparve un disegno mai visto prima: un misterioso rombo fatto di piccoli quadrati messi in fila uno accanto all’altro. Arthur Wynne – il giornalista che aveva ideato quello strano oggetto – non poteva immaginare che, d’allora in avanti, il suo schema fatto di caselle bianche e nere sarebbe diventato il passatempo preferito di milioni di persone sparse in tutto il mondo. Quel giorno Wynne aveva inventato le parole crociate.
In Italia, il nuovo gioco arrivò negli anni Venti. Ad ospitarlo per la prima volta furono le pagine della Domenica del Corriere. Ma la consacrazione definitiva ci fu soltanto nel ’31, con la nascita della Settimana Enigmistica, mitica rivista rimasta ancor oggi imbattuta. Il nome “cruciverba”, invece, lo si deve alla fantasia dell’editore Valentino Bompiani. Da quegli esordi lontani le parole crociate hanno fatto molta strada, legando il loro nome a quello di autori come Bartezzaghi o Ghilardi, oramai entrati nella leggenda e nelle case di tanti lettori. Chi di noi, in spiaggia o nella sala d’aspetto di una stazione ferroviaria, non ha ingannato il tempo cercando di riempire la griglia di caselle bianche e nere?

L’enigmistica, però, non è soltanto parole crociate e non nasce agli inizi del Novecento. Ha origini molto più remote, che affondano nel mito, nelle storie di Edipo e della Sfinge, nella passione antica per la sfida che, da sempre e ad ogni latitudine, spinge gli uomini a ideare e risolvere giochi, indovinelli e rompicapo di ogni tipo e di ogni grado di difficoltà. In Italia la tradizione enigmistica è straordinariamente varia, merito di una lingua ricca e flessibile, che si presta particolarmente alle esigenze del gioco.

Dai motti e dagli indovinelli medievali, dai rebus trovati nei manoscritti di Leonardo da Vinci alla prima rivista specializzata nata alla fine del Settecento, l’enigmistica italiana ha fatto molta strada, codificandosi in regole sempre più rigorose ed esatte. Passatempo per dilettanti in cerca di distrazione o seria occupazione capace di impegnare a fondo le menti più sottili, non è necessariamente sinonimo di pomeriggi oziosi. Certi giochi richiedono un’abilità e una cultura degne di veri campioni e una mente capace di penetrare negli ingranaggi della logica più stringente. Durante la Seconda guerra mondiale fu possibile decifrare alcuni codici segreti usati dall’avversario solo grazie all’aiuto di esperti enigmisti. A metà strada tra retorica e matematica, l’enigmistica è l’arte di giocare con le parole, di rivoltarle, rendendole altro da quello che sono o appaiono.

Sfruttando omonimie, affinità, facendo leva sulle differenze di suono o di senso, i virtuosi di questa disciplina possono creare combinazioni sorprendenti, capaci di mettere alla prova le intelligenze più vivaci. La lingua è una miniera di possibilità: l’importante è non fermarsi alla superficie delle cose, ma andare sempre oltre, cercando di scoprire cosa si nasconde dietro le apparenze.

La stessa immagine – ad esempio – può essere usata indifferentemente per descrivere una paziente nonnina o la bussola di un marinaio (Non ci credete? Leggete qui: “Lavora d’ago fino a mezzanotte per aggiustare le mutande rotte”. Semplice, vero? O forse no…). L’importante è non violare mai le leggi del linguaggio: i giochi migliori, infatti, sono quelli la cui soluzione non richiede forzature. Complicati sì, ma allo stesso tempo lineari e piacevoli. Possono basarsi sulla lettera (e allora avremo indovinelli, anagrammi, palindromi, intarsi, bisensi, polisensi, lucchetti, cerniere, sciarade, acrostici, doppietti e molti altri giochi dai nomi a volte impronunciabili), o avvalersi di un supporto figurato, caso in cui si parla di rebus.

Ce n’è per tutti i gusti e per tutte le età: chi è in cerca di un passatempo stuzzicante non ha che l’imbarazzo della scelta. A Modena, per chi volesse saperne di più, c’è anche una “Biblioteca Enigmistica Italiana” fondata da Giuseppe Panini (quello delle figurine: era anche un appassionato enigmista, conosciuto tra gli addetti ai lavori come “Il Paladino”). Ai palati più raffinati consigliamo di dedicarsi all’enigmistica “classica”, che si distingue da quella cosiddetta “popolare”, più semplice e a più ampia diffusione. Il dibattito su quali siano i campi di attribuzione delle due categorie è ancora aperto e i confini in qualche caso sono incerti, ma gli enigmisti “classici” hanno senza dubbio una loro fisionomia del tutto riconoscibile.

Solutori imbattibili e appassionati sono in grado di risolvere e di ideare giochi in versi, crittografie e rebus che metterebbero in crisi qualsiasi “profano”. Puristi assoluti dell’enigma, severissimi e attenti, disdegnano il cruciverba, ritenendolo un gioco fondato più sul nozionismo che sull’effettiva abilità del solutore.

Cittadini onorari di un’ideale “Repubblica del Tempo libero”, per comunicare tra loro ricorrono agli pseudonimi, gli stessi che usano per firmare anche i giochi che essi stessi inventano, un po’ come facevano nel Settecento i poeti dell’Arcadia. Per alcuni di loro il gioco è una vera e propria professione, anche se gli enigmisti a tempo pieno in realtà sono pochi. La maggior parte sono medici, ingegneri, professori, che di tanto in tanto, indossano i panni del cultore di rebus e di sciarada.

Come ogni religione, anche l’enigmistica classica ha i suoi testi sacri: riviste per soli abbonati su cui esercitare la mente e tenere allenate le cellule grigie. In Italia sono quattro: la più antica, Penombra, è nata negli anni Venti; poi ci sono Il Labirinto, Sibilla e Leonardo, rivista ufficiale dell’Ari – Associazione Rebussisti Italiani –, interamente dedicata ai rebus.

Vero e proprio primato italiano, il rebus occupa un posto di tutto rilievo nell’universo sconfinato dell’enigmistica. Unione di lingua e figura, in esso l’ambiguità si gioca sul rapporto tra l’illustrazione e la frase risolutiva. Il disegno ha un ruolo chiave, e non sono molti gli illustratori specializzati in grado di soddisfare le esigenze dei rebussisti più esperti. A volte, per raffigurare certi rebus sarebbero necessarie immagini così complesse che si finisce col rinunciare; altre volte si ricorre a quadri celebri o a collage fatti con fotografie.

I rebussisti sono una categoria speciale di enigmisti, che conta, solo nel nostro Paese, centinaia di appassionati. Se gli inglesi infatti sono campioni nella sciarada e agli americani si deve l’invenzione del cruciverba e la nascita della prima associazione di enigmisti, gli italiani sono imbattibili nel rebus. Dal 1981 questi solutori incalliti e raffinati si riuniscono nell’Ari e si fronteggiano sulle pagine del Leonardo. Ogni anno si incontrano in una città diversa per il Convegno dell’Associazione (il prossimo si svolgerà a Firenze dal 1° al 3 ottobre 2004) e si sfidano a colpi di difficilissimi rebus.

«Stranamente tra di noi ci sono pochi letterati», dice Federico Mussano, Consigliere dell’Ari. «Eppure l’enigmistica fa largo uso di figure retoriche ed è parente stretta delle discipline umanistiche. L’insieme, comunque, è piuttosto variato. In media, tra gli enigmisti classici, i rebussisti sono più giovani, ad esempio rispetto agli appassionati di giochi di parole, categoria con cui da sempre esiste una latente, pacifica rivalità».

E così, man mano che passano gli anni, la sfida si fa sempre più difficile. Ma agli enigmisti piace assaporarne il gusto.