Nei mesi scorsi si è parlato molto di tempeste magnetiche e aurore boreali. Astronomi e scienziati hanno tenuto sotto osservazione l’evoluzione dell’attività solare, che ha raggiunto il suo picco a fine ottobre: si temeva una tempesta magnetica da record, che avrebbe potuto mettere a serio rischio il funzionamento della maggior parte delle nostre apparecchiature elettroniche (fra cui computer, sistemi bancari, tv, telefoni cellulari). Vediamo com’è andata.
Il fenomeno. Il 28 ottobre scorso, in seguito ad una violenta esplosione sulla superficie del Sole (in gergo “brillamento solare” o flare), la corona solare – cioè uno degli strati esterni del Sole, costituito da gas a oltre un milione di gradi – ha espulso un’enorme quantità di gas surriscaldato (espulsione di massa coronale, o Cme, dall’inglese Coronal Mass Ejection). Verso il nostro pianeta si è proiettata una delle nubi di particelle elettrizzate più intensa (pare che fosse grande tredici volte la Terra!) che gli scienziati abbiano mai osservato da quando, circa 25-30 anni fa, è cominciata l’attività di osservazione sistematica del Sole.
In condizioni normali, il flusso di gas ionizzato trasportato dal vento solare genera un campo magnetico che influenza costantemente quello terrestre, confinandolo in una zona intorno al nostro pianeta a forma di cometa (magnetosfera). Le particelle cariche, che riescono a penetrare il campo geomagnetico, rimangono intrappolate in tale cavità e si addensano in due grandi cinture, denominate “fasce di Van Allen” dal nome dello scienziato che le scoprì nel 1958. In esse le cariche si muovono a spirale, oscillando avanti e indietro tra i poli magnetici della Terra. Questo fenomeno è dovuto al fatto che il campo magnetico terrestre non è uniforme, ma è intenso ad entrambe le estremità e debole al centro (tale configurazione di campo è nota come “bottiglia magnetica”).
Quando accade, però, che l’onda d’urto del materiale espulso dal Sole è molto forte, come nel caso di una Cme, e in direzione della Terra, il campo terrestre subisce pesanti turbamenti e distorsioni: si verifica, allora, la cosiddetta “tempesta magnetica”, o geomagnetica. Così è stato per il flare di ottobre, provocato da una spaventosa macchia solare (una zona di intensa turbolenza superficiale), che ha sparato nel nostro sistema qualcosa come 10 miliardi di tonnellate di particelle a una velocità calcolata di circa 2.145 chilometri al secondo (7,5 milioni di km/h): una velocità altissima, se si pensa che quella “normale”, in questi eventi, è di circa 400 chilometri al secondo.
In ordine di violenza, questa fiammata solare è stata la terza osservata negli ultimi anni: la più forte avvenne nel 1989 (nello stesso anno un’altra, di minore intensità, classificata come X15, fece saltare la rete elettrica in tutta la regione del Quebec, in Canada), a cui seguì quella del 2001 (di potenza X20), che però non colpì la Terra. Andando più indietro nel tempo, nel settembre 1859 si ebbe quella che gli esperti definiscono la “tempesta magnetica perfetta”, una superstorm: una forte Cme provocò una nube di spaventosa velocità diretta verso la Terra e con un campo magnetico di direzione opposta a quella del campo terrestre: in questo caso, infatti, per le proprietà del magnetismo (vedi box), la nube viene attratta dal campo magnetico terrestre che subisce una violenta perturbazione. Per ore le linee telegrafiche andarono in corto circuito sia in Europa che negli Stati Uniti.
Le conseguenze. Nella pratica, non si possono conoscere le caratteristiche del campo magnetico della nube espulsa dal Sole – in particolare conta la sua direzione – fino a poco tempo prima che giunga sulla Terra; è impossibile quindi calcolare a priori la forza del turbamento geomagnetico che potrebbe causare. Per questo, soprattutto per fenomeni di grande dimensione come quello dello scorso ottobre, ci si prepara sempre al peggio.
Si temono, infatti, conseguenze devastanti per i sistemi di telecomunicazione e di navigazione area e marittima, per i satelliti artificiali, le reti elettriche, il controllo di oleodotti e gasdotti. Le particelle elettricamente cariche che sfuggono allo scudo del campo magnetico terrestre raggiungono gli strati atmosferici alle alte latitudini, producendo delle correnti elettriche che possono mandare in corto circuito gli apparati elettronici e causare sbalzi di pressione sulle linee della trasmissione elettrica; inoltre, la deformazione del campo magnetico terrestre potrebbe essere tale da fare impazzire le bussole e con esse tutti i sistemi di orientamento legati al magnetismo (in tal senso, vengono modificati anche alcuni piani di volo a rischio).
Ma, ancora prima che ciò avvenga, vi sono altri effetti rilevanti che coinvolgono tutto il pianeta. Un flare solare, infatti, è accompagnato da un’intensa emissione di raggi X che, essendo una forma di luce (tra l’altro molto energetica), impiegano solo poco più di 8 minuti per arrivare sulla Terra. Essi colpiscono gli strati superiori dell’atmosfera e ionizzano una certa quantità di gas, producendo delle deformazioni di quello strato atmosferico, la ionosfera, responsabile delle trasmissioni radio.
All’atto pratico, ciò si traduce in interferenze durante le trasmissioni o, nei casi peggiori, nella perdita dei contatti radio. Nello spazio, dove non c’è la protezione naturale dell’atmosfera, la situazione è ancora peggiore. Così, per precauzione, nel corso dell’ultima tempesta magnetica alcune compagnie, durante i picchi più alti dell’impatto elettromagnetico, hanno messo i propri satelliti “a dormire”, in una sorta di letargo controllato.
Un altro importante aspetto riguarda i seri danni alla salute derivanti dall’esposizione a particelle di energia tanto elevata: Nasa (National Aeronautics and Space Administration) ed Esa (European Space Agency), i maggiori enti aerospaziali americano ed europeo, raccomandano agli astronauti in missione di evitare assolutamente “passeggiate” nello spazio durante tali eventi.
Come per loro, l’allarme riguarda anche i passeggeri dei voli di alta quota. Infatti, oltre a potenziali malfunzionamenti degli apparati di bordo, durante un’attività solare turbolenta, alle grandi altitudini lo strato di atmosfera è molto più sottile che al suolo e, quando le radiazioni raggiungono un picco assai più intenso del normale, se ne può assorbire una quantità elevata anche nel caso di rotte brevi. In Italia e in America sono in corso studi per accertare le loro possibili conseguenze a lungo termine per chi viaggia spesso in aereo oltre che per l’equipaggio che lo fa per professione.
Risvolti spettacolari. Alla fine, a dispetto di tutti questi comprensibili allarmismi, la tempesta magnetica del 29 ottobre, sebbene fosse stata classificata come G5 (la più violenta della categoria), non ha provocato eccessivi danni. Infatti, «il campo magnetico della nube carica puntava verso nord, come l’ago di una bussola sulla Terra. Se fosse stato rivolto al sud, gli effetti sarebbero stati più violenti e duraturi», hanno dichiarato gli esperti di settore. Si sono riscontrati solo forti disturbi nelle comunicazioni radio ad onda corta (Hf), ma senza conseguenze rilevanti, e un satellite giapponese è andato temporaneamente in tilt. A parte ciò, la tempesta ha avuto un risvolto davvero spettacolare, traducendosi in un’aurora boreale percepibile fino all’Europa meridionale (simile a quelle visibili nel Circolo Polare Artico).
Lo stesso è accaduto anche nell’emisfero sud: le aurore polari si manifestano sempre contemporaneamente nei due emisferi e si chiamano boreali e australi a seconda che ci si riferisca all’emisfero nord o sud. I poli, infatti, attirano verso di sé le particelle cariche che, interagendo con i gas rarefatti e ionizzati della ionosfera (in particolare con l’azoto e l’ossigeno), li eccitano, provocando emissioni di luce alle loro frequenze caratteristiche (con colori dal verde al blu, bianco e rosso). Queste radiazioni assumono le forme più variegate (bagliori, raggi, drappeggi, macchie diffuse) e un comportamento che può essere calmo, pulsante, o fiammeggiante.
Tutti i fenomeni descritti finora sono strettamente connessi all’attività della nostra stella vicina e alla sua interazione con il campo magnetico terrestre. Vediamo ora di capire insieme come è fatto questo campo.
Il campo magnetico terrestre. Il valore del campo magnetico terrestre in un determinato punto della superficie del nostro pianeta è il risultato della sovrapposizione di contributi aventi origine diversa, corrispondenti ciascuno ad un diverso campo. L’analisi condotta con opportuni metodi matematici, introdotti da Carl Friedrich Gauss, ha consentito di stabilire che il campo magnetico terrestre è per la quasi totalità (99%) generato nel nucleo fluido della Terra, ricco di ferro (il cosiddetto “campo principale”).
Il restante valore, detto “campo residuo”, è dovuto al contributo di altre cause: il “campo crostale”, generato dalle rocce magnetizzate della crosta terrestre; il “campo esterno”, dovuto agli sciami di particelle cariche provenienti dallo spazio, in particolar modo dal Sole; il “campo d’induzione elettromagnetica”, causato da correnti indotte nella crosta e nel mantello dal campo esterno variabile nel tempo.
Un modello globale del campo geomagnetico comunemente usato, l’Igrf (acronimo inglese di International Geomagnetic Reference Field), prende in esame solo il valore del campo principale dovuto a cause interne. Secondo tale modello, il campo magnetico terrestre può essere visto, per semplicità, come se al centro della Terra fosse presente una potentissima barra magnetica – definita in gergo tecnico dipolo magnetico – inclinata di 11°30’ rispetto all’asse terrestre (tale rappresentazione riesce a spiegare il 95% del campo interno).
I punti in cui il diametro terrestre lungo la direzione del dipolo incontra la superficie terrestre sono detti poli geomagnetici: asse geomagnetico è tale diametro terrestre, ed equatore geomagnetico è il cerchio massimo perpendicolare a questo asse, con centro in quello del dipolo. Il polo situato nell’emisfero settentrionale, indicato convenzionalmente con B (boreale), ha polarità negativa, mentre l’altro, indicato con A (australe), risulta positivo. L’effetto dovuto al campo magnetico residuo fa sì che i reali poli magnetici – quelli indicati dal polo N dell’ago della bussola (situato nell’Arcipelago Artico canadese) e quello S (a largo delle coste dell’Antartide) – non coincidano con quelli geomagnetici.
Grazie allo studio del campo magnetico terrestre in diversi luoghi della Terra e a varie profondità, è stato possibile risalire ad una serie di informazioni molto importanti, che hanno fatto luce su alcuni fenomeni di grande interesse, quali per esempio la deriva dei continenti e l’inversione del campo magnetico terrestre nel corso di milioni di anni.
Quello descritto è un modello matematico molto “semplice”: in realtà, l’andamento del campo è irregolare nello spazio (l’equatore ed i meridiani magnetici risultano linee contorte) e subisce delle oscillazioni nel tempo, variabili da luogo a luogo. In particolare, le variazioni temporali possono essere di breve periodo (poche ore o qualche anno), riconducibili a cause di origine esterna (fattori cosmici e solari), e di lungo periodo (o secolari), dovute alle sorgenti interne alla Terra. Fra le oscillazioni di breve periodo, ricordiamo le tempeste magnetiche, che, come detto, sono perturbazioni irregolari collegate ad attività solari particolarmente intense.