Monitorare la nostra stella
Il “clima spaziale” all’interno del nostro sistema solare è strettamente connesso all’attività del Sole, che, come risulta da evidenze empiriche, ha un andamento ciclico e raggiunge il suo massimo ogni undici anni circa.
In questi ultimi, è possibile prevedere con un certo anticipo eventi particolari legati all’attività solare e prendere alcune precauzioni per minimizzare gli effetti spiacevoli prodotti, grazie ad una serie di strumenti sofisticati all’interno di osservatori astronomici e centri di ricerca o a bordo di satelliti artificiali in orbita intorno alla Terra. Sono varie le missioni spaziali in atto che ci forniscono risultati complementari fra loro, sia per le grandezze fisiche che osservano e misurano, sia per la posizione con cui guardano il Sole. Fra le principali, ricordiamo il satellite Soho, un telescopio realizzato dall’Esa in collaborazione con la Nasa, che si trova lungo la retta che congiunge Terra e Sole, esattamente nel punto in cui le loro forze attrattive si equivalgono (il cosiddetto punto Lagrangiano). Soho orbita intorno alla nostra stella in modo sincrono con la Terra e la osserva senza perderla mai di vista, tanto da essersi meritato il soprannome di “cane da guardia”.
È stato proprio questo satellite ad allarmarci sull’ultima tempesta in arrivo, con le indicazioni che ci ha inviato sul gigantesco brillamento solare avvenuto il giorno precedente. Per capire cosa accade quando le particelle elettricamente cariche, che provengono dal Sole, iniziano a interagire con il campo magnetico terrestre, nel 2000 l’Esa ha lanciato la missione Cluster, composta da una piccola flotta di quattro satelliti identici orbitanti intorno alla Terra (presto ribattezzati Samba, Rumba, Salsa e Tango). Inoltre, è stata anche prolungata l’attività di Ulysses, un altro satellite Esa-Nasa lanciato nel 1990, che si muove quasi perpendicolarmente al piano dell’orbita terrestre, passando sopra i poli nord e sud del Sole. Un’esplorazione che non era mai stata tentata prima.
Magnetismo e paleomagnetismo
Leggendo queste pagine sono sorti sicuramente una serie di interrogativi: cos’è un campo magnetico? E, prima di questo, cos’è un magnete? E, ancora: perché, ruotando una bussola, l’ago torna ad orientarsi verso nord? Ancora oggi il magnetismo è un argomento che ha qualcosa di misterioso e affascinante: siamo in grado di determinarne gli effetti, ma non di comprenderne tutti gli aspetti più intimi. Già ai tempi dei Greci, più di 2000 anni fa, erano note le proprietà di una particolare pietra proveniente da Magnesia, oggi chiamata magnetite, in grado di attrarre il ferro. Alcune testimonianze scritte fanno risalire l’uso di magneti per la navigazione già al XII secolo. Grazie alla bussola, perfezionata ad Amalfi nella prima metà del XIII secolo, fu possibile allargare l’orizzonte delle conoscenze geografiche. Nel corso della storia sono stati molti gli esperimenti e le teorie di fisici e matematici illustri che si avvicendarono nello studio di questo fenomeno.
Si è capito così che ogni magnete, qualunque sia la forma, ha due poli: uno nord ed uno sud, dove la forza esercitata dal magnete stesso è massima; che poli dello stesso nome si respingono e, contrariamente, poli di nome diverso si attraggono. La forza tra due poli magnetici è simile a quella tra due cariche elettriche. L’importante differenza è che i poli magnetici si presentano sempre a coppie: è impossibile cioè isolare un singolo polo magnetico come accade invece per una carica elettrica (che può essere positiva o negativa). Quindi, se si spezza un magnete in due parti, si otterranno due magneti, ciascuno con poli uguali ed opposti. Si dovette però attendere fino al 1832 per avere una esatta configurazione del campo magnetico terrestre ad opera di Carl Friedrich Gauss. Egli per primo ne tracciò le linee di forza – ossia le curve che ne descrivono l’andamento – e ne iniziò lo studio dal punto di vista fisico-matematico. In sostanza, senza entrare troppo nel dettaglio tecnico, possiamo dire che un campo magnetico è un particolare campo di forze: una regione dello spazio in cui in ogni punto agisce uno specifico tipo di forza, quella magnetica, che ha direzione, verso e intensità propri. Grazie agli studi e agli esperimenti condotti, oggi sappiamo che i materiali magnetici (i magneti), sono costituiti da molecole dotate di una propria magnetizzazione permanente, dovuta al movimento degli elettroni.
Questa, in certe condizioni, può subire delle variazioni se il materiale viene immerso in un campo magnetico esterno. Infatti, quando si riscalda un materiale magnetico al di sopra di una temperatura critica, detta “punto di Curie” (attorno ai 500-600°C), accade che il materiale perde il proprio magnetismo permanente e, raffreddandosi, acquisisce una magnetizzazione che ha la stessa direzione del campo magnetico in cui è immerso. È ciò che accade alla lava che si raffredda fuoriuscendo da un vulcano: una volta divenuta roccia, i dati magnetici locali rimangono registrati in questa lava per sempre, quasi fossero congelati, a meno di essere riportata sopra il punto di Curie. Questo magnetismo fossile, che può permanere inalterato anche a distanza di decine o centinaia di milioni di anni è detto “paleomagnetismo”. Sfruttando tale proprietà (caratteristica di tutte le rocce ricche di minerali e ossidi di ferro, come le lave basaltiche e certe rocce sedimentarie), negli anni Cinquanta e Sessanta i geofisici cominciarono ad analizzare campioni di tutte le età e di varie parti del globo, per indagare sulle vicissitudini magnetiche del nostro pianeta. Si sono spiegati, così, interessanti e sorprendenti fenomeni, come la migrazione dei poli (legata al fenomeno della deriva dei continenti) e le inversioni di polarità del campo geomagnetico. È risultato, infatti, che, a causa di fenomeni che avvengono all’interno del nucleo terrestre, circa ogni mezzo milione di anni si ha un ribaltamento tra il polo nord e il polo sud magnetico.