Febbraio è un mese particolare nella memoria degli Eroi dell’Arma. È particolare perché vi nacque e vi morì il capostipite dei valorosi decorati che caddero in nome della fedeltà al Paese, nel culto dei valori propri dell’Istituzione: il carabiniere a cavallo Giovan Battista Scapaccino. Della sua nascita ad Incisa Belbo, oggi Incisa Scapaccino, in provincia di Asti, il 15 febbraio 1802 abbiamo già parlato (vedi Il Carabiniere n. 1/2003, pagg. 88-89). Riparliamo ora della sua morte a Les Echelles (Savoia), il 3 febbraio 1834, 170 anni orsono.
I fatti che determinarono il gesto eroico di colui che fu il primo tra i massimi Eroi paradigmatici dei Carabinieri sono noti anche ai nostri lettori. Ma per rendergli, una volta ancora, il dovuto omaggio li ricapitoleremo brevemente.
Tra il luglio del 1830 – data della rivolta francese contro il re Carlo X – ed il 1834, vari moti, alimentati da profonde esigenze di progresso politico e nazionale, avevano investito l’Europa: tra questi, la rivolta a Varsavia contro i russi, e in Italia, ad esempio, i fatti di Modena, di Parma e nello Stato Pontificio. Anche Giuseppe Mazzini, con un’intensa opera di sensibilizzazione, aveva raccolto numerosi seguaci in tutta l’Italia, tanto che fu indotto a tentare un moto rivoluzionario, nel febbraio del 1834, nel Regno di Sardegna.
Il progetto contemplava la sollevazione della marina da guerra sarda a Genova con l’aiuto di Giuseppe Garibaldi, a quell’epoca fervente repubblicano, ed il tentativo d’invasione della Savoia con quattro colonne di volontari, guidati dal generale Girolamo Ramorino.
Per quanto riguarda l’ammutinamento della flotta, la polizia riuscì a prevenire l’azione di Garibaldi, che fu costretto all’esilio. Le quattro colonne di volontari partite dalla Svizzera e dalla Francia alla volta di St. Julien, Seyssel, Laissaud e Les Echelles furono disperse, parte dagli svizzeri, parte dai francesi e parte dai doganieri sardi. Quella di Les Echelles, però, riuscì a raggiungere l’obiettivo.
Fu qui che avvenne l’episodio del carabiniere Scapaccino, il quale, effettivo a quella Stazione, la notte del 3 febbraio, mentre già un centinaio di mazziniani provenienti dalla Francia aveva occupato il paese, vi faceva ritorno dal Comando di Compagnia di Chambéry, dove aveva ritirato un dispaccio riservato che allertava i Comandi dipendenti proprio sui movimenti dei rivoltosi alla frontiera.
Gli insorti lo sorpresero e lo circondarono e, nel convincimento che un carabiniere dovesse essere “monarchico” per antonomasia, gli intimarono di inneggiare al Tricolore e alla Repubblica. Il militare, non volendosi macchiare di spergiuro, cercò di infrangere l’accerchiamento degli assalitori spronando il cavallo al grido di «Viva il Re!». Una fucilata lo raggiunse, uccidendolo.
Alla sua memoria re Carlo Alberto concesse, il 6 giugno successivo, la Medaglia d’Oro al Valor Militare, decorazione che aveva appena istituito l’anno precedente.
Non importa se poi Mazzini e Garibaldi divennero “Padri della Patria” e se l’idea repubblicana, dopo centododici anni, diverrà una realtà. L’esempio di Scapaccino non è legato ad una forma di governo, né ad un’ideologia politica, ma esalta uno dei valori più radicati dell’Arma: la fedeltà allo Stato e alle Istituzioni, oggi democratici, secondo un concetto di libertà e di partecipazione faticosamente conquistato e impresso nella coscienza dei cittadini; ieri legati ad un regime assolutista, ma non meno legittimi nel sentimento politico dei tempi.
E sono proprio questi due concetti, legittimità e legalità, che fanno saldo ed affidabile il servizio e l’impegno dei Carabinieri, per dirla con Costantino Nigra: «...del Re (ossia Capo dello Stato) custodi e della legge, schiavi sol del dover, usi obbedir tacendo e tacendo morir... modesti, ignoti Eroi».