Il punto di vista nodale della guerra, dell’evento, cioè, che la informa di tutto (8 settembre), non c’è alcuna storia ufficiale o ufficiosa e c’è quindi, come dice De Felice, “la necessità di approfondire alcuni aspetti fino ad oggi ignorati”. Proponiamo le coordinate seguenti.
Nel 1943, e anche dopo, Roosevelt e Churchill consideravano Grandi come l’unico leader italiano in grado di sostituire Mussolini e portare l’Italia a una pace separata. Grandi, conscio della stima che si era conquistato a livello internazionale, il 25 luglio agirà in funzione di questo obiettivo (E. Aga Rossi). Decisamente contrario invece Eden, e con lui la maggioranza del governo inglese. “Il governo inglese intendeva imporre una pace punitiva, che impedisse a qualunque futuro governo italiano di avanzare richieste riguardanti la propria integrità territoriale o il mantenimento delle colonie e, eventualmente, ritornare a minacciare la potenza inglese nel Mediterraneo”. Eden motivò la sua opposizione a una pace separata affermando, fra l’altro, che le forze italiane non costituivano un pericolo per gli Inglesi e che, in caso di rovesciamento delle alleanze, non sarebbero comunque state in grado di offrire un apporto militare significativo (Archivi di Stato, Fonti XVI). Nasce da tale linea la decisione di Casablanca della “resa senza condizioni”.
Hitler, dal canto suo, riteneva di poter sconfiggere l’Unione Sovietica (continuando però a “conversare” per una pace, stanti le diffidenze di Stalin verso i Paesi “capitalisti”), per cui “mai” avrebbe consentito uno “sganciamento” dell’Italia, in quanto “dopo averci aiutato, su nostra specifica richiesta, in Grecia, in Jugoslavia, in Cirenaica, in Libia, in Tunisia e in Sicilia, la considerava, a buon diritto, l’avamposto meridionale di quel loro ridotto continentale che intendeva difendere a ogni costo” (Birindelli).

Mussolini, era l’unico che aveva chiaro il quadro descritto. E cercava affannosamente una via d’uscita. Che non trovava. Intanto, il 5 luglio, il re non accettò “l’organigramma” del futuro governo elaborato da Badoglio con Bonomi e Casati. Non volle i politici, definiti revenants (fantasmi), ma solo militari e tecnici. Detto fatto. E arriviamo al Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio. Ancora oggi gli storici non sanno (non possono in mancanza di documenti) fornire una risposta convincente alla domanda: “Perché il Duce accettò la convocazione del Gran Consiglio, organo istituzionale, sì, ma ormai in disuso, visto che da tempo immemorabile non veniva più convocato?”. Risponde Montanelli: “Forse perché Mussolini aveva tanta fiducia nel proprio carisma e autorità su tutti gli altri. Accettò tutte le critiche che gli piovvero addosso, specie per la condotta della guerra. E quando il Capo della Milizia, Scorza, per trarlo d’imbarazzo, propose di chiamare i suoi uomini e di fare arrestare tutti i convenuti, il Duce lo zittì con un gesto di fastidio. Ma verissimo è che tutto si aspettava, quando convocato dal re, fuorché di essere arrestato, come seppi più tardi da sua figlia Edda. Forse pensava di poter ancora svolgere una qualche parte dietro le quinte. Come si vede siamo alle supposizioni. Altro non posso offrire nemmeno io”.
Il Fascismo cadde quindi per decisione del massimo organo del Regime e fu Grandi colui che mise nelle mani del re “l’atto costituzionale”. Da Montanelli-Cervi: “Bisogna pur ammetterlo: nella svolta storica del 25 luglio, i migliori tra i gerarchi fascisti dimostrarono una forte tensione morale e una genuina angoscia per le sorti del Paese. Il loro pronunciamento ebbe una patina di nobiltà disinteressata. La congiura reale e militare risulta, al confronto, meschina, miope, egoistica”. Si deve ancora sottolineare che fu Grandi “che costrinse il re, che fino a quel momento aveva rifiutato di assumersi la responsabilità di togliere la fiducia a Mussolini, a intervenire. Raggiunto questo obiettivo, Dino Grandi non riuscì però nel suo scopo principale: far uscire immediatamente l’Italia dalla guerra, stabilendo lui un contatto con i governi angloamericani per arrivare a un armistizio. Il re preferì infatti prendere tempo, affidare il governo al maresciallo Badoglio, che iniziò i negoziati in modo esitante e pensando fino alla fine di poter tornare indietro. Grandi, che aspettava l’ordine di partire per prendere contatto con gli alleati, fu invece messo da parte, anche se Vittorio Emanuele pensava a un successivo rientro (E. Aga Rossi)”.
Mussolini il 25 inizierà la giornata come se nulla fosse accaduto, “apparve pieno di energia”. In serata veniva letto il famoso comunicato con il quale si informava un popolo attonito e frastornato lo scambio di consegne tra il cav. Benito Mussolini e il cav. Pietro Badoglio, nonché l’infausto intendimento (ancora inspiegabile sul piano dell’etica e sulle finalità politiche) che “la guerra continua, l’Italia mantiene fede alla parola data”.
“All’una di notte, Mussolini ricevette una lettera di Badoglio in cui gli si diceva che lo si era trattato in quel modo nel suo “personale interesse”, essendo stato segnalato un complotto”. Mussolini rispose immediatamente: ringraziava per le attenzioni riservategli, chiedeva di poter raggiungere la Rocca della Caminate (lo chiederà ancora ai tedeschi appena liberato dal Gran Sasso), assicurava il maresciallo, “anche in ricordo del lavoro in comune svolto in altri tempi”, e concludeva: “Sono contento della decisione presa di continuare la guerra con gli alleati... e faccio voti che il successo coroni il grave compito al quale il maresciallo Badoglio si accinge per ordine e in nome di Sua Maestà il Re del quale, durante ventun anni, sono stato leale servitore e tale rimango”.

8 settembre 1943. Fine delle illusioni. Tra le prime iniziative di Badoglio, subito dopo l’arresto di Mussolini, l’occupazione delle centrali radio e telefoniche, il passaggio della responsabilità dell’ordine pubblico alle autorità militari e la costituzione di tribunali militari per la repressione dei disordini. Fu quindi proclamato lo stato di guerra in tutto il territorio nazionale. Il 27 luglio furono sciolti il Partito Nazionale Fascista e il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato; il 30 venne proclamata la decadenza della Camera dei fasci e delle corporazioni; il 31 le organizzazioni sindacali furono poste alle dipendenze dei prefetti e fu annunciato il richiamo alle armi di tutti i gerarchi fascisti. Venne creata una commissione di indagine sugli illeciti arricchimenti, la revisione di testi scolastici, l’epurazione nell’amministrazione pubblica. Non potevano mancare gli arresti, tra cui quelli dei rivali personali di Badoglio. Il problema della milizia fascista fu risolto con una più stretta integrazione con l’esercito ed un graduale inserimento nelle forze della polizia regolare. Le organizzazioni di massa delle organizzazioni fasciste, specie quelle assistenziali, furono conservate con la nomina di commissari “antifascisti”. Lo stesso dicasi per gli Istituti di natura economico-finanziaria (Iri, Imi, Inps). Mussolini fu trasferito dalla “Podgora” alla Legione Allievi Carabinieri; da qui, il 27, a Ponza; il 7 agosto alla base navale della Maddalena e il 27 a Campo Imperatore.
A fronte dello stato confusionale in cui si precipitò a partire dal 25 luglio, è opportuno riportare una sintetica spiegazione espressa da Piero Pieri e Giorgio Rochat: “Per quanto possa sembrare strano (...) il governo Badoglio era stato insediato senza un programma preciso, che non fosse quello di garantire l’ordine e la continuità dello Stato; in particolare, non era stata presa alcuna decisione sull’atteggiamento da tenere verso i tedeschi e gli angloamericani. L’intero gruppo dirigente italiano, dal re ai militari, da Badoglio a Grandi e Bonomi, esitava dinanzi ad una scelta che avrebbe comunque comportato grossi rischi e grossi sacrifici. La tendenza unanime fu di guadagnare tempo; e perciò, dopo le prime proteste, i comandi italiani diedero via libera alle unità tedesche che penetravano in Italia, limitandosi a chiedere il rimpatrio di alcune divisioni italiane dalla Francia”. Per parte loro, i principali esponenti antifascisti (tra cui De Gasperi), si tennero in disparte.
Così, il governo Badoglio si troverà solo a scegliere la strada ed a prendere le decisioni. Per di più con sul collo l’alleato tedesco che si comportava (e si comporterà ancor più dopo l’8 settembre) come una “tigre ferita” che doveva uscire dalla trappola italiana. Il 26 luglio Hitler emanerà una direttiva in cui ordinava che le forze di occupazione italiane dell’Egeo passassero sotto comando tedesco e che alcune unità strategiche italiane fossero frammischiate con unità germaniche. Contemporaneamente, senza incontrare ostilità, furono fatte affluire in Italia ben otto divisioni, presidiando le principali vie di comunicazione e l’importante ferrovia del Brennero, secondo la seguente visione strategica: assicurarsi il controllo dell’Italia settentrionale (linea degli Appennini da La Spezia a Bologna) e abbandonare quella meridionale da affidare alle truppe italiane con un velo di forze tedesche. La zona nord fu affidata al maresciallo Rommel, quella meridionale a Kesselring.
Così, la decisione di stabilire contatti con gli Alleati fu presa in un clima di grande incertezza e confusione, senza una guida sicura, e le iniziative in ordine sparso, più pensando alla salvezza di persone o gruppi che in un intelligente quadro geopolitico e strategico. L’Italia, non era a terra: disponeva di oltre due milioni di uomini (bene o male) in armi. Un milione addirittura sul territorio nazionale, pienamente capaci (e motivate) ad opporsi a uno dei due potenziali nemici: angloamericani e tedeschi. Questi ultimi poi, qualora attaccati con determinazione potevano essere imbottigliati grazie soprattutto alla configurazione del terreno, specie per chiudere i passi appenninici o alpini.
Cerchiamo di riassumere la successione degli avvenimenti. La decisione di comprendere le intenzioni degli angloamericani viene presa in una riunione al Quirinale il 31 luglio, dopo il ritorno da Ankara di Raffaele Guariglia, nuovo Ministro degli Esteri, il quale si orienta verso la Santa Sede dove risiedevano sir Francis d’Arcy Osborne, ambasciatore inglese, e il rappresentante personale di Roosevelt, Myrom Taylor. Il 4 agosto viene inviato a Tangeri Alberto Berio, giovane diplomatico che sostituisce nel consolato generale il figlio del maresciallo Badoglio. A Berio, Badoglio affiderà l’incarico di dire a quel Console generale inglese cosa devono fare: “Sbarchi nei Balcani o in altra zona europea per allontanare forze tedesche dall’Italia”. Risposta di Churchill: l’Italia deve arrendersi senza condizioni, pur indorando il diktat con la promessa di termini onorevoli. Berio riferisce a Guariglia il quale risponde affermando che Berio “era autorizzato a trattare la resa incondizionata solo in cambio della certezza che l’Italia fosse considerata alleata degli angloamericani”, che neppure rispondono.
Il 12 agosto, dopo il Convegno di Bologna, Ambrosio spedisce il fido Castellano, sotto mentite spoglie, da Campbell: senza credenziali perché, qualora intercettato dai tedeschi, possa essere sconfessato. Castellano ha l’incarico di esporre la nostra situazione militare (sempre condizionata dalla presenza tedesca), ascoltare le intenzioni degli Alleati e “soprattutto dire che non potevamo sganciarci dai tedeschi senza il loro aiuto”. Badoglio non dà consegne precise. Castellano, invece, va oltre il mandato ricevuto. Il 15 fa sosta a Madrid con il console Montanari quale interprete, e si incontra con l’ambasciatore inglese sir Samuel Hoare (filoitaliano), al quale dichiara che “il governo italiano era pronto a firmare la resa incondizionata solo se gli alleati fossero sbarcati nella penisola e se le forze armate italiane avessero potuto unirsi nella lotta contro i tedeschi, purché il suo governo fosse stato informato sulle località degli sbarchi alleati”.
19 agosto: primo incontro tra Castellano, Ronald Campbell e i due delegati, incontro che E. Aga Rossi definirà degli “inganni reciproci”. Castellano pone sul piatto della trattativa un’Italia pronta al combattimento purché con un vincolo di alleanza con gli angloamericani. Ma il sogno di Castellano di tornare a Roma come “alleato” degli Alleati, sfuma miseramente; Castellano ripartirà da Lisbona il 24 e arriverà a Roma solo il 27. Nel frattempo, non ricevendo notizie da Castellano, Roatta prende l’iniziativa di mandare come suo emissario – sempre a Lisbona – il generale Giacomo Zanussi “per equilibrare e controllare il lavoro di Castellano”. L’arrivo desta diffidenza e incomprensioni.
Il 27 Castellano si incontra prima con il gen. Rossi, Sottocapo di Stato Maggiore Generale in assenza di Ambrosio, in licenza, e a mezzogiorno con Badoglio, presente Guariglia, ai quali cerca di indorare l’amara pillola dell’ultimatum. Guariglia si scaglia contro Castellano facendogli rilevare che quello che vuole vendere come “armistizio” altro non è che “resa incondizionata”, sia pure con l’evanescente “onorevole”. Il 1° settembre riunione al Viminale: si tratta di accettare o meno l’ultimatum degli Alleati. Il 3 mattina Castellano torna a Cassibile per la firma, ma privo di autorizzazione “scritta”: i rappresentanti italiani danno in escandescenze e relegano Castellano e compagnia in una tenda, in attesa della “delega” da parte di Badoglio; alle ore 15 arriva la “delega”; alle 17 firma di Castellano, a nome di Badoglio, e di Bedell Smith, per Eisenhower, il quale si limiterà ad assistere alla conclusione di quello che definirà uno “sporco affare”.
Dopo la firma altri amari calici per Castellano, che si illude ancora di far assumere all’Italia il ruolo di “alleata”. Alexander ribadisce che la capitolazione non prevede “l’assistenza attiva dell’Italia nel combattere i tedeschi”. Poi, Bedel Smith consegna (finalmente) il testo del famigerato armistizio a Castellano. Che trasale nel rendersi conto della gravità dei termini di resa: “Non so se il mio governo, conoscendo queste condizioni, avrebbe firmato l’armistizio”. Si pretese troppo dal già frastornato governo Badoglio, per di più convinto che l’armistizio sarebbe stato annunciato dopo il 12 settembre. Questo tenere a debita distanza “gli italiani” (compiti passivi e limitati) costerà molto caro agli Alleati che rischieranno il reimbarco da Salerno e ben due anni di conflitto (dal ’43 al ’45), malgrado l’aiuto partigiano che terrà impegnate le divisioni tedesche specie nell’Italia del Nord.
5 settembre: il maggiore Marchesi torna a Roma da Cassibile con: una copia dell’armistizio “corto” e di quello “lungo”; un promemoria con le direttive per la flotta da guerra (a Malta) e per le navi mercantili; le istruzioni per l’aeronautica e per le azioni di sabotaggio; un promemoria per il Servizio informazioni; l’ordine di operazioni della 82a Divisione aviotrasportata. Più una lettera di Castellano per Ambrosio, in cui puntualizza che “non gli era stato possibile avere notizie precise sulla data dello sbarco principale ma di ritenere presumibile che essa dovesse cadere intorno al 12”.
7 settembre mattina: “Il governo trasmise a Castellano e Montanari un messaggio sollecitante l’indicazione, con 24 ore di anticipo, della data in cui il Re avrebbe potuto imbarcarsi per raggiungere eventualmente la Sardegna, protetto dalla aviazione alleata (...)”.
8 settembre, ore 19,45: Badoglio legge il seguente comunicato: “Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la schiacciante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi danni alla nazione, ha chiesto l’armistizio al generale Eisenhower... La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.