
L'8 maggio 1859 Giuseppe Garibaldi fu chiamato dal re Vittorio Emanuele nel quartier generale di San Salvatore. «Egli mi ricevette benevolmente», scrisse l'eroe nelle Memorie: «mi diede delle istruzioni, e delle facoltà larghissime per recarmi a coprire la capitale, mentre vi potesse esser pericolo d'un assalto imprevisto del nemico, e portarmi, una volta quel pericolo svanito, sulla destra dell'esercito austriaco per incomodarlo». Tre mesi prima Garibaldi era stato ricevuto a Torino da Cavour, che lo aveva messo al corrente dei preparativi della guerra, prospettandogli un ruolo nell'apparato militare piemontese.
Ma la direzione e l'organizzazione dei corpi di volontari fu affidata al generale Cialdini, e Garibaldi ebbe motivo di sentirsi mortificato: «Garibaldi dovea far capolino, comparire, e non comparire», scrisse. Doveva «nascondersi per non dare ombra alla diplomazia». L'anno successivo l'atteggiamento del governo non cambiò: a Torino si sperava che la Spedizione dei Mille andasse a buon fine, ma non ci fu mai un riconoscimento esplicito.