
Poco dopo la fine della Grande Guerra furono istituite in via provvisoria le Legioni Carabinieri di Trento e Trieste, le due città irredente riunite alla Patria. Le due Legioni divennero definitive nel 1921. Ma non fu quella l’unica novità introdotta nell’ordinamento dell’Arma, chiamata a far fronte a un periodo di vita nazionale molto complesso e carico di violenze. La rivoluzione russa aveva spinto molti socialisti e il movimento sindacale al massimalismo di stampo bolscevico. Dall’altra parte, i Fasci di combattimento creati da Mussolini ricorrevano anch’essi alla violenza. C’era un clima di guerra civile che i governi non riuscivano a fronteggiare adeguatamente, incerti fra l’uso del pugno duro e la tendenza al compromesso.
«Il ricorso alla repressione armata veniva così alternato alla linea morbida attendista (in particolare in occasione dell’occupazione delle fabbriche del 1920), in un panorama generale di inefficienza e di incertezza che favoriva l’aggregazione delle forze più conservatrici attorno al movimento fascista e apriva la strada alla soluzione autoritaria», scrive Gianni Oliva nella sua Storia dei Carabinieri. Nel biennio rosso, «l’impegno dell’Arma in occasione di attentati, conflitti, scioperi e manifestazioni fu di 233 operazioni speciali, con 43 morti e 474 feriti, secondo i dati ufficiali del corpo. Il conteggio dei caduti fra i manifestanti, pubblicato dall’Avanti!, ammontava invece a 145 morti e 444 feriti gravi nel periodo aprile 1919-marzo 1920; 175 morti e oltre 600 feriti erano calcolati per i sei mesi successivi. Le cifre offrono un’immagine drammatica ma eloquente dell’asprezza dei conflitti. In presenza di manifestazioni di piazza combattive e determinate, le autorità governative rispondevano lasciando ampia libertà di uso delle armi alle forze dell’ordine, col risultato di scontri sanguinosi e dagli effetti difficilmente controllabili».