
Allorché l’esercito austro-ungarico, rafforzato dai tedeschi, trasferiti sul fronte italiano da quello russo che stava ormai cedendo, sferrò l’offensiva che condusse alla disfatta di Caporetto, la consistenza dei carabinieri in ogni settore del fronte aveva raggiunto un livello numerico rilevante rispetto all’organico dell’Istituzione. «Inizialmente», ricorda il generale C.A. Arnaldo Ferrara nella Storia documentale dell’Arma dei Carabinieri, «erano poco più di mille uomini, tra ufficiali e truppa. Nell’autunno del 1917 erano circa 19.000, cioè la metà dell’Arma intera (diventeranno 20.400, tra ufficiali e uomini di truppa, al momento dell’ultima battaglia). Durante la ritirata verso il Piave quei 19.000 uomini costituirono una barriera invalicabile per la massa, disordinata e irrequieta, degli “sbandati”, per usare un termine pietosamente eufemistico con cui i Carabinieri, nei loro rapporti, indicavano i disertori». Il termine crudo sarebbe del tutto appropriato, anche se molti di loro, sottolinea il generale Ferrara, «erano in buona fede. Credevano che la guerra fosse finita, che fossero stati traditi dai loro stessi comandanti, con i quali, in molto casi, avevano perso ogni contatto: era l’ora di avviarsi verso casa, magari a piedi. Ma, grazie ai Carabinieri, l’onta del disonore fu loro evitata».