
«Forse», afferma il generale C.A. Arnaldo Ferrara (nella Storia documentale dell’Arma dei Carabinieri), «nella storia secolare della lotta ingaggiata dall’Arma contro la criminalità, mai nessun risultato costò ai Carabinieri tanto impegno e tanto sacrificio come quello della eliminazione dei briganti Tiburzi e Fioravanti, né sembri paradosso affermare che la pericolosità di questi ultimi si accrescerà dopo l’uccisione, in conflitto con l’Arma, degli altri latitanti Menichetti, Albertini e Ranucci, l’ultimo dei quali aveva in un primo tempo esercitato attività delittuosa a fianco del Tiburzi». Domenico Tiburzi si era conquistato il soprannome di “re della macchia”. Sembrava davvero imprendibile. Ma, alla fine, fu catturato e ucciso. Il merito dell’operazione fu del capitano Michele Giacheri, che studiò a fondo tutte le notizie riguardanti “Domenichino”, e cercò di superare l’omertà della popolazione che vedeva in Tiburzi un eroe. Con il suo lavoro certosino, e superando infinite difficoltà, Giacheri riuscì alla fine a individuare il rifugio del brigante. Il cigolio di un cancello non permise ai carabinieri di prendere di sorpresa Tiburzi: questi aprì il fuoco contro i militi dell’Arma, i quali risposero e lo uccisero.