Non tutti sanno che...

CAMOSSO DEODATO

Colonnello Deodato Camosso.Colonnello dei Carabinieri (Venaria Reale, Torino, 2 novembre 1817 - 4 maggio 1875) - Si arruolò il 1° dicembre 1836 come soldato nel Corpo dei Cacciatori Franchi, conseguendovi i gradi di sottocaporale, caporale, caporale maggiore e di sergente. Il 4 febbraio 1842, con il grado di sergente passò al 18° Reggimento Fanteria, nel quale fu nominato sottotenente in data 29 agosto 1844.

Trasferito il 17 febbraio 1846 al Reggimento Cavalleggeri di Sardegna, che svolgeva nell'isola le mansioni di polizia un tempo affidate al Corpo dei Carabinieri (v. Sardegna), il 1° luglio 1853, con il ritorno dei Carabinieri in Sardegna, fu promosso luogotenente di quel Corpo, nel quale ascese al grado di capitano il 15 agosto 1855 e di maggiore il 3 novembre 1860.

Quest'ufficiale dei Carabinieri fu protagonista di singolari avvenimenti.
Trasferito nel gennaio 1861 alla Legione di Palermo con il grado di maggiore, il 19 aprile successivo apparve su il "Giornale Officiale di Sicilia" il seguente trafiletto a lui dedicato:
"Annunciamo con piacere un fatto, che torna a sommo onore alla distinta Arma de' Carabinieri Reali. Il maggiore sig. Deodato Camosso, cui il governo affidava l'importante missione di rassodare l'ordine e la tranquillità nella Comune di Rana de' Greci, non solo vi riusciva, ma seppe co' provvedimenti dati, co' modi suoi e co' risultati ottenuti rendersi tanto caro a quel paese, che già per deliberazione del Consiglio Comunale gli è stata decretata la cittadinanza.
Quest'ottimo Ufficiale ha molti meriti che lo raccomandano.
E la Comune di Rana de' Greci gli è riconoscente ... [anche] per essersi cooperato al bene di molte famiglie, e per avere messo nel giusto aspetto l'opinione di un paese, che fu tra i primi a sacrificarsi per la causa nazionale.
Vogliamo credere che le Autorità superiori da cui dipende, autorizzeranno il sig. Camosso ad accettare questa onorevole distinzione
".

Mentre comandava la Divisione (oggi Comando Provinciale) di Messina, il 21 agosto dei 1862 ebbe luogo un'imponente manifestazione popolare d'entusiasmo originata dalla notizia dall'arrivo a Catania delle colonne garibaldine dirette verso il continente. Ma l'arresto di sei persone operato dalla forza pubblica durante il corteo e l'imprevista contemporanea emanazione dei decreto di stato d'assedio deciso per tutta l'isola a tutela dell'ordine pubblico, determinarono vivo fermento tra i messinesi, che si affollarono minacciosamente dinanzi alla Prefettura. La folla era guidata da un certo sig. Pancaldo, che il mattino del giorno 26 si presentò al Prefetto imponendo il dilemma tra la liberazione degli arrestati e la revoca dello stato d'assedio oppure la sollevazione del popolo.

Il capo della Provincia rispose con un fermo e dignitoso rifiuto, confermato, in una successiva ed immediata riunione delle Autorità anche dal generale Morandi, comandante la locale "Sotto Divisione" militare.
Nella relazione sui fatti scritta il giorno 26 agosto 1862 dal maggiore Camosso all'indirizzo del Maggior Generale Giovanni Serpi, Ispettore dei Corpo dei Carabinieri in Sicilia, si legge fra l'altro: «( .. ) Il Sig.r Pancaldo, che con apparente calma aveva ascoltate le parole del Sig.r Generale, rispose alzandosi con pigli da energumeno, che la sua Messina respingeva tutte le eccezioni, che pur troppi aveva dati scandali alla libera Italia col suo passato contegno, che ei in nome del popolo e per la salvezza nostra voleva assolutamente sospeso lo stato d'assedio ed immediatamente rimessi in libertà gli arrestati per atto illegale ed arbitrario della polizia; qui apostrofava ingiuriosamente il Sig.r Prefetto dicendogli: colui non mi volle nel Consiglio, che voi teneste or ora, eppure egli Prefetto fra poco potrebbe essere nulla ed io sono sempre il Deputato del popolo, voi voleste che mi allontanassi, si, mi allontano e tutti vi scomunico. Così si spinse per uscire gridando; se costui fosse sceso fra quella concitata massa di popolo Iddio solo sa quali sarebbero stati gli avvenimenti. Io mi slanciai dietro di lui e riuscii ad afferrarlo mentre già usciva furibondo. Questo uomo ha per me una specie di sussiego e deferenza che si voglia; si arrese alle mie preghiere e dirò anche alle mie strette; tornò indietro; ascoltò la calma e ferma parola del Procuratore Generale del Re; in fine si trattenne.

Era pur fortuna imperocché, poco dopo impaziente la massa del popolo che aspettava in sulla piazza afferrata un'ampia bandiera se gli aggruppava d'attorno mandando grida furiose e reiterate. Il Sig.r Prefetto allora si avvicinò a me e mi disse: vada, Maggiore. Ella è ascoltata, tenti di calmare queste effervescenze; io non esitai ad ottemperare al desiderio dell'esimio Magistrato, scesi in piazza; fui ricevuto come da un urlo, mi spinsi là dove era la bandiera e l'afferrai nelle mani dall'uomo del popolo che la portava e parlai così: Generoso popolo di Messina, guarda che stanno traviandoti; ma guai e tre volte guai a chi dividerà il popolo e seminerà la discordia, raccogliti unito sotto questa bandiera e memore del tuo unanime plebiscito grida evviva Vittorio Emanuele nostro Re, evviva l'Italia una. ( .. ) La mia voce fu coperta d'immensi applausi, di evviva il Re ed all'Italia unita e continuai ( .. )
".

Il rapporto del maggiore Camosso concludeva informando che nello stesso pomeriggio di quel giorno già era tornata la normalità nell'ordine pubblico.

Al ricevere tale documento l'Ispettore comandante dei Carabinieri in Sicilia, maggiore generale Giovanni Serpi, manifestò con indubbia franchezza al maggiore Camosso la propria reazione:
"... Ho ricevuto l'emarginato rapporto di V.S. Ill.ma sulla dimostrazione costì avvenuta il 21 corrente, dalla lettura del quale dovetti scorgere com'Ella non sia stata troppo felice nella sua improvvisazione. Io avrei desiderato ch 'Ella avesse anzitutto declinato l'incarico avuto dal sig. Prefetto di arringare il popolo, avvegnacché Ella esponendosi così solo in mezzo ad una folla commossa, e tumultuante si espose ad evidente pericolo di essere insultata, nel quale caso l'insulto non ricade sulla sola persona ma sull'uniforme e sul Corpo intero. ( .. ). Avendo VS. Ill.ma inoltrato direttamente il suo rapporto al sig. Ministro della Guerra, io Le auguro ardentemente che sfuggano a S.E. queste mie riflessioni...».

Le circostanze eccezionali nelle quali si trovò ad agire il maggiore Camosso giustificano la legittimità delle critiche del generale Serpi, ma non va trascurato il fatto che la situazione in Messina era grave e presentava obiettivamente l'alternativa di lasciare mano libera al deputato Pancaldo, con conseguenze imprevedibili per l'ordine pubblico, oppure di fronteggiare decisamente la folla con un discorso, nel quale non potevano andare elusi né l'argomento dello stato d'assedio né quello dei cittadini arrestati.
D'altro canto, rammentò il generale Serpi, primo dovere d'un militare dell'Arma è quello di non mettere in rischio il prestigio della propria uniforme.
A carico del maggiore Camosso si adottò solo il provvedimento di trasferirlo alla Legione di Chieti.

Di quanto avesse ragione il generale Serpi nel suo giudizio sul Camosso ("ha sempre dato prova di devoto attaccamento alle Istituzioni ed al dovere") lo stesso ufficiale avrà conferma qualche anno più tardi - il 4 novembre 1867 - allorché, da tenente colonnello comandante la Divisione di Firenze, venne incaricato della più delicata missione che si potesse in quel momento affidare ad un ufficiale dell'Arma: l'arresto del generale Garibaldi a Figline Valdarno (v. Garibaldi e i Carabinieri).
Il 28 marzo 1868 il tenente colonnello Camosso venne trasferito alla Legione di Bari quale comandante, incarico nel quale venne confermato il 26 ottobre successivo, data della sua promozione a colonnello. Con R.D. 15 maggio 1870 venne collocato a riposo.