Non tutti sanno che...

ARMAMENTO DEI CARABINIERI - ARMI CORTE DA FUOCO

Le già citate "Determinazioni di S.M. per la formazione del Corpo dei Carabinieri" del 9 agosto 1814, nel prescrivere l'armamento dei Carabinieri, stabilivano " ... per quelli a cavallo due pistole di fonda"; all'epoca infatti solo i militari montati erano equipaggiati di pistole, che venivano inserite in apposite fondine di cuoio, pendenti ai lati dell'arcione della sella, e ricoperte con "coprifonde" e "cappelletti" di colore turchino come la gualdrappa.

Pistola da Cavalleria usata dai Carabinieri a cavallo all'epoca della loro istituzione.I Carabinieri ebbero in dotazione pistole a pietra focaia mod. 1814, già usate dalla precedente Gendarmeria napoleonica, strutturalmente analoghe a quelle degli altri Corpi della Cavalleria piemontese dalle quali, però, differivano per alcuni dettagli non solamente di carattere esteriore. Infatti, mentre si possono ricondurre ambedue ad un originario modello francese 1763 e pur conservando meccanismi e linea sostanzialmente uguali, quelle da distribuire all'Arma vennero progettate per un diverso impiego operativo. L'esemplare da carabiniere si presentava più piccolo di quello da Cavalleria, sia nella canna, di mm. 128 e calibro 15 contro mm. 200 e calibro 17, sia nella parte in legno (cassa e calciatura) più corta e raccolta, il che comportava evidentemente anche un peso inferiore: gr. 670 contro gr. 1300. Inoltre i fornimenti (bocchino, ponticello, controcartella e coccia) erano in ottone anziché in ferro.

La maggiore compattezza e maneggevolezza unite al peso notevolmente ridotto, facevano della pistola da carabiniere - migliore anche nell'estetica - un'arma dalla spiccata duttilità, veramente adeguata per quei tempi all'uso più intenso e vario imposto dal servizio di polizia. Nel suo complesso il mod. 1814 era costituito dalla cassa, sulla quale si incastravano canna, piastra con acciarino e fornimenti.

La cassa, in legno di noce, era il necessario supporto dei meccanismi e si articolava in fusto ed impugnatura o calcio; sul fusto erano poi sagomati gli incassi ai quali andavano applicate le parti metalliche, tra cui la canna.

Quest'ultima, ad anima liscia nel considerevole calibro di 15 mm., era forgiata arrotolando una barra di ferro ridotta a lamina ad un mandrino e, saldati i bordi, calibrata con trapani diversi di grandezza crescente, infine veniva molata.
La piastra o cartella, posta sul lato destro della cassa, consisteva in una lamina di ferro temprato sulla quale erano praticati i fori per montarvi l'acciarino. Era quest'ultimo il meccanismo di sparo vero e proprio, costituito dal cane con la pietra focaia stretta tra due ganasce, dal bacinetto per il polverino d'innesco e dalla batteria con relativa martellina.
Premendo il grilletto si svincolava il cane, che andava a percuotere con la pietra focaia la martellina, provocando scintille che accendevano il polverino e quindi, attraverso un foro di comunicazione (focone), la carica contenuta nella canna. L'arma era naturalmente ad avancarica, ossia palla e polvere da sparo, già confezionate in una cartuccia di carta impermeabilizzata, s'inserivano nella canna dalla parte della volata (o bocca) e venivano pressate con l'apposita bacchetta d'acciaio, custodita in una scanalatura praticata sotto la cassa.

I fornimenti, in ottone, servivano di connessione e di rinforzo alle parti principali. Comprendevano: il bocchino a doppio anello che collegava la canna alla cassa ed era trattenuto in fermo da una molla a lamina posta sul lato destro ed annegata nel fusto (sulla parte anteriore vi era pure l'orifizio per introdurvi la bacchetta); la controcartella, incassata sulla sinistra, che fungeva da appoggio alle due viti lunghe di fermo che univano dalla parte opposta la piastra alla cassa; il guardamano, composto dallo scudo applicato nella parte inferiore del fusto, dal grilletto e dal ponticello che difendeva il grilletto stesso.
In dettaglio il ponticello comprendeva:la parte curva, una bandella anteriore ed una posteriore di raccordo al fusto, quest'ultima con attacco incurvato a rinforzare il ponticello vero e proprio. Infine vi era la coccia che serviva a proteggere la estremità dell'impugnatura da eventuali urti e si articolava in calotta, ossia la parte terminale a cupola; coda, protesa nella parte superiore verso la canna; becco, sporgente dalla parte inferiore esterna verso il guardamano; orecchie, sagomate ai lati della calotta.

Il mod. 1814 era fabbricato dalla Regia Manifattura d'Armi di Torino, suddivisa nei due stabilimenti di Valdocco, ove si forgiavano le canne delle armi da fuoco, e di S. Maria Maddalena, ove si allestivano le altre parti. L'Arma restò in uso sino al 1846; fu quindi la pistola dei Carabinieri del sottotenente Gerolamo Cavassola che il 6 luglio 1815 caricarono i napoleonici asserragliati nella piazzaforte di Grenoble; due esemplari di essa pendevano dalla sella del carabiniere Giovan Battista Scapaccino, prima Medaglia d'Oro dell'Armata Sarda, quando due fucilate ne stroncarono la vita a Les Echelles la notte del 3 febbraio 1834.

Pistola a percussione mod. 1847

Pistola a percussione mod. 1847, in dotazione ai Carabinieri a cavallo: calibro 17 ad anima liscia, lunghezza della canna mm.130, lunghezza totale mm.250, peso Kg. 0,700.Si legge tra l'altro in un dispaccio inviato il 21 gennaio 1846 dalla Regia Segreteria di Stato per gli Affari di Guerra e Marina all'Azienda Generale dell'Artiglieria: "Le pistole corte dei carabinieri reali e dei cavalleggeri di Sardegna, siccome armi di sicurezza, che si sparano per lo più a bocca a petto, dovendo essere per quanto possibile perfezionate, piacque a S.M. in udienza del 17 gennaio 1846 di approvare: "Che alle attuali pistole a selce (pietra focaia n.d.a.) degli anzidetti due corpi, nel ridurle a percussione, si faccia al guardamano la correzione proposta dal comandante generale dell'Artiglieria, onde rendere più facile il collocamento dell'indice sul grilletto. Che le pistole da fabbricarsi in avvenire per gli stessi corpi, abbiano il guardamano di simile foggia"".

Il documento, pubblicato a pag. 7 del Giornale Militare anno 1846, mette in evidenza la cura costante degli organi competenti di migliorare, anche sotto l'aspetto della maneggevolezza, il livello tecnico delle armi in dotazione ai corpi armati di polizia.

Tra le modifiche apportate alla vecchia pistola mod. 1814, novità di maggior rilievo fu la trasformazione dell'ormai vetusto acciarino a pietra focaia in quello a percussione, ideato nel 1807 dal reverendo scozzese Alexander Forsyth e perfezionato negli anni 1815-1820 da altri armaioli, in particolare dall'inglese Durs Egg. In Piemonte esso fu applicato alle armi militari ad avancarica a partire dal 1844.

Nel meccanismo di sparo, eliminata dalla cartella la batteria con martellina e bacinetto, il cane, di nuovo disegno, percuoteva il "luminello" (cilindretto forato e fissato alla canna in corrispondenza del focone) sul quale si incastrava una capsula metallica contenente del fulminato di mercurio che, esplodendo all'urto, accendeva la carica contenuta nella canna. Tra i numerosi vantaggi ottenuti con il nuovo sistema, i più cospicui furono: l'abbreviazione dei tempi di impiego, la eliminazione quasi totale delle "cilecche" ed una maggiore impermeabilità. Infatti venivano eliminati i movimenti della batteria relativi alla sistemazione del polverino d'innesco il quale, sostituito a sua volta dalla capsula, non costituiva più motivo di apprensione per il dosaggio sempre approssimativo e per l'accentuata proprietà igroscopica; inoltre si evitava la selce, facilmente deteriorabile.

La pistola, denominata ufficialmente "mod. 1847 da Carabinieri" differiva esteticamente dal mod. 1814 oltreché per il diverso congegno di fuoco ed il cane privo di ganasce, come già detto, anche per i fornimenti sempre in ottone ma con alcune modifiche. Il bocchino, ad anello singolo anziché doppio, era trattenuto in fermo non più dalla molla a lamina, scomparsa, ma fissato direttamente alla controcartella da una coda di raccordo. Il ponticello del guardamano si congiungeva alla bandella posteriore ad angolo vivo, senza cioè il tratto curvo di rinforzo presente nel precedente modello, secondo la modifica proposta dal comandante generale dell'Artiglieria, accennata nel dispaccio del 21 gennaio 1846, Per migliorane l'impugnatura.

L'arma continuò ad essere distribuita in duplice esemplare ai soli carabinieri a cavallo sino al 1861; fu quindi presente sui campi di Pastrengo, nell'epica carica degli Squadroni della scorta reale, di Valeggio, Staffalo e gli altri del fatidico '48, come in quelli di Palestro e Magenta dieci anni dopo; accompagnò i Carabinieri nella lontana Crimea e se la trovarono di fronte anche i "papalini" a Castelfidardo ed i napoletani di Francesco Il a Capua e Gaeta, nelle "giornate" più esaltanti del Risorgimento italiano.


Pistola-revolver mod. 1861

Revolver italo-francese a spillo mod. 1861 in dotazione ai carabinieri fino al 1875: calibro mm. 11 con anima della canna rigata.Il ruolo secondario della pistola nell'armamento individuale degli eserciti andava nel frattempo modificandosi.
La preminenza esclusiva delle armi lunghe da fuoco e di quelle da punta e taglio dovette cedere gradualmente dinanzi al progredire tecnico delle armi corte da fuoco, specie dopo che l'armaiolo francese Lefaucheux ideò nel 1846 per il revolver a retrocarica francese un tipo di cartucce "a spillo" che sfruttavano un singolare tipo di accensione.

La cartuccia infatti constava del proiettile di piombo e del bossolo di rame (altra importante novità), nella cui estremità posteriore, perpendicolarmente al fondello, era inserita una spina d'ottone che da una parte sporgeva di qualche millimetro all'esterno del bossolo, dall'altra, acuminata, sfiorava una capsula d'innesco posta internamente, in un alloggio di cartone pressato, a contatto con la polvere nera della carica di lancio.

Lo sparo avveniva quindi con questa sequenza: inserite le cartucce nella camera in modo che i relativi spilli sporgessero dalle apposite tacche praticate sul tamburo, si alzava il cane in posizione d'armamento, poi, premendo il grilletto, lo si svincolava causandone l'abbattimento sullo spillo della cartuccia, e questo percuotendo la capsula d'innesco, provocava l'esplosione della carica.

Tale sistema presentava indubbiamente alcuni rilevanti difetti, ossia: delicatezza di trasporto delle cartucce per il pericolo di esplosione fortuita, causata da urto accidentale dello spillo; poca maneggevolezza di caricamento dovuta alla giustapposizione degli spilli nelle tacche; penetrazione dell'umidità dal foro dello spillo sul bossolo. Tuttavia a questi inconvenienti corrispondevano notevoli pregi: cartuccia con elementi uniti in un solo insieme (proiettile, polvere e capsula); chiusura ermetica della cartuccia stessa tramite il fondello metallico, che favoriva un utilizzo più completo della pressione dei gas; rapidità e volume dì fuoco di gran lunga maggiore rispetto alle pistole ad avancarica.

Il Ministero della Guerra italiano si risolse dunque all'adozione del revolver tipo "Lefaucheux" per l'Arma dei Carabinieri, ufficializzandolo con nota N. 104 dei 31 maggio 1861, della "Direzione generale delle Armi speciali - Divisione d'Artiglieria, Sezione Materiale" (vds. Giornale Militare, annata'1861, pag. 374), ed in particolare sancì:

  1. "Ogni Carabiniere riceverà una pistola Revolver invece delle due pistole M. 1847 di cui è attualmente armato (fin allora erano armati di pistola solo i militari a cavallo);

  2. Il modello di Revolver adottato per i Carabinieri si è quello Lefaucheux già in uso presso la Reale Marina (Giornale Militare 1859, pag. 453) con le varianti seguenti:

  1. accorciamento della canna di 40 millimetri;

  2. bacchetta disgiunta dall'arma.

  1. Le modificazioni di cui al numero precedente si faranno solo alle pistole Revolver di cui si commetterà in avvenire la fabbricazione, ritenendo quali esse si trovano quelle già confezionate di cui sifarà acquisto per provvedere immediatamente alle esigenze del servizio.

  2. I due modelli summenzionati si denomineranno pistola Revolver da Carabinieri Reali, M. 1861, e pistola Revolver M. Lefaucheux secondo che saranno o no modificati nel senso sovraespresso".

In dettaglio l'arma era, come sì è detto, una pistola a rotazione ad incastellatura aperta, ossia la canna si raccordava al castello (il telaio che fa da supporto ai meccanismi) solo dalla parte inferiore, mancando la staffa superiore di giunzione propria dei moderni revolver. La canna rigata, calibro 10,9 mm., era incassata, dalla parte della culatta, nel "rinforzo" un supporto ad L il cui braccio corto, detto "coda", si fissava al guardamano costituendo il raccordo di cui si è detto sopra; sul rinforzo vi erano pure praticati i fori per la bacchetta che serviva da espulsore dei bossoli (solo nei modelli Lefaucheux e non nel M. '61), e dell'albero su cui ruotava il cilindro o tamburo. Quest'ultimo era camerato per sei cartucce e recava le relative tacche per la fuoriuscita degli spilli; si caricava facendo ruotare in senso orario, in modo da portare ciascuna camera in corrispondenza di uno sportello basculante sito nella parte posteriore del castello sul lato destro. Il cane aveva tre posizioni: abbattuto sul tamburo tra una camera e l'altra, nella posizione di normale trasporto; mezza monta, per svincolare il tamburo e consentire il caricamento dell'arma; completamente alzato pronto per lo sparo. Questo tipo di revolver era ad azione singola, ossia il cane doveva essere armato manualmente di volta in volta ad ogni colpo.

Il 19 dicembre 1861 venne pubblicata sul Giornale Militare (pagg. 898-901) l' "Istruzione sulle Pistole-Revolver in uso presso i Carabinieri" nella quale, oltre alla nomenclatura delle armi ed alle istruzioni per l'uso e manutenzione, erano descritti i tre diversi modelli di revolver distribuiti ai militari dell'Arma, "ossia:

  1. Pistola-Revolver M. 1861.

  2. Pistola-Revolver M. Lefaucheux.

  3. Pistola-Revolver M. Lefaucheux corta.
    Il primo differisce dagli altri per la dimensione di alcune sue parti, e per la bacchetta che è disgiunta dall'arma... Il secondo differisce dal terzo nella maggiore lunghezza della canna, e nella bacchetta che è trattenuta nella sua guida da una vite, mentre che nel terzo è trattenuta da un dente della molletta di bacchetta".

In sostanza si trattava di tre derivazioni da uno stesso originario modello francese 1858 Lefaucheux. Il perché i Carabinieri avessero in dotazione tutti e tre i modelli potrebbe trovare spiegazione nell'ipotesi che originariamente, prima del M. '61, vennero distribuiti i Lefaucheux direttamente commissionati in Francia per la Marina, in prosieguo, per uniformità con le disposizioni della nota n. 104 del 31 maggio 1861, le canne degli esemplari di più recente acquisto vennero accorciate di 40 mm., donde deriva la pistola "Lefaucheux corta" cui vennero pure eseguite le modifiche al fermo di bacchetta.
Infine con circolare n. 1966 in data 18 aprile 1864 del Comitato dell'Arma (attuale Comando Generale), a firma del luogotenente generale Presidente Federico Costanzo Lovera di Maria (il Comandante Generale dell'epoca), venne distribuito alle Legioni il modello di fondina adottato per le nuove pistole. Essa era in cuoio marrone e veniva indossata agganciata al cinturino sul lato sinistro dai militari a piedi, sul destro da quelli a cavallo.
Il revolver mod. 1861 fu compagno inseparabile dei Carabinieri duramente impegnati nella campagna contro il brigantaggio (decennio 1860-1870), contribuendo a sgominare bande tristemente famose' ed equipaggiò anche i militari dell'Arma che presero parte alla terza Guerra d'Indipendenza.

Revolver Chamelot-Delvigne mod. 1874

Nonostante i notevoli pregi, il revolver a spillo fu presto superato da quelli che utilizzavano cartucce a percussione centrale come quelle attuali (con la capsula di innesco posta esternamente al centro del fondello del bossolo) ideate dall'armaiolo inglese Waw già nel 1861 e sperimentate con gran successo durante la guerra di Secessione americana.

All'inizio degli anni '70 il Governo italiano decise di dotare di pistola tutto l'Esercito, orientandosi su di un'arma che consentiva di sparare premendo il grilletto senza armare il cane manualmente ad ogni colpo. La scelta cadde sulla pistola a rotazione brevettata nel 1871 dagli armaioli Chamelot, svizzero, e Delvigne, francese, i quali cedettero i diritti di costruzione alla ditta dei fratelli Pirlot di Liegi, che brevettarono anche in Italia l'arma in due successive date, 30 settembre 1872 e 14 febbraio 1873, con il nome di "Revolver Chamelot-Delvigne". Questo revolver, già adottato dagli eserciti francese (mod. 1873) e svizzero (mod. 1872), incominciò ad essere distribuito alle truppe italiane nel 1875, copie testimonia il Giornale Militare 1874, parte seconda, pag. 403, nel quale si legge la circolare n. 165 in data 14 dicembre che stabilisce: "Col 1° del prossimo gennaio 1875, avrà luogo in Parma presso la scuola normale di fanteria, un corso d'istruzione sulla conservazione, riparazione, e sul tiro del moschetto di cavalleria modello 1870, e sulla pistola a rotazione modello 1874".

L'arma presentava una linea molto compatta e funzionale anche per l'incastellatura chiusa, ossia il castello aveva due staffe, superiore con tacca di mira ed inferiore di raccordo alla canna. Questa, in calibro 10,35 mm. con 4 rigature destrorse, era esternamente di forma esagonale con mirino molto vicino alla volata. Il cilindro conteneva sei cartucce e, come quelli attuali, ai lati delle camere aveva degli sgusci di alleggerimento; il caricamento avveniva, come per il mod. '61, dalla parte posteriore tramite uno sportello posto sul lato destro. La bacchetta estrattrice con testa parzialmente zigrinata era situata in un alloggiamento solidale alla canna, sul fianco destro dell'albero del cilindro. Il cane, come nel precedente modello, poteva assumere due posizioni.

Ci vollero molti anni per completare l'assegnazione delle nuove armi, tant'è vero che alla fine degli anni '80 i Carabinieri avevano, assieme al mod. 1874, i vari tipi di "Lefaucheux"; è infatti del 13 gennaio 1888 la circolare n. 176 del Comando Generale avente per oggetto: "Impiego delle cartucce a pallottola per pistola a rotazione da carabinieri o modello Lefaucheux".

Il mod. '74 fu in dotazione durante le campagne coloniali, nella lotta al banditismo sardo e calabro-siculo di fine secolo (anni '80290), nel corso del conflitto italo turco 1911-12 ed alcuni esemplari dì essa arrivarono alla Prima Guerra Mondiale, a testimonianza delle ottime prestazioni fornite nelle più svariate circostanze da quest'arma veramente riuscita. Tra i suoi pochi difetti: durezza del grilletto in doppia azione; cane troppo vicino al fondello del bossolo. là ancora del 9 marzo 1899 la circolare n. 1407 del Comando Generale dell'Arma con oggetto: «Nuove prescrizioni di sicurezza per le pistole a rotazione modello 1874», in cui sì lamenta l'inconveniente che «...al più piccolo urto od anche alla semplice pressione del dito, il cane scatta dalla posizione di sicurezza». Infine vi era l'elevato costo che ne faceva quasi un'arma di lusso.

Il revolver mod. '74 veniva portato sul fianco sinistro anche dai carabinieri a cavallo, per disposizione impartita con circolare n. 6338 dei Comando Generale, in data 27 maggio 1884.

Revolver "Bodeo" mod. 1889

Alla fine degli anni '80 del secolo scorso si decise di adottare una nuova pistola a rotazione da sostituite al pur ottimo mod. '74, che ovviasse agli inconvenienti che presentava quest'ultimo.
Quindi con atto n. 235 del Ministero della Guerra, in data 31 ottobre 1889, pubblicato a pag. 650 del Giornale Militare di quell'anno, venne: « .. adottata ed introdotta in servizio la pistola a rotazione mod. 1889».

L'arma scaturiva da un brevetto, datato 11 dicembre 1886, dell'armaiolo Carlo Bodeo ideatore di un sistema per modificare i revolver mod. '74 e renderli più sicuri e facilmente smontabili anche senza attrezzi speciali.
Ne era derivata un'arma robusta e funzionale, ma manifestamente superata.

I revolver mod. '89 vennero adottati in due versioni: per truppa, con grilletto ripiegabile sotto il guardamano e senza ponticello; per ufficiali, con grilletto fisso e ponticello. Quanto alle caratteristiche tecniche, la nuova pistola aveva la canna calibro 10,35 mm., esagonale all'esterno come la precedente; il cilindro, da sei colpi, si caricava dal castello come nel mod. '74; un meccanismo impediva, a sportello abbassato, l'armamento del cane e bastava premere il grilletto per avere di volta in volta automaticamente le camere avanti all'apertura.
La bacchetta era fissata sotto la canna, infilata nell'asse del cilindro e poteva ruotare di 90° tramite un'apposita braga. Tra i difetti, pochi in verità, di quest'arma: minor precisione rispetto al mod. '74 ed eccessiva debolezza della bacchetta, oltre ovviamente al fatto già accennato che era un ottimo manufatto nato però vecchio. Il revolver mod. '89 (battezzato per la sua forma "coscia d'agnello") prestò servizio accanto ai mod. '61 e '74, combatté al fianco così dei Carabinieri come delle altre truppe italiane sul Podgora e sugli altri campi della Prima e della Seconda Guerra Mondiale.