Introduzione

Copertina del libro
di Francesco Perfetti

Domenica 3 gennaio 1954, ore 11. Hanno inizio ufficiale le trasmissioni televisive in Italia. La prima annunciatrice, Fulvia Colombo, presenta i programmi della giornata. Autocelebrazione del nuovo servizio, riti ufficiali, interventi delle autorità e poi, finalmente, verso le 14,30 la sigla della prima trasmissione vera e propria, uno show dal titolo Arrivi e partenze. Cuore, sceneggiato televisivo Regia di Luigi Comencini 1984.Comincia una nuova era nella storia delle comunicazioni di massa, l'era della televisione. Ed è anche, per l'Italia, l'era della crescita economica e civile. Il Paese ha superato, ormai, anche se da poco, la faticosa e difficilissima fase della ricostruzione e sta attraversando gli anni esaltanti di uno sviluppo che, di lì a qualche tempo, si trasformerà in miracolo, nel "miracolo economico".

Già agli albori degli anni Cinquanta il successo dei rotocalchi ha fatto capire che qualcosa sta cambiando in un Paese che, pur ancora lontano, in termini di reddito e di distribuzione del reddito, dai livelli dei Paesi più industrializzati, ha imboccato ormai la strada dello sviluppo culturale e civile oltre che economico. Il televisore appare, ben presto, come lo strumento più "rivoluzionario" e funzionale alla profonda trasformazione della società.  Qualche intellettuale "à la page" storce il naso in una smorfia di sufficienza o disgusto nei confronti di questo nuovo mezzo di comunicazione di massa che viene percepito e presentato come pericoloso in quanto diffusore di idee omologate e omologanti. Ma il successo è enorme e molti intellettuali dovranno ricredersi. Nel 1954 soltanto 88.000 italiani, una piccola élite, possiedono un apparecchio televisivo, ma già due anni dopo, nel 1956, gli abbonati sono saliti a 366.000 e, da quel momento in poi, la diffusione dei televisori crescerà a un ritmo esponenziale, ancor più massiccio e veloce di quello che accompagna lo sviluppo dell'automobile come bene di massa.

La televisione, dunque, fin dal suo primo apparire, è ben presente nella vita degli italiani.Arriva subito come strumento di socializzazione per tutti coloro che, la sera, si riuniscono presso qualche famiglia o in un locale pubblico dotati di apparecchio televisivo, per assistere insieme a uno od altro programma. Appare ancora, la televisione, come strumento di unificazione culturale o di trasmissione di valori comuni e di sentimenti civili attraverso la diffusione di programmi culturali e informativi, ovvero anche di programmi ludici non privi comunque di intenti culturali. I carabinieri sono presenti sul piccolo schermo fin dai primi giorni di trasmissione.

Lo sono - è ovvio - all'interno dei servizi giornalistici e di informazione, ripresi nello svolgimento di attività operative; ma lo sono anche, se non come protagonisti, come ingranaggi peraltro Orchidea De Santis in Il caso Redoli della serie I Grandi Processi Regia di Massimo Martelli 1996 essenziali in quanto colti dalla macchina da presa nello svolgimento dei loro compiti istituzionali, in alcuni dei primi sceneggiati il cui successo è clamoroso. Forse, a prescindere da altre considerazioni, per la novità stessa di una fiction che si sviluppa in più puntate fino a dilazionare nel tempo la conclusione della storia. La dimensione del successo, per esempio, è verificabile in uno di questi sceneggiati, Il caso Mauritius, realizzato nel 1961 dal regista Anton Giulio Majano come una libera trasposizione di un romanzo dello scrittore tedesco Jacob Wassermann: trasmesso in prima serata la domenica, raggiunge punte di ascolto tali da spingere le sale cinematografiche a posticipare l'orario dell'ultimo spettacolo.

I carabinieri diventano, però, veri e propri protagonisti di telefilm soltanto nel 1968, in una serie, I racconti del Maresciallo, realizzata dal regista Mario Landi, sulla base dell'omonimo libro di Mario Soldati, pubblicato nel 1967 e contenente quindici storie imperniate attorno alla figura di un maresciallo di provincia, Gigi Arnaudi, interpretato sul piccolo schermo, con grande finezza e con commossa partecipazione oltre che con sicura professionalità, da Turi Ferro. Mario Soldati aveva scritto questi racconti - dei quali solo nove vengono sceneggiati e uniti in sei trasposizioni televisive - ispirandosi alle vicende reali di un maresciallo dei carabinieri da lui incontrato durante la realizzazione di una fortunata inchiesta televisiva, "Viaggio lungo la valle del Po alla ricerca dei cibi genuini", da lui ideata e  realizzata. Non è, questo richiamo all'ispirazione di Mario Soldati, una nota erudita, quanto, piuttosto, l'indicazione di una circostanza importante che spiega la chiave dei racconti e dà ragione del loro successo.

I casi che il maresciallo Arnaudi si trova a dover risolvere non sono particolarmente eclatanti secondo i canoni tradizionali del poliziesco, ma sono piuttosto, al contrario, vicende di ordinaria quotidianità che coinvolgono persone normali, gente comune alle prese con i problemi di sempre.
<img height="183" alt="Una scena di Tutti per uno Regia di Vittorio De Sisti 1998" src="/Internet/ImageStore/arma/curiosita/carabinieri_televisione/img/013.jpg" width="260" class="imgSx" />Il maresciallo li affronta, pur nella sua veste di tutore dell'ordine, con grande umanità e con un sentimento di profonda pietas nei confronti del colpevole, del quale si sforza di comprendere le motivazioni non solo individuali, ma anche sociali che lo hanno portato a delinquere. E le stesse caratteristiche si ritrovano in una seconda serie di racconti (alcuni dei quali scritti da Mario Soldati appositamente per il piccolo schermo) trasmessi dalla televisione ben sedici anni dopo, nel 1984, ma interpretati, questa volta, da un grande Arnoldo Foà nel ruolo che era stato di Turi Ferro, e diretti, in qualità di regista, da Giovanni Soldati.

Carabinieri protagonisti, dunque, in questi telefilm: carabinieri vicini alla gente comune e ai suoi problemi, carabinieri che rappresentano, sì, lo Stato e la legge, ma che lo fanno non come arcigni tutori di una legalità astratta e percepita come ostile. <img height="260" alt="Nino Frassica, Flavio Insinna e Terence Hill in Don Matteo 2 Regia di Leone Pompucci e Andrea Barzini 2001" src="/Internet/ImageStore/arma/curiosita/carabinieri_televisione/img/014.jpg" width="183" class="imgDx" />Il maresciallo Arnaudi è il simbolo, la personificazione di un archetipo di carabiniere, per così dire, popolare, insomma del carabiniere amico pronto a porgere una mano a chi ne ha bisogno, del carabiniere che, al di là del ruolo istituzionale, diviene forza rassicurante.

Che è, poi, quanto raccomandava, con prosa ottocentesca, Il Galateo del Carabiniere, pubblicato nel 1879 da un tenente colonnello dei carabinieri, Gian Carlo Grossardi: "Il carabiniere sarà urbano, ogni qualvolta cercherà d'ottenere quanto gli è imposto, procurando di non offendere né l'amor proprio, né la suscettibilità altrui; e quindi bandendo la petulanza e la prepotenza, e mostrandosi soltanto fermo e risoluto nel voler raggiungere lo scopo; e soprattutto quando non avrà l'erronea idea di volere, perché forte e perché dalla legge privilegiato, sopraffare gli altri; anzi farà di questa sua forza e di questo suo privilegio un motivo per rassicurare maggiormente il cittadino alla cui tutela e sicurezza è preposto".

E' un puro caso che la prima serie di I racconti del Maresciallo venga trasmessa nel 1968, l'anno della contestazione, l'anno in cui viene messo in discussione, a tutti i livelli, il principio di autorità, l'anno che simboleggia, nell'immaginario collettivo, una crisi di coscienza e di valori del corpo sociale del paese. E' un caso, una coincidenza, ma una coincidenza che assume una valenza emblematica, e mette ancor più in luce il valore simbolico di un'Arma, quella dei Carabinieri, che, nel tempo, fa registrare una sempre crescente fiducia da parte dei cittadini. In lei essi vedono una garanzia di stabilizzazione sociale, un baluardo contro le forze e le suggestioni disgregatrici, un mezzo per rafforzare o ricostituire la coesione sociale, e stabilire un canale di comunicazione fra i cittadini, la Nazione cioè, e le istituzioni, ovvero lo Stato.

Considerazioni in parte analoghe potrebbero essere fatte a proposito di un'altra fortunata, e più recente, serie di telefilm, dei quali i carabinieri sono protagonisti assoluti: Il Maresciallo Rocca. Andata in programmazione nel 1996, con picchi di ascolto particolarmente elevati: una media di 11 milioni di spettatori a puntata e oltre 15 milioni per l'ultimo degli otto episodi realizzati. <img height="178" alt="Stefania Sandrelli e Luigi Proietti in Il Maresciallo Rocca Regia di Giorgio Capitani e Ludovico Gasparini 1996" src="/Internet/ImageStore/arma/curiosita/carabinieri_televisione/img/015.jpg" width="260" class="imgSx" />Un successo fuori del comune, che ha spinto la Rai a realizzarne altre due serie. Il soggetto di due maestri dello sceneggiato, Laura Toscano e Franco Marotta, e la regia di Giorgio Capitani e Ludovico Gasparini si sono rivelati particolarmente felici per un cast di interpreti di ottima qualità, a cominciare da Gigi Proietti nel ruolo del maresciallo Rocca e di Sergio Fiorentini nella parte dell'inseparabile e umano brigadiere Cacciapuoti.

Uomo dei nostri tempi, con i problemi di tutti gli uomini dei nostri tempi, il maresciallo Rocca, vedovo con tre figli, innamorato di una matura farmacista separata, si trova a dover risolvere casi di usura, prostituzione, sequestri di persona, ricatti, sfruttamento minorile, droga, cioè a dire quei casi di criminalità comune di cui le cronache quotidiane sono oggi purtroppo piene. La plausibilità delle vicende - anche quando indagini complesse richiedono azioni spericolate e spettacolari, mai spinte sopra le righe come accade spesso in gran parte della filmografia seriale d'oltreoceano - , la credibilità dei protagonisti, la verosimiglianza delle situazioni e delle ambientazioni caratterizzano l'intera serie dei telefilm. I carabinieri, a cominciare dal protagonista, sono ancora una volta uomini inseriti appieno nel contesto sociale, uomini che si presentano, in certo senso e in certa misura, come punti di riferimento e come garanzia di stabilità.