Il più sensibile è proprio l'esercito, pullulante di ex ufficiali napoleonici. Così, quando in Spagna nel marzo 1820 una rivolta militare costringe il sovrano a concedere la costituzione, l'esercito delle Due Sicilie ne segue l'esempio, e quello sabaudo si accinge a fare lo stesso, mirando per giunta a scendere in guerra contro l'Austria per cacciarla dal Lombardo-Veneto. Agli inizi di marzo del 1821 insorgono le guarnigioni di Alessandria, Vercelli e Torino, chiedendo la costituzione spagnola, invocata come un talismano. Vittorio Emanuele I, non volendo né cedere né spargere sangue, abdica a favore del fratello Carlo Felice, che è assente. E lascia la capitale affidando la reggenza a Carlo Alberto di Carignano, erede presuntivo al trono, perché i due fratelli non hanno figli maschi.
Già compromesso segretamente con i ribelli, che vedono in lui il liberatore del Nord Italia, Carlo Alberto concede la bramata costituzione. Ma da Modena, dove si trova Carlo Felice, arriva una secca sconfessione e l'ordine di lasciare Torino per Novara, dove il maresciallo de La Tour sta radunando le truppe fedeli.

Sono i Carabinieri a scortare l'esautorato reggente nella notte del 21 marzo; ma il grosso, trecento uomini al comando del colonnello Cavasanti, resta in città. E il 30, quando entrano a Torino gli insorti di Alessandria per sostenere la giunta rivoluzionaria che nel frattempo si è insediata, si rischia una guerra civile in pieno centro. Chiusi nella loro caserma di piazza Castello, ma pronti a muovere per Novara, i Carabinieri si vedono schierare davanti due battaglioni di fanteria della brigata alessandrina. La tensione è altissima, la giunta teme un attacco. Invece i Carabinieri escono per tutto il giorno a piccoli gruppi, avviandosi indisturbati sulla strada di Novara. Solo al tramonto, quando sembra che tutto stia per finire, avviene uno scontro che lascia a terra tre morti e diversi feriti tra i Carabinieri, tra i soldati, tra i passanti. Per fortuna gli ufficiali riescono a riprendere in pugno la situazione, e anche questi ultimi fedelissimi al re lasciano Torino per Novara, dove si mettono agli ordini del de La Tour. Un mese dopo, l'intervento austriaco schiaccia la rivoluzione.
E i Carabinieri Reali saranno sempre il baluardo più sicuro dello Stato. Emblematico l'episodio del 1834, che dà a un militare del Corpo la sua prima medaglia d'oro al valore.
Nella notte fra il 2 e il 3 febbraio di quell'anno il carabiniere Giovanni Battista Scapaccino rientra da un servizio di corriere nella sua Stazione di Les Echelles, in Savoia, ai confini con la Francia. È buio pesto, nel silenzio gli zoccoli del suo cavallo rimbombano sulla strada gelata. Ad un tratto dalle tenebre balza fuori un gruppo di armati, lo circondano, afferrano le redini, gli puntano addosso i fucili. Uno di loro agita una bandiera, è il tricolore dei sovversivi repubblicani. Sono i mazziniani venuti d'oltre frontiera a tentare di sollevare gli Stati Sabaudi, hanno occupato di sorpresa la caserma, fatto prigionieri i tre colleghi di Scapaccino. Gli intimano di arrendersi e di giurare fedeltà a quella nuova bandiera che per lui rappresenta solo tutto ciò che deve combattere. "Viva il re!" risponde, cercando di spronare il cavallo per aprirsi un varco; una fucilata lo stende morto sulla neve. Poche ore dopo uno dei carabinieri catturati abbatte con un pugno il carceriere, si lancia dalla finestra, corre a una stalla vicina, inforca un cavallo e galoppa come un disperato fino a Pont-de-Beauvoisin, allerta la piccola guarnigione. Quaranta soldati e cinque carabinieri marciano all'alba su Les Echelles, e dopo un breve combattimento gli ottanta repubblicani si disperdono sui monti, cercando salvezza in Francia. Altre tre colonne si erano già ritirate.
Un anno dopo il Corpo deve affrontare un'emergenza molto più grave. Un'epidemia di colera si sviluppa tra i forzati del bagno penale di Villafranca presso Nizza, e malgrado le precauzioni prese per isolarla dilaga in tutta la Liguria e in parte del Piemonte. Con la loro presenza capillare sul territorio, i Carabinieri sono l'istituzione che più subisce l'impatto della tragedia, e devono prodigarsi come infermieri, portantini, necrofori.
Ormai, a vent'anni dalla fondazione, fanno parte integrante del paesaggio urbano e rurale del Regno, con la nuova uniforme del 1833 molto simile alla grande uniforme speciale ancor oggi in uso; abito in panno turchino scuro con fodere e risvolti scarlatti, pantaloni larghi con bande laterali scarlatte, pennacchio rosso-blu sul cappello a bicorno. Passano a piedi e a cavallo per le vie ortogonali della regal Torino, così diritte, nota un visitatore francese, che "les carabiniers ont beau jeu pour filer les voleurs" (i carabinieri hanno buon gioco per catturare i ladri); ogni settimana, ai tempi di Carlo Alberto, partecipano con gli altri corpi dell'esercito alla rassegna in Piazza d'Armi, dove la presenza del sovrano li "commuove di elettrico ardore", si esalta un cronista; sorvegliano partenze e arrivi dei Regi Velociferi e d'altre pubbliche vetture, e a volte devono scortarle, ché tra boschi e monti del reame subalpino la miseria sparge malviventi. Su tra i castagneti dell'Alto Novarese si nasconde Lungosantino, bandito "di primo catalogo", che terrorizza viandanti e possidenti passando da una vallata all'altra, finché non viene preso dopo una vera e propria battaglia; nell'Astigiano gavazza una specie di Robin Hood del barbera, il Romanino, un ercole dalla mira infallibile che darà filo da torcere fino al 1847, quando finisce anche lui sulla forca.
Negli Stati insulari di Sua Maestà Sarda va ancora peggio. La legge delle chiudende, promulgata nel 1820, ha tolto a pastori e contadini l'uso delle terre comunali, sottraendo loro il godimento collettivo di coltivazioni, pascoli, legna da ardere; per moltissimi è la miseria più feroce, e la sola via di sopravvivenza è il brigantaggio. È la tragedia di Battista Canu, che negli anni trenta domina le campagne del Sassarese. Lo bracca con tenacia il luogotenente Gerolamo Berlinguer, stanandolo infine da una grotta ma solo dopo aver ricevuto tre gravi ferite che gli varranno la seconda medaglia d'oro concessa a un militare del Corpo.

Berlinguer non è un'eccezione: costanza e abnegazione sono già caratteristiche tradizionali del Carabiniere. La monarchia cerca di ricompensare quei suoi leali e devoti servitori con premi assai generosi in caso di arresti importanti. Evasi e renitenti alla leva valgono cinquanta lire, condannati a morte quaranta, condannati all'ergastolo trenta, disertori venticinque. Sono cifre notevoli, perché la paga mensile è di cento lire. E il premio d'ingaggio è di centocinquanta lire per il carabiniere a piedi e trecentocinquanta per quello a cavallo, ma viene pagato solo dopo trentacinque mesi di servizio ininterrotto. Il Corpo consiglia "regolata economia" e non concede l'autorizzazione al matrimonio a meno che la sposa - sempre s'intende di onesta famiglia - non porti in dote cinquemila lire in contanti (o l'equivalente in immobili), che vengono amministrate dal Corpo stesso, il quale versa ad ogni semestre gli interessi agli sposi.
E in fondo, dato che i banditi non sono poi tanti e i cospiratori residui sono pochissimi, è una vita piuttosto tranquilla quella di servizio nelle antiche cittadine e nei paesi del Piemonte profondo e della Savoia alpestre, scandita dai ritmi quotidiani della messa domenicale e del mercato settimanale, dell'arrivo della diligenza e delle novità dalla piccola capitale. Accanto al palazzo o al castello un po' diruto della famiglia nobile, accanto alla chiesa parrocchiale rimessa in ghingheri nel secolo barocco, adesso c'è anche la caserma dei Carabinieri Reali, terzo pilastro dell'universo sabaudo insieme all'aristocrazia e al clero.
Poi viene la guerra, guerra grossa: il piccolo Piemonte contro il grande Impero d'Austria. Che però sembra stia cadendo a pezzi, scosso dai sussulti rivoluzionari. Perché è il Quarantotto, mezza Europa alza barricate, l'imperatore e Metternich fuggono da Vienna, il feldmaresciallo Radetzky deve abbandonare Milano insorta; e re Carlo Alberto, memore dei suoi lontani trascorsi liberali, ha concesso lo Statuto e pensa che sia venuto il momento di conquistare il Lombardo-Veneto per fare un bel Regno dell'Alta Italia senza più austriaci. Ha dato ai suoi popoli una nuova bandiera, quel tricolore già sovversivo e proibito ora caricato della croce di Savoia; e sotto quell'insegna che sembra stemperare la rivoluzione nazionale nella stabilità dell'ordine dinastico, l'Armata Sarda passa il Ticino al comando del sovrano in persona. Lo scortano, com'è loro compito, tre squadroni di Carabinieri a cavallo in grande uniforme (sempre, in presenza dei reali). La scorta è faccenda delicata e spesso improba, perché il re è coraggioso e invece di starsene al sicuro come i suoi simili si spinge dove non dovrebbe, troppo vicino alle linee nemiche. Alla fine di aprile del 1848 i piemontesi hanno varcato il Mincio e si sono attestati tra le fortezze austriache di Peschiera e Verona. E puntano su Pastrengo, per tagliare a Radetzky le vitali comunicazioni con il Tirolo. La mattina del 30, dopo aver assistito alla messa con il presidente del Consiglio Cesare Balbo e con tutto lo Stato Maggiore, un Carlo Alberto che i testimoni dipingono nervosissimo monta a cavallo e parte al piccolo trotto in direzione di Pastrengo, seguito dai tre squadroni di Carabinieri (280 uomini) al comando del maggiore conte Alessandro Negri di Sanfront. Dodici carabinieri precedono il folto gruppo, in avanscoperta. Cercano un punto elevato da cui il sovrano possa seguire l'azione, e lo individuano nel ciglione di una collina che cominciano a salire. Ma quando arrivano in cima, dai cespugli parte una nutrita scarica di fucileria: gli austriaci sono già lì. Sorpresa, scompiglio, i cavalli si impennano, qualche carabiniere cade. Dietro, il re e il suo seguito cavalcano dritti in bocca al nemico, che si rende conto di avere a portata di mano qualche personaggio importante e infittisce la sparatoria. Per fortuna Negri di Sanfront si è reso conto del pericolo, e senza un attimo di esitazione ordina ai tre squadroni di caricare. I carabinieri sguainano le sciabole, passano come una ventata improvvisa attorno al re e ai suoi ufficiali e travolgono gli austriaci spingendoli giù dalla collina. Carica anche Carlo Alberto, come trascinato da quell'onda di marea che urla Savoia! È un bel preludio che prepara la vittoria dei piemontesi; ma né il re né i suoi generali sono fulmini di guerra, e non sanno sfruttare il successo; mentre Radetzky è una testa fina e l'Impero austriaco ha superato la crisi rivoluzionaria. Così la prima guerra d'indipendenza finisce in un disastro, con la ritirata dei piemontesi dal Lombardo-Veneto; e peggio ancora va il tentativo di riprenderla l'anno seguente, ché in pochi giorni il terribile Radetzky piomba su Novara e sbaraglia definitivamente i sabaudi. Nella fatal Novara Carlo Alberto, disperato, cerca la morte in battaglia; ma a morire saranno due carabinieri della sua scorta, mentre diversi altri cadranno feriti.

La guerra persa, l'abdicazione del re, Genova repubblicana in rivolta domata col sangue: il Regno di Sardegna attraversa un grave momento. Ed ecco che in quei frangenti quanto mai burrascosi sbarca in Liguria un pericoloso agitatore. È "il famigerato Garibaldi", come lo definisce il dispaccio inviato al Comando dei Carabinieri di Genova con l'ordine di arrestarlo. Dopo aver difeso Roma contro i francesi, è riuscito a ritirarsi attraversando mezza Italia vanamente braccato dagli austriaci, e adesso ricompare a Chiavari per scatenare chissà quali sconquassi, freme il generale Alfonso La Marmora autore del dispaccio e bombardatore di Genova. Così nella notte tra il 6 e il 7 settembre 1849 il capitano dei Carabinieri Carlo Alberto Basso si presenta a Garibaldi col suo bravo mandato di cattura, e la mattina seguente, in borghese, se lo porta a Genova in carrozza chiusa, "seguitata a grande distanza da Carabinieri a cavallo". Poi, con grande sollievo di tutti quanti, l'imbarazzante prigioniero è lasciato partire per le lontane Americhe.
Dieci anni dopo, la guerra contro l'Austria riprende; e stavolta le cose andranno diversamente, perché Cavour si è procurato l'alleanza dei francesi (al cui fianco i piemontesi si sono battuti anche in Crimea, dove come al solito i Carabinieri si sono fatti onore). Al Corpo viene affidato un compito nuovo, tanto oscuro quanto importante. Ci vorranno una ventina di giorni prima che le armate di Napoleone III, scendendo dalle Alpi e sbarcando a Genova, possano entrare in campo. In quelle settimane cruciali gli austriaci invaderanno certamente il Piemonte per infliggere una mazzata mortale al piccolo esercito sabaudo.
È essenziale essere al corrente delle loro mosse, per poterle controbattere; perciò nelle province di frontiera il colonnello Ferdinando Martin organizza una rete informativa affidata ai Carabinieri: ufficiali, sottufficiali e militari, scelti fra i più capaci, in borghese, dovranno lasciarsi superare dalle colonne austriache avanzanti, per inviare poi notizie sui loro movimenti. Significa passare e ripassare le linee, col rischio di essere catturati e fucilati come spie, per raggiungere un telegrafo o portare di persona un messaggio, magari importante come la sbornia di un picchetto di ussari imperiali nel villaggio di Santa Giulietta. Poi, finalmente, i francesi arrivano, gli austriaci si ritirano e i bravi Carabinieri possono rimettersi in uniforme.