Il reggimento resta lì un altro mese, subendo pesanti perdite, finché torna nelle retrovie per essere ricostituito dopo quella decimazione. I Carabinieri entreranno a Gorizia un anno più tardi, nell'agosto 1916, con un reparto a cavallo. Durante la ritirata di Caporetto saranno i soli a mantenere la loro ferrea organizzazione in quel caos, a ridare una parvenza d'ordine alla massa straripante degli sbandati, ad avviarli verso i ponti e a farli passare impedendo il dilagare del panico, a incolonnare e a soccorrere i profughi civili in fuga con le loro masserizie che ingombrano le strade per decine di chilometri paralizzando il traffico militare. Saranno loro a ripiegare per ultimi al di qua del Piave, poco prima che gli ulani austriaci arrivino al galoppo.

Un anno dopo, gli Imperi Centrali crollano. Nella foto dei plenipotenziari austriaci che entrano a Villa Giusti presso Padova per firmare l'armistizio il 3 novembre 1918 si vede un carabiniere in grigioverde che saluta con impeccabile eleganza, e sembra che quei due mesti ufficiali siano stati convocati in caserma per un'ammonizione.
Malgrado la vittoria, il dopoguerra è disastroso, un susseguirsi di attentati, manifestazioni, scioperi, scontri di piazza che assumono spesso carattere insurrezionale.
In quella guerra civile strisciante che vede le opposte fazioni spararsi addosso per le strade delle città italiane, le autorità governative non sempre si dimostrano al di sopra delle parti; e quando i Carabinieri, tradizionali tutori di una legalità imparziale, si oppongono alle violenze squadriste con le armi come a Sarzana, dove una colonna fascista che tenta di occupare la città viene dispersa a fucilate, in alto loco la cosa non viene affatto apprezzata. Perché tutti, compreso il re, sono convinti di potersi servire dei fascisti per spazzar via i "bolscevichi", liberandosi poi anche di loro. Invece è Mussolini a spazzar via lo Stato liberale e a instaurare la dittatura. Fra i primi provvedimenti di un regime nato per imporre l'ordine con la forza c'è una campagna contro la mafia siciliana, condotta dal superprefetto Mori con drastici metodi militari. Alle operazioni, che coinvolgono intere province dell'isola, partecipano in prima linea i Carabinieri. Non sono passeggiate; in un solo anno l'Arma avrà undici morti e trecentocinquanta feriti.
E naturalmente, come forza armata, essa dovrà dare il suo contributo anche a tutte le guerre del fascismo, dalla riconquista dell'entroterra libico alla campagna d'Etiopia; ove poi, proclamato l'Impero, formano la Guardia Vicereale che per l'alta uniforme adotta la tela bianca invece del panno turchino; in Spagna ne vengono mandati cinquecento con compiti di polizia militare. Nella seconda guerra mondiale operano come truppe combattenti sul fronte greco-albanese, in Africa Orientale, in Russia; in Libia si distinguono i militari del battaglione Carabinieri paracadutisti.

Quando la disastrosa situazione bellica provoca la caduta del fascismo, il re sa di poter contare sui suoi fedelissimi Carabinieri. Sono loro, la mattina del 25 luglio 1943, ad arrestare Mussolini appena uscito dall'udienza reale a Villa Savoia.
A seguito dell'armistizio dell'8 settembre 1943, mentre i tedeschi occupano la penisola i Carabinieri restano al loro posto. In una situazione difficilissima e contraddittoria: i tedeschi ne ordinano il disarmo, ne deportano alcune migliaia in Germania, i fascisti di Salò ne dispongono l'assorbimento nella neocostituita Guardia Nazionale Repubblicana, ma ne diffidano; e hanno ragione, perché i militari dell'Arma, che non si sono dati alla macchia per tutelare la popolazione, sostengono segretamente la Resistenza. Anche nel Lazio e nella Roma dominata dai nazisti agiscono clandestinamente i Carabinieri: dodici di essi, catturati dai tedeschi, saranno fucilati alle Fosse Ardeatine insieme con gli altri ostaggi; molti cadranno in azioni di guerriglia o davanti al plotone d'esecuzione. Come Salvo D'Acquisto, un nome che riassume tutta la tragedia italiana di quegli anni. È il 22 settembre 1943. A Torre di Palidoro, una località a pochi chilometri da Roma, un soldato tedesco trova una bomba a mano dimenticata, che esplode uccidendolo e ferendo altri tre uomini. L'ufficiale crede o finge di credere a un attentato, rastrella ventidue ostaggi, li mette al muro davanti alla popolazione e proclama che saranno fucilati se non si presenta subito il colpevole. Il vicebrigadiere in sottordine alla locale Stazione dei Carabinieri, Salvo D'Acquisto, si fa avanti, dichiarandosi autore di un attentato che non c'è mai stato. Muore innocente per salvare altri innocenti.
Come il primo dopoguerra, anche il secondo è terribile. Percorsa dagli eserciti combattenti in tutta la sua lunghezza l'Italia è un paese lacero e lacerato, che deve essere difeso contro una quantità di nemici. Bande armate scorrazzano ovunque, dalla Val Padana alle Puglie, ma è nelle isole che sono più aggressive e pericolose: in Sardegna dove il Supramonte diventa la loro roccaforte, in Sicilia dove si confondono col movimento separatista che tenta di fare di esse il suo esercito.
È il tetro western di Salvatore Giuliano, il "re di Montelepre", un Jessie James all'italiana che assalta treni, corriere, stazioni radio, masserie, caserme, dispone delle armi sofisticate che la guerra si è lasciata dietro, dai fucili mitragliatori alle mine anticarro. Per prenderlo bisogna costituire un organismo apposito, il Comando Forze Repressione Banditismo, agli ordini del colonnello Ugo Luca, e alla fine, decimata la banda, Giuliano sarà ucciso in circostanze controverse.
Eliminato Giuliano, la Sicilia è liberata dal banditismo ma non dalla mafia, contro la quale i Carabinieri conducono una guerra che nel corso degli anni diventerà sempre più sanguinosa, costando all'Arma decine di vittime, fra le quali, citiamo ad esempio, è il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo, falciato il 3 settembre 1982 insieme alla moglie e a un agente di scorta.
In quegli anni, gli anni di piombo, le forze dell'ordine hanno dovuto affrontare avversari nuovi e altrettanto pericolosi della delinquenza organizzata: il terrorismo, che in alcuni terribili momenti sembrava potesse prevalere o dovesse essere sconfitto solo a costo di leggi eccezionali e limitazioni delle libertà democratiche. Se non è andata così, forse dobbiamo ringraziare anche il revenant Vittorio Emanuele I, con la sua parrucca e il cappello alla Federico II, che quasi due secoli orsono volle creare - contro la tremenda minaccia della democrazia - un corpo ibrido destinato a far rispettare la legge e la pubblica quiete, ma dotato della rigida disciplina e della professionalità militare.
di Gianni Guadalupi