Ai primi di maggio del 1814, annus fatalis, le rotte di due vascelli inglesi si intersecano nel Mar Ligure. L'Undaunted, salpato il 28 aprile dal golfo provenzale di Saint-Raphaël, getta l'ancora la sera del 3 maggio nella rada di Portoferraio, isola d'Elba, piccolo regno d'esilio dell'ex imperatore Napoleone. Il Boyne, partito il 2 maggio da Cagliari, sbarca il 9 nel porto di Genova Vittorio Emanuele I di Savoia re di Sardegna. Quei due traslochi marittimi incrociati segnano la fine di una grande avventura e il ritorno a un vecchio ordine che sembrava morto e sepolto.
A Torino, capoluogo da un buon quindicennio del Dipartimento francese del Po, si attende con ansia il ritorno del sovrano legittimo che l'ha lasciata nel lontano 1798. Con ansia e timore: che ne sarà delle conquiste civili del periodo napoleonico sotto quel revenant? E Vittorio Emanuele I conferma i timori delle "élites" liberali; già quando il 20 fa il suo ingresso solenne nella capitale vestito alla moda di vent'anni prima, cipria codino e cappello alla Federico II, si capisce subito che la parola Restaurazione avrà negli Stati Sabaudi un significato pregnante, pur se i cittadini lo acclamano con sincera devozione di sudditi. Seguon decreti: via il Codice Civile, via il matrimonio civile, via il divorzio, cariche di corte ripristinate in base all'Almanacco del 1798... Scampano ponti e strade costruiti nel frattempo, ché servono; scampano alcune nuove tasse, ché i danari fan sempre comodo; scampano alcuni funzionari di spicco del passato regime, perché comunque il regno ha bisogno di gente preparata e capace. L'aspirazione è quella di ristabilire quanto si riteneva buono del vecchio Piemonte settecentesco.
A questo proposito il re si dà da fare con la ricostituzione dell'esercito, che dovrà servire sia a difendere le frontiere sia a sventare "le grandi minacce che dovunque si celano contro la tranquillità pubblica"; allude anche all'idra giacobina, spauracchio del trono e dell'altare. Si crea perciò una sorta di ministero dell'Interno chiamato Direzione generale del Buon Governo, che ha a disposizione non solo l'apparato di polizia, ma un nuovo corpo militare istituito in base a uno studio condotto dalla Segreteria di guerra: il Corpo dei Carabinieri Reali. Il 13 luglio 1814 il sovrano promulga le Regie Patenti che ne segnano la nascita e ne definiscono prerogative e incombenze, prima fra tutte quella di "ristabilire ed assicurare il buon ordine e la pubblica tranquillità, che le passate disgustose vicende hanno non poco turbata a danno dei buoni e fedeli Nostri sudditi".
Quei soldati d'élite, armati di carabina, "per buona condotta e saviezza distinti ", sono considerati il primo Corpo dell'Armata Sarda (come allora si chiamava l'esercito piemontese), con il compito di scortare le persone reali e il diritto di marciare in testa alle colonne militari, davanti a tutti gli altri. L'organico conta inizialmente ventisette ufficiali e 776 fra sottufficiali e truppa, comandati dal colonnello conte Provana di Bussolino e dipendenti dal generale Thaon di Revel (il quale perciò viene considerato dall'Arma come il suo primo Comandante Generale); che è contemporaneamente presidente capo del Buon Governo e governatore della città, cittadella e provincia di Torino.
Articolati nelle due specialità, a piedi e a cavallo, i Carabinieri sono stanziati per il momento in sei province sulle dodici previste: Torino, Savoia, Cuneo, Alessandria, Novara e Nizza con altrettante Divisioni (attuali Comandi Provinciali). Hanno una bella uniforme: turchina, guarnita di alamari d'argento, segno di particolare distinzione. La foggia è all'austriaca, la moda militare tien conto delle alleanze. Il cappello è un bicorno alto; poi si abbasserà.
Quegli eleganti militari, a differenza degli altri, sono distribuiti fin d'allora su tutto il territorio, non solo nelle città ma anche nei villaggi, a stretto contatto con la popolazione, che li vede uscire di pattuglia a due a due per le strade "principali, traverse e vicinali".
I requisiti per entrare nel corpo sono severi: l'aspirante carabiniere deve aver già prestato servizio per quattro anni in un altro corpo dell'Armata, essere alto almeno trentanove oncie (un metro e settantacinque), saper leggere e scrivere correntemente in tempi di analfabetismo quasi totale.
A un anno dalla loro costituzione, i Carabinieri ricevono il battesimo del fuoco. Fuggito dall'Elba, Napoleone ha ristabilito l'Impero; ma l'Europa si coalizza di nuovo contro di lui. Il 14 giugno 1815 una divisione francese penetra in Savoia; due piccole stazioni dei Carabinieri, a Maltaverne e a Montmélian, sono travolte, ma i militari, già fatti prigionieri, riescono poi a fuggire. Tre settimane dopo il conte de La Tour contrattacca e tenta di impadronirsi di Grenoble con un colpo di mano. Fra le sue truppe conta anche un plotone di Carabinieri a cavallo, trentaquattro uomini comandati dal luogotenente Taffini d'Acceglio, che poi diventerà comandante generale dell'Arma; sono loro che parteciperanno a una carica decisiva che costringe i francesi a rinchiudersi nella piazzaforte abbandonando i sobborghi ai vincitori. E quattro giorni dopo Grenoble si arrende.
Torna la pace, tornano i compiti di polizia, i comandanti si avvicendano, gli effettivi crescono fino a raddoppiarsi, viene creata una Settima Divisione nell'annessa Genova, città difficile, che nutre accorate nostalgie repubblicane e non ha simpatia per i piemontesi. Il grande naufragio napoleonico ha lasciato ovunque una quantità di relitti che sono come bombe inesplose, e che la Restaurazione non riuscirà a disinnescare: le idee di libertà, di uguaglianza, di nazionalità accomunano i reduci della Grande Armata e i giovani imbevuti di sogni di gloria e di fantasticherie romantiche.
Si leggono Alfieri e Foscolo, si ascoltano affascinati le mirabolanti avventure di quelli che sono stati in Spagna e in Russia, si almanacca, si cospira. Cospirano tutti, in quei tempi di società segrete, studenti, borghesi, militari, persino i reazionari che diffidando dell'universo mondo si riuniscono in segreto per combattere le società segrete.