
La fase preparativa si concluse nel febbraio 1995 con la definitiva selezione delle unità, che provenivano in gran parte dalla componente territoriale dell'Arma. La fase addestrativa fu organizzata nella settimana dal 13 al 18 febbraio 1995, presso la Scuola Allievi Carabinieri di Velletri, ove vennero approntati anche i mezzi e i materiali. Fu formato un contingente comandato da un maggiore e composto da 3 ufficiali e 14 sottufficiali. Ad essi si aggiunsero 6 unità del Battaglione Paracadutisti "Tuscania", che avevano particolare esperienza in missioni all'estero, in zone ad alto rischio. Il 6 marzo 1995 si costituì il Reparto Carabinieri Weupol (
Western European Union Police, Polizia Civile dell'Europa Occidentale) in Mostar, lì presente presso il Comando Carabinieri del Ministero degli Affari Esteri fin dall'8 marzo successivo.

Il Comandante del contingente dipendeva funzionalmente dalla Commissione dell'Ueo per l'assolvimento della missione, mentre gerarchicamente dipendeva dal Comandante il Reparto Carabinieri presso il Ministero degli Affari Esteri, il quale avrebbe avuto la funzione di Comandante di Corpo per tutti gli aspetti relativi alla competenza nazionale. Gli altri componenti la missione dipendevano funzionalmente, per il tramite gerarchico, dal
Commissioner (Commissario Europeo a capo dell'Amministrazione di Mostar) e gerarchicamente dal Comandante del contingente. I compiti dei Carabinieri a Mostar erano prevalentemente quelli di organizzazione, istruzione e monitoraggio dell'attività di polizia; era previsto anche l'addestramento delle locali Forze dell'Ordine.
All'arrivo dei Carabinieri, operava nell'area di Mostar anche un Battaglione spagnolo di Unprofor (
United Nations Protection Forces). Con l'arrivo del contingente italiano la forza complessiva di Weupol fu di 140 unità, di cui, qualificate, 20 italiane. Vi facevano parte Forze di Polizia a prevalente status militare, come la Polizia Federale di Frontiera tedesca, la Marechausse olandese, la Gendarmeria francese, la Guardia Civil spagnola, la Polizia portoghese, quella inglese e le Gendarmerie del Lussemburgo e del Belgio. Ogni Polizia avrebbe rivestito l'uniforme nazionale con particolari segni di riconoscimento, un bracciale, un basco blu, con armamento individuale.
La collaborazione dell'Arma con gli altri contingenti è sempre stata molto positiva, con una reciproca soddisfazione, che è stata espressa ufficialmente anche dal Vice Comandante della Guardia Civil spagnola e dal Comandante Generale della Marechausse olandese al Comandante del Reparto Carabinieri di Mostar: i due Comandanti stranieri manifestarono la loro stima e ammirazione per la professionalità e la preparazione delle unità dell'Arma.
L'attività della Polizia europea si esplicava principalmente, oltre che nell'istituire e organizzare la Polizia locale unificata, anche nel campo preventivo e in quello investigativo, per poter contrastare l'intensa attività delle organizzazioni criminali operanti in quella zona e cercare di bonificare il settore. Anche a Mostar, come in Albania e in altre parti dei Balcani, la ricostruzione amministrativa e sociale passa per l'annientamento della criminalità organizzata, che detiene le leve del potere finanziario imponendo uno stile di amministrazione civile non consono alle libertà democratiche e al rispetto dei diritti umani.
Dopo una sola settimana di presenza sul luogo, i Carabinieri potevano ben calibrare la difficoltà del compito assegnato, in quanto non vi erano stati progressi notevoli nella creazione di quella
Unified Police Force in Mostar ritenuta indispensabile per il sicuro avvio della stabilizzazione, causa situazioni locali contingenti, che frenavano la messa in opera delle decisioni prese dall'Unione Europea riguardo alla Polizia locale: era difficile, cioè, procedere con la costituzione e soprattutto con l'addestramento. Nell'ambito dell'attività operativa svolta è interessante ricordare il costante monitoraggio attuato ai posti di controllo (
check-points), per acquisire dati e informazioni sulla progressiva smilitarizzazione della città di Mostar. Nel campo investigativo, nel primo periodo di operazioni fu molto importante il monitoraggio dei cosiddetti casi di
expelling (sfratto forzato), che di fatto mascheravano una azione di "pulizia etnica".