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                   I DIRITTI DELLE PIANTE





                           se cominciassimo a riconoscere anche i diritti
                           delle piante? In attesa che gli ordinamenti giu-
                           ridici evolvano in tal senso, alcuni tribunali e
                           corti costituzionali nel mondo hanno cominciato
                   Ea dichiarare nelle sentenze i diritti dei fiumi e
                   degli alberi. Interessante appare anche la declinazione
                   costituzionale biocentrica di alcuni Stati che si rifanno
                   alla cosmovisione andina, la quale riconosce alla natura
                   diritti propri.
                   Il diritto, si sa, non è statico ma si modifica continuamente. Oggi può sembrare
                   assurdo, ma la Dichiarazione dei diritti del fanciullo fu adottata nel 1924, mentre la
                   Dichiarazione universale dei diritti umani è solo del 1948 e gli esempi potrebbero
                   continuare fino a tempi più recenti. Tutele oggi date per assodate, erano fino a
                   non molto tempo fa sconosciute alla nostra civiltà. Benché ancora lontani dal rico-
                   noscere dei veri e propri diritti soggettivi agli animali, molti passi avanti sono stati
                   fatti negli ultimi tempi. Siamo passati per esempio dal tollerare le sevizie quasi per
                   gioco ad una rigorosa normativa contro il maltrattamento e molto si è fatto anche
                   sul versante del benessere. Uno, però, dei limiti culturali dell’estendere anche alle
                   piante la stessa tutela risiede nella gerarchia aristotelica, che le pone all’ultimo
                   posto. Eppure esse popolano il nostro pianeta da molto più tempo di noi e di altri
                   animali e sono molto più numerose. C’è poi la credenza, in parte smentita, che i
                   vegetali non soffrano, non comunichino, siano insomma inanimati. Oggi sappiamo
                   che non è affatto così: la frase “vivere come un vegetale” per indicare un’esistenza
                   inerte non corrisponde affatto alla realtà. Alcune piante emettono rumori, sostanze
                   volatili, segnali elettrogenici verso quelle vicine soprattutto in caso di pericolo,
                   inoltre, possiedono memoria pur non avendo cervello. Non esistono ricerche
                   scientifiche in grado di dimostrare se soffrano o meno, afferma la scrittrice
                   Alessandra Viola. Ma non lo potremmo escludere. “Il dolore è un portato evolutivo,
                   soffriamo per sfuggire ai pericoli. Se soffrono lo fanno in modo diverso dal nostro”.
                   Un altro limite, forse il più grande, è la nostra incapacità di comprenderle, di
                   entrare in relazione con loro anche se la “ricerca ha dimostrato che sono organismi
                   con una loro forma di intelligenza e sensibilità: continuare a trattarle come oggetti
                   non è più sostenibile”.
                   Fortunatamente la capacità-soggettività giuridica evolve in base ai tempi - affermava
                   il giurista americano Christopher Stone già negli anni Settanta - e ora più che mai
                   potrebbe emergere l’esigenza sociale di tutelare in maniera più decisa gli ecosistemi
                   per salvare la vita degli esseri umani.  Tanto più che gli attuali strumenti non
                   sembrano in grado di assicurare adeguata protezione alle risorse naturali. Pensiamo
                   al minore, all’incapace o ai semplici enti giuridici che per difendere i propri diritti
                   hanno bisogno di un tutore, di un rappresentante. Così piante e foreste potrebbero
                   avere la figura del guardian capace di agire anche in giudizio.                       MARZO-APRILE 2021


                                                                                               #Natura  3
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