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EDITORIALE




          Ascese pericolose



                    amminare per le montagne è uno sciocco piacere” dice il Dalai Lama in “Sette Anni in
                    Tibet”. Eppure lui può dirlo perché riesce a scendere in sé stesso, mentre noi spesso
                    abbiamo bisogno della montagna, dell’ascesa verso la vetta, per uscire dalla nostra vita
          “C quotidiana, cittadina e asfittica. Lo spiega bene lo scrittore Carlo Grande nel suo ultimo
          libro: “Quando si ha, come noi, una tale sicurezza materiale da non temere più di tanto per il futuro,
          quando non ci si domanda cosa succederà la settimana prossima, quando si ha sempre di che vivere
          e non si sa più per cosa, si forma intorno a noi una prigione senza confini, da cui è difficile fuggire.
          Una delle vie maestre, la più faticosa e feconda, è quella che conduce alle terre alte”.
          La montagna rappresenta dunque un’evasione da cercare a tutti i costi, a volte purtroppo anche senza
          conoscere i rischi e le difficoltà che bisognerà affrontare quando si scala una vetta.
          Non è un caso che gli incidenti aumentino drammaticamente e nell’ultima estate, nonostante l’inizio
          segnato dal maltempo, siano morte sulle Alpi 72 persone. Più o meno quante ne sono scomparse a
          causa degli incendi negli ultimi 15-16 anni.
          Lo scorso anno sono stati quasi 6.000 gli interventi di soccorso sull’arco alpino, il doppio rispetto a 10
          anni prima e anche le vittime aumentano esponenzialmente.
          Nonostante le raccomandazioni del Soccorso Alpino Forestale, ogni anno folle di dilettanti tentano le
          scalate senza la minima preparazione, prive di quel senso del limite che dovremmo sempre avere den-
          tro quando ci avviciniamo alla natura. C’è chi pensa di andare in montagna solo perché si è allenato
          in palestra, dopo essere sceso dal fuoristrada che si è inerpicato magari per strade interdette.
          È la tracotanza, la ùbris, di chi dimentica che la montagna è sempre imprevedibile, sempre più gran-
          de di noi. Cade un seracco, c’è il vento, la bufera, ti può venire addosso un masso.
          Siamo esseri umani e possiamo fare errori, ma la montagna non perdona.
          La soluzione però non può essere il numero chiuso come proposto da qualcuno, ma l’educazione di
          chi si avvicina alle montagne. Quando i Forestali incontrano qualcuno che si avvia per un sentiero di
          montagna con le ciabatte infradito o i mocassini lo invitano a tornare indietro immediatamente. E l’e-
          scursionista dovrebbe farlo.
          Guai però a perdere il bene della montagna e della natura. È fatta di bellezza, di fatica, di solitudine
          e silenzio: valori poco alla moda, ma proprio per questo preziosi. La vita in montagna è
          dura come sanno pastori, boscaioli e forestali, ma il vero isolamento, quello che ci fa sen-  STAMPATO SU
          tire soli, non è una condizione fisica, è uno stato morale. È rimanere fra gente insulsa e
                                                                                   CARTA RICICLATA AL 100 %
          compiere azioni insignificanti, è produrre cose inutili che mortificano la nostra vita e la
          svuotano di senso.




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