Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

BIODIVERSITA' 
CONOSCERE PER PROTEGGERE: LA FLORA DEL BOSCONE DELLA MESOLA
17/01/2022
di Michele RAVAGLIOLI  - Tenente, Comandante NIPAAF Belluno

 


Kosteletzkya pentacarpos (foto valbonesi)

La Riserva Naturale del Boscone della Mesola rappresenta uno dei più estesi relitti di foresta planiziale ad oggi conservatosi in Italia, inoltre la sua posizione strategica, protesa verso il mare Adriatico che lambisce nella Sacca di Goro, all’interno del Parco Regionale del Delta del Po, lo rendono una zona ad elevata vocazione conservazionistica. Per questa necessità in essa vengono costantemente condotti monitoraggi e studi finalizzati alla comprensione delle dinamiche ecosistemiche per poi cercare di favorire una maggiore complessità del sistema bosco, con un particolare occhio di riguardo per le specie più rappresentative dell’area e per quelle in qualche modo maggiormente minacciate dai cambiamenti climatici in corso e dalla notevole dinamicità che caratterizza il territorio deltizio, da sempre modellato dall’azione del fiume e del mare. In questo contesto si inquadra la flora del Boscone della Mesola che ha messo in luce notevoli risultati sia in termini di quantità di specie, sia in termini di importanza delle specie rinvenute e ha evidenziato ancora una volta il cruciale ruolo svolto dalle Riserve Naturali nella conservazione della biodiversità. Esse infatti non solo ospitano specie di grande interesse conservazionistico interessate da vari regimi di tutela ma tamponano la perdita di biodiversità e l’avanzata delle specie esotiche a scapito di quelle autoctone e questo è tanto più evidente in zone in cui le Riserve sono a contatto con aree fortemente antropizzate. Da qui deriva  la necessità di una gestione forestale sistemica, cioè attenta a ciascuna componente del sistema foresta, che sia in grado di implementarne la complessità strutturale e relazionale.

 

The Natural Reserve of Bosco Mesola, represents, to date, one of the largest wrek of planitial forest preserved in Italy. Moreover, its strategical position that overlooks the Adriatic sea lapping the Sacca di Goro, and its position in Delta Po’s Regional Park, makes the forest an area with a high biodiversity rate. For this reason many studies and monitorings are continuously carried out in the Reserve, to understand the ecosystem dynamics. The aim is to increase the complexity of the forest, with particular attention for the most representative species of the area and for those more threatened by the climate changes in progress and by the remarkable dynamism that characterized the Delta area always shaped by the action of the River and the Sea. The flora of the Mesola Forest is framed in this context. It highlights significant results: the presence of a high number of species and of high importance species among those surveyed. These results emphasize once again the relevant role of Natural Reserves, especially near highly populated areas, in fighting biodiversity loss and the advance of exotic species to the detriment of native ones.

L’area di studio

La Riserva naturale dello Stato del Boscone della Mesola è stata istituita con Decreto Ministeriale del 13 luglio 1977 ed è classificata come Sito di Importanza Comunitaria (SIC) ai sensi della direttiva habitat 43/92 e come Zona di Protezione Speciale (ZPS) ai sensi della Direttiva 409/79 (oggi sostituita dalla Direttiva 147/2009), ed attualmente è gestita dal Reparto Carabinieri Biodiversità di Punta Marina attraverso il Nucleo CC Forestale di Bosco Mesola.

Essa si inquadra all’interno del Parco regionale emiliano del Delta del Po’ mentre amministrativamente ricade interamente nella Provincia di Ferrara, anche se il suo territorio è ripartito nei comuni di Mesola (per la maggior parte), Goro (dove si affaccia sull’omonima Sacca) e, in minima parte, nel Comune di Codigoro.

 Con la sua estensione di 1058 ha rappresenta, ad oggi, uno dei più estesi relitti di foresta planiziale conservatosi nel nostro Paese, ossia ciò che rimane delle foreste che un tempo ricoprivano copiosamente la Pianura Padana fino al mare.

Probabilmente il motivo della conservazione di questo lembo di foresta, che comunque nel corso dei secoli ha rischiato di scomparire, lo si può intuire dal nome che allude alla sua posizione particolarmente scomoda da raggiungere sia dal mare che dall’entroterra, infatti il nome “Mesola” secondo alcuni storici deriva dal latino “Media Insula” cioè terra in mezzo alle acque, secondo altri invece il nome deriverebbe da “Mensolae” terra elevata sull’acqua.

Nel corso degli anni la Riserva è passata sotto diverse proprietà dagli Estensi agli Asburgo (1758), da questi allo Stato Pontificio (1785), quindi nel 1797 alla Repubblica Francese, fino a transitare nel 1919 alla Società per la Bonifica dei terreni ferraresi per poi nel 1954, dopo che il bosco rischiò di scomparire per effetto della Riforma Fondiaria che ne prevedeva l’esproprio e la messa a coltura, la proprietà passò all’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali (Naccarato et al 2004).

La Riserva della Mesola viene solitamente associata alla presenza dell’omonimo cervo, ecotipo di grande interesse conservazionistico che richiama ogni anno la presenza di molti turisti e fotografi naturalistici. Tuttavia, oltre a tale illustre presenza il “Boscone”, così chiamato dalla locale popolazione, offre ulteriori e notevoli aspetti significativi dal punto di vista naturalistico e forestale. La posizione deltizia e costiera in cui si trova, la predispongono infatti ad essere un vero e proprio crocevia tra specie (non solo vegetali) connotate da corologie, cioè distribuzioni geografiche, profondamente diverse in cui, data la posizione particolarmente protesa verso oriente, la componente corologica balcanica riveste un ruolo consistente all’interno della Riserva mesolana. Questo significa che questa foresta relittuale è in grado di soddisfare esigenze ecologiche di specie tra loro profondamente diverse per origine, diffusione ed esigenze ecologiche che qui si incontrano per formare un’unica particolare cenosi. A tal proposito, dal punto di vista forestale, va segnalata la significativa presenza di Carpino orientale (Carpinus orientalis Mill.) che, consociato con il Carpino bianco (Carpinus betulus L.) e la Farnia (Quercus robur L.) forma uno delle tre tipologie forestali caratterizzanti il Boscone: un querco-carpineto la cui accentuata connotazione orientale lo rende molto diverso da quello ancora sporadicamente presente nella pianura padana e, per questo, non ancora perfettamente inquadrato dal punto di vista fitosociologico.

Seppure a una prima vista il bosco possa sembrare omogeneo, la grande varietà di microhabitat presenti, frutto anche della complessa e sempre dinamica morfologia del terreno, lo rende un vero e proprio scrigno di biodiversità tanto che appunto la foresta, dal punto di vista fisionomico, è caratterizzata dalla presenza di tre tipologie forestali: oltre al sopra citato querco-carpineto che rappresenta la componente mesofila della cenosi nonché quella più matura, infatti si affiancano la lecceta che costituisce la componente termofila, che occupa la porzione sommitale delle più recenti dune, e il cladio-frassineto componente igrofila presente nelle bassure ossia depressioni retrodunali o avvallamenti di terreno che si caratterizzano per la prolungata presenza dell’acqua durante l’anno.

Tali ristagni idrici, pur essendo inquadrabili come aree umide effimere cioè temporanee, risultano habitat particolarmente significativi anche per numerose specie di anfibi e di avifauna. Accanto alle tre tipologie forestali appena menzionate, il bosco si caratterizza anche per la presenza di due grandi aree aperte popolate da piante annuali in grado di tollerare periodi di siccità e di aree aperte connotate da una maggior tasso di umidità e per questo contraddistinte da una presenza più marcata di specie erbacee o arbustive perenni. Non va poi dimenticata la presenza di piante acquatiche che popolano i numerosi canali che attraversano il bosco e che assolvono la duplice funzione di habitat per le specie, sia animali che vegetali, legate alla presenza di acqua dolce, e di irrigazione del bosco con implicito abbassamento della concentrazione salina della falda.

La flora

La necessità di guardare al bosco in maniera sistemica cioè con un occhio attento a ciascuna delle componenti dell’ecosistema, unitamente alla particolare dinamicità delle zone costiere e deltizie da sempre caratterizzate da cambiamenti repentini causati dalle forze creatrice e distruttrice tra loro combinate del fiume e del mare e dal substrato sabbioso, e quindi facilmente modellabile e soggetto ai fenomeni di subsidenza, sul quale il bosco insiste, hanno indotto i Carabinieri Forestali a intraprendere, attraverso diversi gruppi di lavoro all’uopo costituiti e formati da studiosi, esperti, professori universitari e carabinieri forestali caratterizzati da differenti background, un vero e proprio programma di studio dei vari comparti della foresta finalizzato alla redazione di un piano di gestione forestale e naturalistico comprensivo anche delle misure di conservazione specifiche delle aree ricomprese in Rete Natura 2000 (Direttiva “Habitat” 43/92 e Direttiva “Uccelli” 147/2009).

La serie storica dei dati presi in esame nel presente lavoro è sufficientemente significativa per valutare una reazione della comunità forestale nel corso tempo alle mutate condizioni stazionali, climatiche e gestionali. In particolare lo studio della flora ha avuto inizio dall’analisi dei dati di bibliografia, frutto di ricerche svoltesi nel corso del tempo a partire dai primi anni dello scorso secolo, le prime informazioni generali relative alla zona risalgono infatti al 1909 (Revedin) e 1910 (Bèguinot). Fra i dati di bibliografia più significativi merita una menzione particolare la prima check list sito specifica delle specie vegetali risalente al 1964 a firma del prof. Piccoli. Questi dati sono poi stati integrati da rilievi condotti in campo a partire dal 1979 fino al 2019. I rilievi effettuati hanno interessato tutti i principali ambienti della Riserva con particolare riguardo alle aree aperte e quelle marginali.

Nel 2021 è stata quindi pubblicata, a cura della casa editrice inglese Springer, la prima specifica ed esaustiva flora della Riserva Naturale del “Boscone della Mesola” con il titolo “The vascular flora of the Bosco della Mesola Nature Reserve” (Alessandrini et al 2021). Si tratta di un risultato significativo ed originale ottenuto dal gruppo di lavoro di floristi, vegetazionisti e forestali, coordinati dall’Università degli Studi di Ferrara. L’originalità di tale lavoro risiede nel fatto che non si tratta di una semplice flora ma di una flora arricchita da elementi “vegetazionali”. Infatti se la flora è definita come un elenco delle specie presenti in un determinato ecosistema e quindi costituisce una informazione meramente qualitativa, necessaria ma non sufficiente ad intraprendere adeguate misure di gestione, lo studio condotto aggiunge elementi di tipo quantitativo, relativi cioè all’abbondanza della presenza delle specie, alla loro dinamica e alla relazione intercorrente tra le specie presenti e tra queste e il proprio ambiente. Questa speciale integrazione è stata realizzata proprio per fornire un quadro più completo possibile facendo così fronte alla necessità di monitoraggio dell’ecosistema in chiave di gestione sistemica. Per ciascuna specie rilevata infatti sono state esaminate le corologie ossia l’analisi della distribuzione geografica e dell’origine delle specie. Sono state poi analizzate le forme biologiche di Raunkiaer, un sistema di classificazione che “cataloga” le piante in base alla distanza dal suolo assunta dalla gemma durante la stagione invernale, ponendo così in evidenza il modo in cui le piante hanno adattato, nel corso dell’evoluzione, la propria morfologia in funzione del clima. Altro aspetto di interesse vegetazionale studiato nel presente lavoro, è costituito dall’esame dei fattori di bioindicazione di Ellenberg che si basa sull’analisi dei principali fattori ecologici cioè quei fattori che incidono sulla vita di una pianta e, di conseguenza, ne quantificano il carattere di indicatore ambientale.

 

Risultati

I risultati emersi evidenziano già a prima vista un elevato numero di specie vegetali. In totale sono state rilevate 480 specie di cui 78 specie mai segnalate in precedenza che rappresentano circa un 16% in più rispetto a quante riscontrate nel 1964 (Alessandrini et al 2021). Si tratta di un numero notevole considerando che la superficie della Riserva si estende per 1058 ettari. Ciò significa che la sola Riserva Naturale della Mesola ospita al suo interno più di un terzo delle specie vascolari riscontrate nell’intera Provincia di Ferrara. Tuttavia, a causa del mutamento delle condizioni ambientali, alcune delle specie presenti negli anni Sessanta sono scomparse. Delle nuove specie censite la maggior parte di esse sono autoctone mentre l’aumento delle specie esotiche si è attestato attorno all’8% rispetto a quanto constatato in passato a fronte di un incremento del 19% registrato nella flora regionale (Alessandrini et al 2021), questo indica quanto il ritmo di affermazione di specie esotiche all’interno della Riserva risulta molto più contenuto rispetto all’esterno e quindi le Riserve Naturali, oltre a costituire veri e propri scrigni di biodiversità, svolgono anche un effetto di contenimento nella diffusione delle specie aliene.

Altro dato di notevole rilevanza è costituito dal fatto che delle specie censite, circa il 12% rientra tra quelle protette a vario titolo. Nello specifico 14 sono comprese nella Lista rossa* nazionale, 40 in quella regionale, 5 sono comprese in Convenzioni Internazionali (Direttiva Habitat, Convenzione di Berna).

Tra le specie vegetali di maggiore interesse conservazionistico presenti nella Riserva della Mesola, e per questo oggetto di importanti progetti di ricerca anche di carattere internazionale, merita una particolare menzione l’ibisco di palude o litoraneo (Kosteletzkya pentacarpos L.). Si tratta di una specie classificata come “Vulnerabile” a livello europeo ed è ricompresa sia nell’Allegato II (l’elenco di specie la cui conservazione richiede l’istituzione di Zone Speciali di Conservazione) della Direttiva Habitat 43/92 CEE sia nella Convenzione di Berna. La pianta, una malvacea la cui bellezza non passa inosservata per i grandi fiori, che compaiono a partire da metà estate, di colore rosa-violetto in cui spiccano gli stami di colore giallo fusi al centro “a colonna”, deve il nome al professore Kosteletzky (1880-1887) ordinario di Botanica all’Università di Praga mentre l’epiteto della specie fa riferimento al frutto diviso in cinque logge. L’areale dell’ibisco è molto vasto e comprende molte zone del Nord America, in particolare gli Stati Uniti Sud-orientali, e alcune regioni Mediterranee dove colonizza le aree umide deltizie.  A causa delle pressioni esercitate in passato dall’uomo con le azioni di bonifica delle aree umide, attualmente in Europa è presente in modo molto frammentato, in Italia dopo essere scomparsa da diverse regioni oggi è presente solo nel Delta del Po (Veneto ed Emilia-Romagna) (Ercole et al 2013). Oltre alla citata bellezza la pianta si distingue per la capacità di tollerare notevoli accumuli di nutrienti nel suolo e variazioni di salinità (Abeli et al 2017, Brancaleoni et al 2018). La sua versatilità infine la rendono specie ottimale come specie da coltivare su suoli salmastri. In America e in Asia viene oggi coltivata per la produzione di biomassa e biocarburanti.

*La lista rossa costituisce un inventario del rischio di estinzione delle specie. In tale lista, redatta dallo IUCN (International Union for Conservation of Nature) le specie sono suddivise in diverse categorie di rischio estinzione sulla base di criteri quantitativi scientificamente rigorosi.

Conclusioni

I risultati conseguiti con il presente studio rimarcano l’importanza del ruolo delle Riserve Naturali dello Stato quali aree vocate alla custodia della biodiversità nei suoi tre livelli: a livello paesaggistico, a livello di specie e a livello genetico. Queste aree, 130 delle quali sono oggi gestite dal Raggruppamento Parchi e Biodiversità attraverso i vari Reparti Biodiversità, infatti fungono da rifugio per specie che altrove non troverebbero più spazio a causa dell’elevata antropizzazione del territorio e inoltre frenano la perdita di biodiversità indotta da una gestione intensiva e l’avanzata delle specie esotiche spesso avvantaggiate dalle condizioni ecologiche originatesi a seguito di detta gestione. Inoltre come tutte le foreste, anche le Riserve offrono una vasta gamma di servizi in grado di incidere sia sulla qualità della salute dell’uomo sia sul rispetto dei numerosi impegni assunti in sede internazionale dal nostro Paese, oltre ad esercitare un importante funzione scientifica infatti esse costituiscono vere e proprie “aule a cielo aperto” dove è possibile studiare le specie in esse ospitate e le dinamiche naturali che regolano gli equilibri ecosistemici in atto per poi ricavarne utili informazioni necessarie per poter applicare una oculata gestione forestale. Pertanto, per i motivi appena accennati è quanto mai opportuno guardare a queste porzioni di territorio come qualcosa di prezioso da tutelare. Lo strumento attraverso il quale perseguire questa tutela è costituito dalla cosiddetta gestione sistemica ovvero una gestione che sia attenta a ciascuna componente dell’ecosistema forestale e miri ad implementarne la complessità strutturale e relazionale attraverso interventi cauti, continui e capillari (Ciancio et al. 1996).

La cautela trova la sua origine dalla consapevolezza che i sistemi forestali sono vivi e di conseguenza reagiranno agli interventi che si porranno in essere.  Al gestore starà il saper cogliere tali reazioni e decidere se procedere nella direzione intrapresa oppure, se il sistema dovesse manifestare segni di sofferenza e di impoverimento, ricalibrare quanto fino a quel momento è stato messo in atto.

La capillarità deve tenere conto delle differenti necessità delle specie animali e vegetali presenti e del fatto che ciascun lembo di foresta abbisogna di interventi specifici e diversificati dettati dalle diverse condizioni ecologiche presenti in essi.

La continuità, infine, deriva dalla necessità di fare in modo che gli interventi non debbano essere tra loro scollegati ma debbano costituire parte di un unico progetto incardinato all’interno di un piano di gestione. Nello specifico, la flora qui presentata vuole essere sia un risultato del monitoraggio svolto all’interno del Bosco della Mesola sia un documento prodromico in grado di fornire informazioni utili per la redazione del nuovo piano di gestione forestale e naturalistico.