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  • Anno 2008
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  • N.2 - Aprile-Giugno
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Editoriale

Copertina del mese


Traendo spunto dall’interessante studio sulla tematica della natura giuridica del trasferimento dei militari, propongo alcuni spunti sul concetto di obbedienza. Dovere ed obbedienza per un militare non sono concetti astratti, ma un abito comportamentale al quale si aderisce con consapevolezza e convinzione, cioè con un atteggiamento personalistico che costituisce l’aspetto moderno della disciplina militare.
“La nostra è l’età dei diritti”, così è stato autorevolmente scritto. In questa età potrebbe apparire fuori moda parlare di doveri e di obbedienza, a meno di non contestualizzare il discorso in un ambito dove i doveri e l’obbedienza non tramontano mai. Nel mondo militare il dovere è sublimato in un’originale istanza etica, all’interno della quale l’obbedienza è da sempre considerata un vera e propria virtù.
Nella fase di formazione non si coltiva più, e non lo si fa da molto tempo, l’obbedienza cieca ed assoluta, caratterizzata dalla passiva accettazione degli ordini superiori e svincolata da qualsiasi tipo di responsabilità. Questa obbedienza meccanicistica e meramente formale è da tempo scomparsa dal panorama etico, giuridico ed operativo del mondo militare, nel quale l’obbedienza è regolamentata in una esecuzione pronta, rispettosa e leale degli ordini attinenti al servizio e alla disciplina, in conformità con il giuramento prestato. In sintesi:
- prontezza: l’immagine concreta dell’efficienza organizzativa, la capacità di operare nell’immediatezza, senza tentennamenti o titubanze;
- rispetto: la costante esigenza dell’osservanza scrupolosa dei doveri attinenti alla subordinazione, cioè la salvaguardia del sistema gerarchico che fonda l’essenza dell’ordinamento militare;
- lealtà: l’onestà dichiarata ed ammirevole, costantemente associata a franchezza e sincerità, è la virtù che induce a rifuggire dal tradimento e dall’inganno.
La norma sul dovere di obbedienza, come attualmente formulata dal Regolamento di disciplina militare, rappresenta - senza dubbio - la trasposizione in termini giuridici di un concetto etico molto più profondo di quello che una prima lettura della disposizione prescrittiva lascia intendere: è la manifestazione più concreta dello spirito di servizio e dell’altruismo che anima il militare.
Essa è il rifiuto di una visione egoistica e ristretta del proprio agire sociale e della conseguente concezione di libertà assoluta ed arbitraria, come negazione dell’altro e come suo disconoscimento quale valore da salvaguardare. L’obbedire, ma sarebbe più appropriato oggi affermare il “saper obbedire”, comporta - con linguaggio moderno - la matura condivisione degli obiettivi organizzativi e funzionali, la capacità di contribuire ad uno scopo comune, nell’unificazione cosciente degli sforzi di tutti. È la manifestazione razionale della fiducia nella propria Istituzione e nei fini che essa persegue; è uno stile comportamentale, una norma morale che impegna prima ancora dell’esteriorità della condotta, un volere e una disciplina interiori che animano i buoni propositi e la retta intenzione.
Il militare, allora, non può prescindere da una vera e propria etica dell’obbedienza, come insieme di regole e di valori, connaturata alla sua posizione nell’ordinamento gerarchico e funzionale al conseguimento dei compiti istituzionali. Essa è anche alla base del senso della legalità, del rispetto assoluto delle leggi, dell’accettazione della civile convivenza, come norma fondamentale dei rapporti interpersonali. Se è connaturata un’etica dell’obbedienza, allora nasce spontanea la costante osservanza delle regole, il rispetto sacro del valore fondante della legalità.
E cos’è il dovere, eticamente inteso, se non l’obbligo morale di agire in conformità ad una legge imposta dall’esterno o dettata dalla propria coscienza? Vivere ed operare al servizio degli altri con disinteressato altruismo e fermezza di propositi è quanto siamo chiamati ad operare con senso del dovere e spirito di obbedienza, non perché costretti, ma per autonoma e sentita scelta del nostro agire razionale, in piena libertà di intenti e di sentimenti.
Se questo è il nostro più profondo pensiero ed è quanto affermiamo con decisione, non si poteva non rispondere a chi chiedeva quale fosse la prima virtù di un comandante che con queste poche e significative parole: “La prima virtù di un comandante è il saper obbedire”.
La Rassegna, raccordo fondamentale tra la vita della Scuola, centro di eccellenza della formazione, ed il mondo culturale accademico e militare, accoglie e sviluppa tali approfondimenti, perché in essa convivono da sempre le anime della rivista scientifica e della “palestra di idee” dei futuri comandanti dell’Arma.