3. L’indizio di appartenenza

Chiarita la natura dei sodalizi, bisogna porre l’attenzione sulla qualifica indiziaria dei soggetti cui la legge è indirizzata. In tal senso, l’indizio segna la sua differenza dalla prova consistendo in un fatto specifico donde dedurre, in termini probabilistici, la conoscenza di un atto ignoto, a differenza della prova, che consente la conoscenza certa del fatto, allorché viene sottoposta al vaglio incrociato del dibattimento(83). La natura dell’indizio presenta un gravame probatorio autonomo rispetto alla prova in senso tipico; difatti, tale connotazione ha dei riflessi in ordine alla differenza tra il processo penale ed il provvedimento di prevenzione, determinandosi non solo l’autonomia dei due procedimenti, ma anche una notevole rilevanza nelle questioni probatorie.

Il primo richiede che la responsabilità penale in ordine ad un reato sia fondata su prove piene, che sono tali anche se di natura indiretta in quanto anche gli indizi debbono condurre alla certezza del fatto ignoto; il secondo prescinde dall’accertamento della responsabilità penale per un reato, avendo come presupposto la pericolosità sociale (comune o qualificata) del soggetto rapportata a determinati parametri, sicché si fonda su elementi con minore efficacia probatoria, che, tuttavia, qualora si tratti di pericolosità qualificata dell’appartenenza ad associazione di tipo mafioso, debbono, in considerazione delle più gravi conseguenze, anche di natura patrimoniale, rispetto alla pericolosità sociale di comune, raggiungere la consistenza dell’indizio, con esclusione, quindi, di sospetti, congetture ed illazioni, che sono mere intuizioni del giudice, mentre l’indizio è sempre fondato su un fatto certo.

Dato il minore livello probatorio degli elementi necessari per l’applicazione della misura di prevenzione, è sufficiente che gli indizi dimostrino anche la sola probabilità che il prevenuto sia appartenente ad un’associazione di tipo mafioso(84). In tale quadro, viene rilevato che la qualifica di indiziato non vale a legittimare l’indagine, bensì, eventualmente, a giustificarla, in quanto fissa una ipotesi di lavoro da verificare attraverso le indagini(85). Pur tuttavia, emerge, in favore delle strategie investigative e delle esigenze della repressione criminale, un redditizio modello bifasico, secondo cui, dinanzi a condotte pressoché identiche, la relativa valutazione giuridica sfocia sul piano della repressione penale o su quello della prevenzione esclusivamente in relazione allo spessore del materiale probatorio raccolto dagli inquirenti(86). Anche nell’ambito del riconoscimento di pericolosità, tuttavia, la legge non consente di conferire rilievo ai meri sospetti, richiedendosi, al contrario, la sussistenza e la convergenza di veri e propri indizi, cioè quella categoria di elementi di prova che sono ricavati, mediante un procedimento logico-induttivo, da circostanze, fatti e comportamenti specifici e concreti che, come tali, devono essere sottoposti ad analisi critica, contestazione e dimostrazione(87).

Viene affermato da certa parte della dottrina che si renderebbe necessario operare in quelle situazioni in cui, già al momento della proposta, sussista qualcosa in più del semplice sospetto, ma nello stesso tempo, “qualcosa di meno dell’indizio vero e proprio(88)”. Il nesso intercorrente tra indizio di appartenenza e natura del sodalizio è individuabile nella pericolosità del soggetto proponendo alla luce delle relazioni che lo collegano ad un gruppo che ha le caratteristiche indicate, appunto, nell’art. 416 bis c.p. L’appartenenza ad associazioni di tipo mafioso è deducibile, oltre che dalla ben più grave partecipazione al reato a titolo di concorso, anche da una condotta qualitativamente diversa che, pur non configurando un gravame di responsabilità per le condotte illecite commesse dal gruppo, esprime, tuttavia, un segnale di inserimento organico in una comunità che si è costituita e si mantiene illecitamente e con la violenza.

Ed inoltre, la configurazione indiziaria può ricavarsi anche in caso di passività rispetto alla volontà ed alle esigenze delinquenziali del sodalizio. Il sistema preventivo trova luogo di applicazione allorché il collegamento con un gruppo criminale si evidenzi sulla scorta di un’adeguata base indiziaria, connotandosi, in tal modo, la diversa struttura del quadro probatorio del procedimento di prevenzione rispetto a quello del processo penale, fondato, invece, sul dispiegarsi della prova nella sua pienezza. Tale circostanza concorre a segnare l’autonomia dei due diversi procedimenti e ad evidenziare l’assenza di una pregiudiziale penale rispetto al procedimento di prevenzione. Da certa parte della dottrina si intende superare qualsiasi differenza tra il concetto di appartenenza e quello di partecipazione, sostenendosi che la differenza tra procedimento di prevenzione e procedimento penale non attiene al tema probatorio, bensì all’intensità del rigore probatorio richiesto per l’applicazione della misura di prevenzione o della sanzione penale, con differente impostazione rispetto alla individuazione della pericolosità semplice(89).

Diversamente, viene affermato che la individuazione della differenza tra l’indiziato di appartenere ad associazione mafiosa ed il partecipante ex art. 416 bis c.p. si fonda proprio nella diversa figura del partecipe rispetto a quella dell’appartenente: figure caratterizzate da evidente diversità ontologica riflettente, a sua volta, le diverse finalità cui sono diretti il giudizio penale, volto ad accertare la sussistenza del reato, e quello di pericolosità, diretto ad accertare la esistenza degli estremi per l’applicazione delle misure di prevenzione(90). Sostanzialmente, ciò che si richiede a sostegno dell’adozione della misura è un gravame indiziario che, pur con conclusioni univoche di appartenenza, non abbia la medesima intensità e la gravità tali da giustificare un procedimento penale. Può asserirsi, inoltre, che l’applicazione di una misura di prevenzione possa articolarsi sul recupero di elementi probatori che nel processo penale non troverebbero valorizzazione, oppure la cui valenza è già stata scartata in uno specifico processo penale(91).

Tuttavia, perché un soggetto possa ritenersi raggiunto da fondati sospetti di un suo inserimento in un’organizzazione criminale di tipo mafioso, tali da legittimare l’adozione di una misura de quo, è necessario che siano emersi indizi connotati da circostanze oggettive, che portino inequivocabilmente ad un giudizio di qualificata probabilità che la persona sia stabilmente inserita nell’associazione, non essendo di contro sufficiente che la stessa si sia resa responsabile di isolati fatti penalmente rilevanti(92). L’autonomia della ipotesi penale da quella preventiva poggia sulla considerazione che il concetto di appartenenza deve essere incardinato su un comportamento che, pur non realizzando il reato associativo, sia tuttavia funzionale agli interessi dei poteri criminali(93). Si rende quindi opportuna una oggettiva valutazione dei fatti sintomatici della condotta abituale e del tenore di vita del soggetto, tanto da escludere valutazioni meramente soggettive e incontrollabili da parte dell’Autorità proponente, che è invece tenuta ad allegare fatti incontrovertibilmente certi, quali precedenti penali, denunce per gravi reati, motivazioni di eventuali ordinanze di custodia cautelare, tratti emblematici del tenore di vita, frequentazione abituale di pregiudicati o di soggetti sottoposti a misura di prevenzione, ulteriori elementi indicativi di manifestazioni contrastanti con la sicurezza pubblica: in sostanza, un patrimonio indiziario che legittimi una prognosi negativa sul suo futuro comportamento.

In tal senso, secondo la giurisprudenza, non è necessaria una particolare dimostrazione dell’appartenenza del soggetto ad associazioni di tipo mafioso, ma è sufficiente la sussistenza di indizi di tale appartenenza, ossia di elementi di fatto certi nella loro esistenza, aventi valore sintomatico, idonei a suffragare il giudizio circa la possibile appartenenza del soggetto ad un’associazione criminosa avente la fisionomia mafiosa. Ciò non deve tuttavia indurre il giudice della prevenzione a prescindere da una corretta valutazione degli elementi indiziari e dall’obbligo di una motivazione che presenti i fondamentali e necessari requisiti della correttezza (ossia delle aderenze alle risultanze processuali), della completezza (ossia della estensione a tutti gli elementi influenti per la formazione dei singoli giudizi) e della logicità (ossia della conformità ai canoni che presiedono alle forme del ragionamento)(94). In tal senso, l’appartenenza del soggetto ad un’associazione richiede l’acquisizione di fatti oggettivamente valutabili e controllabili che conducano ad un giudizio di ragionevole probabilità(95).

In sintesi, l’indizio richiesto dalla specificità antimafia delle misure di prevenzione si fonda su una prognosi di pericolosità che, proprio per la sua collocazione ante delictum, può sostenersi in via induttiva. Si tratta, tuttavia, di una sorta di pericolosità che si veste di un ben delineato habitus, quello cioè della mafiosità, con tutte le implicazioni di carattere comportamentale e subculturale. Inoltre, il requisito “…dell’attualità della pericolosità sociale è da considerare necessariamente implicito nella ritenuta attualità della presumibile appartenenza del proposto ad una consorteria di tipo mafioso(96)”. Pur tuttavia, non si richiede che l’associazione venga individuata e descritta con esattezza in tutti i suoi elementi e caratteristiche, essendo sufficiente il mero accertamento della esistenza di un sodalizio che ne reca i tratti distintivi(97). Ed ancora, ma in senso opposto, per ritenersi esclusa l’immanenza della pericolosità, “…occorre acquisire il recesso personale del singolo o la disintegrazione dell’associazione(98)”. Ed infine, pare ormai costante l’affermazione della compatibilità tra applicazione della misura di prevenzione e la custodia cautelare, proprio perché tale condizione non esclude la pericolosità attuale, potendo cessare in qualsiasi momento(99).

Approfondimenti

(83) - Per una esaustiva interpretazione del connotato indiziario di appartenenza alle associazioni di tipo mafioso, cfr.: POLLARI - DEL CIOPPO, Combattere cosa nostra, Buffetti, Roma, 1995, pagg. 6-7.
(84) - Cass. Pen., Sez. I, 14 agosto 1987.
(85) - SIRACUSANO, Indagini, indizi, e prove nella nuova legge antimafia, in RIV. IT. DIR. PROC. PEN., 1984, pag. 910.
(86) - Sulla problematica della eventuale sovrapposizione tra fattispecie preventive e repressive, cfr.: BRICOLA, Politica criminale e politica penale dell’ordine pubblico, in QUEST. CRIM., 1975, pagg. 267 e ss.
(87) - NANULA, La lotta alla mafia, Giuffrè, 1999, IV ed., pag. 16.
(88) - FIANDACA, la prevenzione antimafia tra difesa sociale e garanzie di legalità, in FORO IT., 1987, II, c. 368.
(89) - CASTAGNOLI - PerIna, Le misure di prevenzione e la normativa antimafia, Laurus Robuffo, Roma, pagg. 72 e ss.
(90) - GROSSI, Nota a sentenza del Tribunale di Lecce 9 novembre 1990, in RIV. PEN., 1991, pag. 184.
(91) - GIANFROTTA, Le misure di prevenzione previste dalle leggi antimafia, in AA.VV., Atti del Convegno, Nuove forme di prevenzione della criminalità organizzata: gli strumenti di aggressione dei profitti di reato e le misure di prevenzione, Frascati 18-20 dicembre 1997, su QUADERNI DEL C.S.M., anno 1998, n. 104.
(92) - Cass. pen., Sez. I, 6 novembre 1992.
(93) - GUGLIELMUCCI, Nozione di indiziato di appartenenza ad associazioni mafiose e di indiziato di misure di prevenzione, in CASS. PEN., 1987, pag. 1669.
(94) - Cass. pen., Sez. I, 15 dicembre 1988.
(95) - BERTONI, Rapporti sostanziali e processuali tra associazione mafiosa e fattispecie di prevenzione, in CASS. PEN., 1986, pag. 1884.
(96) - Cass. pen., 19 dicembre 1996.
(97) - Cass. pen., Sez. I, 23 gennaio 1973.
(98) -Cass. pen., Sez. I, 30 maggio 1995.
(99) -Cass. pen., Sez. I, 9 dicembre 1991.