5. Il rimpatrio con foglio di via obbligatorio

L’art. 2 L. 1423/56, nella vigente formulazione, prevede che le persone ricomprese nelle categorie di cui all’art.1 possono essere rimandate, con atto motivato del Questore, nel luogo di residenza, qualora risultino pericolose per la sicurezza pubblica; con lo stesso provvedimento, inoltre, si impone ai destinatari il divieto di rientrare senza autorizzazione, e comunque per un tempo non superiore a tre anni, nel comune dal quale sono stati allontanati. Anche se a rigore la misura non dovrebbe essere comprensiva del divieto di transito nel comune di allontanamento, salvo soste che potrebbero riprodurre il pericolo per la sicurezza pubblica che si intende prevenire, la giurisprudenza maggioritaria(55) segue un orientamento assolutamente rigoroso, includendo nel divieto qualsiasi ipotesi di presenza.

Com’è intuibile, nell’ambito delle misure preventive, il rimpatrio coatto soddisfa le esigenze di prevenzione più elementari, tendendo ad anemizzare la situazione di pericolosità tramite l’allontanamento dell’interessato. Il provvedimento, sotto il profilo documentale, si sostanzia in due atti: l’ordine di rimpatrio e il foglio che contiene, come atto conseguenziale, l’ordine di esecuzione del provvedimento del Questore, regolando le modalità del rimpatrio stesso (foglio di via obbligatorio). Quest’ultimo, che dà contezza dell’appartenenza ad una delle categorie indicate dalla legge, indica la residenza, intesa generalmente quale reale ed effettiva, e fornisce elementi sulla pericolosità per la sicurezza pubblica della permanenza del soggetto in quel luogo e, quindi, sulla concreta possibilità del mancato rispetto di leggi fondamentali che attengono alla vita dello Stato, alla vita ed all’incolumità dei cittadini nonché alla salvaguardia dei beni pubblici e privati. È pertanto insufficiente il mero riferimento al criterio di semplice appartenenza ad una delle categorie espressamente considerate, essendo richiesto l’ulteriore requisito della pericolosità per la sicurezza pubblica.

Non è comunque semplice individuare quando quest’ultima si realizzi in concreto, dal momento che, come si è visto, non si tratta di valutare la presenza di un dato fattuale, ma si mira ad evidenziare elementi di sospetto. Parte della giurisprudenza ha, tuttavia, precisato che il giudizio di pericolosità scaturente dalla presenza di un soggetto in una determinata città, per giustificare il provvedimento di rimpatrio obbligatorio, necessita di una valutazione unitaria e complessiva degli elementi di fatto, delle denunce e delle condanne che riguardano il destinatario del provvedimento. Di conseguenza, se alcune circostanze sono state ritenute per errore sussistenti, la stessa valutazione nel suo complesso deve ritenersi viziata, in quanto basata su un’alterata rappresentazione della realtà(56). Occorre inoltre evidenziare la flessibilità del provvedimento, che per la sua adozione non richiede l’intervento del giudice, essendo quindi riconducibile al potere discrezionale dell’Autorità di P.S. Tale discrezionalità esige, evidentemente, una adeguata motivazione dell’atto. Di essa si dà contezza nell’ordine di rimpatrio, che contiene i riferimenti ad elementi obiettivi, dai quali possa desumersi il presupposto della prognosi di pericolosità(57).

Si tratta di un requisito sostanziale del provvedimento, finalizzato al controllo di legittimità, a cui soggiacciono in via generale gli atti amministrativi che incidono, limitandoli, sui diritti perfetti del cittadino. Avverso il provvedimento del Questore sono esperibili i mezzi di tutela tipici degli atti amministrativi. È pertanto ammesso il ricorso gerarchico al Prefetto, la cui determinazione, in virtù delle norme di semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi(58) e contrariamente a quanto previsto in precedenza dall’art. 6 del T.U.L.P.S. (ulteriore ricorso al Ministro), è definitiva. Avverso quest’ultimo provvedimento sono ovviamente sempre esperibili il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica o il ricorso giurisdizionale (complesso T.A.R. - Consiglio di Stato), nel rispetto della regola dell’alternatività, secondo la quale electa una via non datur recursus ad alteram. Tutto ciò salva la facoltà della diretta impugnativa in sede giurisdizionale, e cioè senza necessità di attivare prima il ricorso gerarchico, riconosciuta dall’art. 20 della legge istitutiva dei T.A.R. (L. 6 dicembre 1971, n. 1034).

La Corte Costituzionale ha fino ad oggi sostanzialmente salvaguardato la misura del f.v.o. dagli attacchi di illegittimità invocati, in particolare, in riferimento agli artt.13 e 16 Cost. In effetti, la limitazione imposta al cittadino con il foglio di via obbligatorio sembrerebbe rispettosa dell’art. 16 Cost., che, nel garantire la libertà di circolazione e soggiorno del cittadino, fa salve le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e sicurezza(59). Per di più, la misura non costituisce, strictu sensu, una limitazione della libertà personale e quindi non rientra tra i provvedimenti che, ai sensi dell’art. 13 Cost., devono essere adottati o convalidati dal giudice. Quanto alla circostanza che la misura verrebbe talora attivata per ragioni di moralità pubblica, non più contemplate dopo la modifica intervenuta ad opera della citata L. 327/88, la Corte stessa ha ritenuto invece tali fattispecie riconducibili a profili di sanità e sicurezza, tanto è vero che il soggetto che, pur diffondendo o praticando principi immorali, non commetta atti pericolosi per la sicurezza e la sanità, non può esservi assoggettato: ciò al fine di non interferire sull’esercizio di libertà costituzionalmente garantite attraverso la repressione di un comportamento immorale ma non criminoso.

Per ultimo, va ricordato che l’avviso orale non costituisce presupposto per l’adozione del rimpatrio, non tanto in ragione della soppressione dell’istituto della diffida, la cui previa irrogazione era invece espressamente richiesta, quanto per la natura stessa dell’avviso orale che, a norma del novellato art. 4, costituisce presupposto soltanto per l’applicazione della sorveglianza speciale(60), istituto del quale ci occuperemo tra breve.

Approfondimenti

(55) - Es., Cass. 26.1.1993, in CASS. PEN., 1994, 124.
(56) - T.A.R. Lazio, Sez. Latina, 2.8.1988, in FORO AMM. 1989, 306.
(57) - Cass. pen., Sez. I, 16 gennaio 1986.
(58) - D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199.
(59) - La prima sentenza in tal senso fu la n. 45 del 30.6.1960. In seguito, tra le altre, CASS. PEN. Sez. I, 24.6.1988, in CASS. PEN. 1990, I, 1376, Cass. pen. Sez. VI, 4.11.1989, in CASS. PEN. 1991, I, 813.
(60) - MILETTO, Le misure di prevenzione, Utet, 1989, pag. 161.