La partecipazione dei Carabinieri alla Difesa di Roma - 8-10 Settembre 1943

Flavio Carbone (*)

1. Introduzione

La difesa di Roma del settembre 1943 viene considerata uno dei primi atti della reazione militare italiana contro i Tedeschi, testimoniando la vocazione dei Carabinieri come Arma combattente a fianco di altre Unità del Regio Esercito.
A 60 anni di distanza, questo contributo vuole ricordare, attraverso l’analisi di numerose fonti storiografiche, uno degli episodi di storia nazionale che videro l’Arma dei Carabinieri fedele alle sue tradizioni.

2. Premessa

Nell’immediato dopoguerra(1) alcuni filoni storiografici avevano dato un minore risalto alla partecipazione dei militari italiani, singolarmente o inquadrati in unità organiche, al movimento di liberazione ed ancor meno a quello di resistenza.
Quest’orientamento aveva privilegiato la figura di “guerra di popolo”, condotta e capeggiata da elementi politicizzati, a discapito di quelle Forze Armate(2) che erano comunque vicine alla figura del Sovrano.
Ed anche quando, con la cobelligeranza e l’invio di ufficiali del Regio Esercito al Nord per svolgere un’attività di coordinamento e di informazioni, quest’ultima era stata ritenuta di minore importanza se non inutile “[…] a causa delle difficoltà di comprensione e attitudine oppure a causa dei loro tentativi di interferenza, pressione o della loro azione di divisione”(3). Peraltro, si riconobbe che “nel complesso, la loro energia, la loro capacità, la loro spesso generosa, talvolta eroica abnegazione, rese il loro contributo particolarmente apprezzabile”(4).

3. La situazione in Italia nel 1943

Lo sforzo condotto dall’Asse nel 1943 non permise più di ottenere i successi fino a quel momento conseguiti; nei vari Teatri operativi si stava verificando un forte arretramento, con conseguenti situazioni di grande difficoltà. Nel Nord Italia, nella prima parte di quell’anno, vi furono alcuni scioperi nei maggiori centri di produzione con manifestazioni apertamente contrarie alle difficoltà di guerra ed al regime, espressione del malcontento di una parte della popolazione italiana(5).
L’invasione della Sicilia, avvenuta il 10 luglio da parte degli Alleati, aggravò la situazione interna che condusse, pochi giorni dopo, alla caduta del governo Mussolini(6). Il Sovrano, diede istruzioni affinché l’ex capo del governo fosse tratto in arresto(7) provvedendo nel contempo a nominare Primo Ministro il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio. Questi iniziò immediatamente le febbrili attività non solo di “defascistizzazione delle istituzioni pubbliche”(8), ma anche di accettazione e firma, avvenuta il 3 settembre successivo a Cassibile per opera del Generale Castellano, dell’armistizio tra il Regno d’Italia e gli Alleati.
Durante i quarantacinque giorni del Governo Badoglio i vertici delle Forze Armate italiane furono tenuti all’oscuro dei contatti e delle intese che successivamente condussero all’armistizio: così la notizia di esso li colse di sorpresa e non li mise in condizioni di poter garantire né la tutela delle Istituzioni, né la propria.

I giorni che precedettero l’armistizio non furono utili al Governo Badoglio(9), che non fu in grado di organizzare una risposta concreta e coordinata delle FF. AA. italiane contro quelle tedesche, né agli Alleati che non pianificarono alcun tentativo di accelerare la risalita della penisola(10), né ai singoli reparti, i quali, nonostante l’abbattimento del regime, si trovavano ancora a combattere una guerra “fascista” che non andava più bene a nessuno, se non ai tedeschi(11). In sintesi, sia il vertice strategico-politico, sia quello strategico - militare(12) non furono in grado di pianificare, organizzare e condurre alcun tipo d’intervento, ad eccezione dello Stato Maggiore della Regia Marina che riuscì a far riparare nei porti cobelligeranti un’alta percentuale del naviglio militare italiano(13) ed in parte dello Stato Maggiore della Regia Aeronautica.
Immediatamente dopo la costituzione del Governo Badoglio, furono emanate disposizioni severissime per il mantenimento dell’ordine pubblico, in parte per timore di manifestazioni di varia provenienza politica, ma soprattutto per timore di possibili risposte degli apparati di partito e in particolare della Milizia all’arresto di Mussolini(14).

Il momento, che sarebbe stato estremamente critico per qualsiasi Stato e Governo, lo divenne ancor più per l’indecisione e la mancata coordinazione tra il Comando Supremo Alleato e il Governo italiano nella comunicazione dell’armistizio, appesantendo gravemente la posizione delle Forze Armate italiane. Infatti, la diffusione della notizia, battuta dalla Reuters alle ore 17.45 di quell’8 settembre, colse impreparato il vertice politico - militare italiano e costrinse il Maresciallo Badoglio a confermarla leggendo, alle successive ore 19.45, ai microfoni dell’E.I.A.R. il messaggio con il quale veniva comunicato a tutti gli italiani (Forze Armate comprese)(15) la firma dell’Armistizio(16).

4. La situazione militare a Roma

Nacque così la necessità di garantire la sicurezza delle principali installazioni e della città di Roma, alla cui difesa parteciparono almeno otto divisioni italiane contro tre tedesche. Nonostante la fiducia e l’animosità delle Unità italiane, non vi fu che una tardiva e superficiale attività di controllo e coordinamento del Comandante responsabile della difesa della Capitale. Anzi, nonostante lo slancio e l’efficienza offerta dai militari sul terreno nel difendere le posizioni e tenere sgombra dai tedeschi la Città eterna, il Generale Carboni, responsabile della difesa di Roma, dopo aver tentato inutilmente di seguire il Re e il Governo a Pescara e da lì imbarcarsi per Brindisi, dovette tornare indietro e disporre lo spostamento di alcuni reparti poiché “non era possibile difendere Roma”(17).
La difesa della Capitale era organizzata su due anelli concentrici. Il primo, all’esterno della città, era assicurato dalla divisione Piacenza e dal Corpo d’Armata motocorazzato (composto dalle divisioni corazzate Ariete e Centauro - ex Littorio -, Piave e Granatieri di Sardegna).

L’anello interno, invece, era formato dal Corpo d’Armata di Roma composto dalla divisione Sassari ed integrato dai reparti presenti all’interno del presidio (Genova Cavalleria, circa una ventina di battaglioni addestramento, i depositi reggimentali e le Forze di Polizia - Reali Carabinieri, Regia Guardia di Finanza, Polizia dell’Africa Italiana)(18) ed infine vi erano anche le divisioni di fanteria Re e Lupi di Toscana - sebbene incomplete - che, dalla sera dell’8, passavano alle dipendenze del settore di difesa (esterno) della Città Eterna. Erano dislocati sul litorale laziale, infine, gli elementi delle 220a e 221a divisioni costiere, suddivise in una molteplicità di piccoli distaccamenti.
Di contro, i tedeschi avevano a disposizione la 3a divisione corazzata stanziata nella provincia di Viterbo e la 2a divisione paracadutisti nella zona ad ovest–sudovest di Roma, compresa tra Pratica di Mare ed Ostia e reparti di paracadutisti aviotrasportati nella notte dalla Francia.
Questi furono gli schieramenti di forze dislocati attorno e dentro la Capitale(19).

5. La partecipazione dei Reali Carabinieri alla difesa di Roma

La divisione paracadutisti del Generale Heindrich, muovendo dalla zona tra Pratica di Mare ed Ostia, investì quella parte di Roma, compresa tra i quartieri della Magliana e di Tor Sapienza, che era tenuta dalla divisione Granatieri di Sardegna, schierata a difesa sin dalle ore 20.30 dell’8 settembre(20). L’impegno profuso dai Granatieri di Sardegna, sebbene avesse bloccato i paracadutisti tedeschi, non era sufficiente a contenerli e sconfiggerli; così, attorno alle 23.00, su richiesta dello Stato Maggiore Regio Esercito, venne disposto l’invio di Unità di rinforzo (un reparto della Polizia dell’Africa Italiana, unità minori dell’8° Reggimento Lancieri di Montebello e un Battaglione Allievi Carabinieri).
Alle ore 23.30, il 2° Battaglione Allievi Carabinieri - composto(21) da giovani allievi, carabinieri neopromossi e dagli ufficiali e sottufficiali d’inquadramento - strutturato su 3 compagnie(22), era pronto. Alle 23.45 era in movimento verso la Basilica di San Paolo, alla cui destra si attestò alle ore 00.30 del 9 settembre.

Il caposaldo n. 5, dislocato sulla via Ostiense, ponte della Magliana, era stato occupato dai tedeschi con uno stratagemma e la conseguente cattura della maggior parte dei Granatieri di Sardegna; se i tedeschi avessero conservato il controllo del caposaldo, sarebbero potuti entrare agevolmente nella città.
Il comandante del settore dispose lo spostamento del Battaglione Allievi Carabinieri nella zona della Magliana, per partecipare alla riconquista del caposaldo. Alle ore 05.00, il battaglione giunse al completo nella zona d’operazioni, e, unitamente ad un battaglione della Polizia dell’Africa Italiana ed al Reparto Esplorante Corazzato del Reggimento Lancieri di Montebello, attorno alle ore 06.00(23), iniziò l’attacco con i reparti sopraindicati insieme ad elementi del I e II battaglione Granatieri di Sardegna.

L’azione fu condotta con grande capacità, tanto che la massa nemica di 2.500/3.000 uomini fu costretta a spingersi verso il Tevere abbandonando il caposaldo n. 5 occupato alle ore 10.00. Quest’azione è stata ricordata così da un avversario: “ore 11 del giorno 9: un distaccamento di paracadutisti si trovava in seria difficoltà. I granatieri combattono splendidamente”(24).
Le unità impiegate rimasero nel settore di competenza a difesa del caposaldo, che veniva mantenuto anche dai Granatieri che erano stati liberati durante l’azione precedente. Allo stesso modo i Carabinieri continuarono a combattere riconquistando altro terreno e facendo numerosi prigionieri. La presenza in zona d’operazioni del 2° Battaglione Allievi durò sino alle 19.30 del 9 settembre, quando venne rilevato da un contingente di 200 Carabinieri del Gruppo Squadroni “Pastrengo”, appiedato, che rimase impegnato in numerosi scontri sino alla mattinata del 10 settembre, riuscendo a far desistere e ripiegare le unità paracadutiste tedesche(25).

Successivamente, giunse l’ordine di cessare il fuoco e lentamente i reparti italiani iniziarono a ripiegare verso la Capitale, sia pur a contatto con i tedeschi che continuavano a far fuoco, penetrando così nella Città Eterna.
Il Generale Carboni, “responsabile” della difesa di Roma, aveva, infatti, fatto sottoscrivere un accordo con le forze armate tedesche con il quale veniva mantenuta in servizio solamente una Divisione, la Piave, forte di non più di 4.000 uomini, con lo scopo di garantire l’esecuzione di servizi indispensabili all’interno della Capitale che veniva dichiarata “città aperta”.
L’accordo, siglato alle ore sedici del 10 settembre 1943, prevedeva appunto la cessazione delle ostilità(26).

6. L'operato dei Carabinieri

Mentre il Battaglione Allievi Carabinieri si stava spostando alla Magliana per partecipare alle operazioni di riconquista del caposaldo n. 5 a ridosso della via Ostiense, due squadre motorizzate di paracadutisti tedeschi tentarono, senza successo, l’infiltrazione tra le sua fila, venendo subito catturate.
Successivamente a questo primo contatto, il Battaglione si schierò sulle posizioni di partenza per investire il caposaldo n. 5, con la destra protetta dal Tevere e la sinistra dai reparti del “Montebello” e della P.A.I.
Il Battaglione si era dispiegato mantenendo sulla destra la 4a compagnia, sulla sinistra la 6a e al centro, leggermente più arretrata, la 5a compagnia.
Così, all’orario convenuto, il Battaglione Allievi Carabinieri iniziò le operazioni. L’immediato tiro dei mortai tedeschi sul Battaglione fu contrastato efficacemente dai mezzi dei Lancieri di Montebello, che agevolarono il movimento verso il caposaldo.
La 4a compagnia, su due plotoni avanzati e il terzo arretrato, investì frontalmente le posizioni nemiche, affiancata dalla 6a.
Dopo circa mezz’ora, gli avversari contrattaccarono, ma il comandante del Battaglione, percepito il pericolo, spostò la 5a compagnia tra il Tevere e la 4a, tamponando così il tentativo di penetrazione nel dispositivo.
Attorno alle ore 07.00, ripresero d’intensità i combattimenti, durante i quali perse la vita l’allievo carabiniere Alfredo Berasini, primo caduto dei numerosi militari dell’Arma che parteciparono alla difesa della Capitale.
Verso le 08.30, nell’incitamento degli allievi per l’attacco finale al caposaldo, cadde il Capitano dei Carabinieri Orlando De Tommaso e poco dopo, nella neutralizzazione di un centro di fuoco tedesco, venne colpito a morte anche il carabiniere Antonio Colagrossi.

L’azione di riconquista proseguì con decisione: il Battaglione conquistò poco dopo le 10.30 le posizioni nemiche.
I Carabinieri proseguirono nell’azione superando il caposaldo, liberando alcuni militari italiani precedentemente catturati, catturando a loro volta alcuni tedeschi e costringendo gli altri a ripiegare.
I tedeschi alzarono bandiera bianca e sfruttarono la sospensione del fuoco accordata da parte italiana riprendendo all’improvviso il fuoco.
Il combattimento si riaccese e le Unità italiane riuscirono a far arretrare i nemici, mantenendo le proprie posizioni.
In quest’ultima fase, si distinse l’operato del vicebrigadiere Giuseppe Cerini, il quale, dopo aver soccorso un altro militare gravemente ferito, riprese immediatamente il comando della sua squadra mitraglieri, con cui contrastò efficacemente gli avversari, neutralizzando due centri di fuoco, sino a quando, ferito in più parti del corpo, fu costretto a recarsi al posto di medicazione.
Al termine dell’intensa giornata di combattimenti, il Battaglione Allievi Carabinieri venne sostituito da un contingente di 200 uomini del Gruppo Squadroni “Pastrengo”(27), i quali per due volte respinsero gli attacchi dei paracadutisti tedeschi facendoli ritirare definitivamente.

Si concluse così la partecipazione diretta di unità organiche dell’Arma dei Carabinieri alla difesa di Roma ed iniziarono le attività del Fronte Clandestino di Resistenza.
Lo scontro con i paracadutisti tedeschi costò, complessivamente, ai Carabinieri Reali diciassette caduti e quarantotto feriti tra ufficiali, sottufficiali, appuntati, carabinieri ed allievi(28). Furono concesse (alla memoria) una Medaglia d’Oro ed una d’Argento al Valor Militare (Capitano Orlando De Tommaso e Carabiniere Antonio Colagrossi), una Medaglia d’Argento al Valor Militare a vivente (Vicebrigadiere Giuseppe Cerini), 3 Medaglie di Bronzo al V.M. e 25 Croci di Guerra al Valor Militare.

7. Conclusioni

È stato messo in evidenza da una parte della storiografia che la difesa di Roma fu “al limite della guerra regolare vera e propria diretta dall’alto e la guerra condotta localmente per iniziativa dei comandi dei reparti, in una parola, la guerra partigiana”(29).
In ogni caso, l’operato dei Carabinieri Reali, a conferma del carattere militare(30) dell’Istituzione, fu di indiscusso valore e disciplina come riconosciuto anche dagli avversari(31).

Approfondimenti:

(*) - Tenente dei Carabinieri, in servizio presso il Raggruppamento T.L.A. “Podgora”;
(1) - M.G. Vaccarino, La résistance au fascisme en Italie de 1923 á 1945, in European Resistance Movement - proceedings of the first International Conference on the History of the Resistance Movements held at Liege -Bruxelles - Breendonk 14-17 September 1958, Oxford, Pergamon Press, 1960, pagg. 69-95. Non si fa alcun accenno al contributo offerto dalle Forze Armate e dai singoli militari durante l’occupazione tedesca. Nello stesso senso, cfr. anche: R. Cartier, La Seconda Guerra Mondiale (trad. it.) - I edizione Oscar Biografie e storia -, vol. II, Milano, Arnoldo Mondadori, 1978, pagg. 239-242, mentre per un esame complessivo della valutazione del ruolo dell’Esercito regolare nella Resistenza e nella Guerra di Liberazione si rimanda a V. Ilari - F. Botti, Il pensiero militare italiano dal primo al secondo dopoguerra (1919-1949), Roma, Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, 1985, in particolare cap. VI - Le Forze Armate italiane di fronte alla guerra partigiana (1943-45), pagg. 339-404.
(2) - Si veda F. Parri - F. Venturi, The Italian Resistance and the Allies in European Resistance Movement - proceedings of the second International Conference on the History of the Resistance Movements held at Milan 26-29 March 1961, Oxford, Pergamon Press, 1964, pagg. xiii - xliii. Ad oltre dieci anni di distanza dagli eventi, gli autori fanno riferimento ad una partecipazione - molto limitata - di singoli militari italiani al movimento di resistenza, e particolarmente riferita al rientro alla spicciolata delle unità dalla Francia in Piemonte, nonché alla lotta partigiana in Jugoslavia e Grecia. Di tenore simile: G. Rochat - G. Massobrio, Breve Storia dell’Esercito Italiano dal 1861 al 1943, Torino, Einaudi, 1978, pagg. 306-313. In particolare, alla nota 22, gli autori ritengono che le Forze Armate, intese come militari di carriera, non parteciparono in numero significativo alla Resistenza, ma quanto meno riconoscono “la Resistenza […] patrimonio anche delle Forze Armate nella misura in cui queste sono espressione del paese”.
(3) - F. Parri - F. Venturi, ibidem, nota 25, si riporta di seguito il testo in versione originale “[…] because of difficulties of understanding and attitude or because their attempts at interference, pressure or their divisionary action”.
(4) - F. Parri - F. Venturi, ibidem, nota 25, si riporta il testo in versione originale “on the whole, their energy, their capacity, their often generous, sometimes heroic selfdenial, made their contribution especially valuable”.
(5) - Per alcuni fenomeni di contrasto agli scioperi e ad altre manifestazioni cfr.: G. Rochat, Duecento sentenze nel bene e nel male - i Tribunali militari nella guerra 1940-43, Udine, Gaspari Editore, 2002.
(6) - Che vi fossero preoccupazioni per possibili ripercussioni sull’ordine pubblico a seguito della destituzione di Mussolini emerge chiaramente dal discorso del senatore, generale Angelo Cerica, Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri all’epoca dei fatti, il quale, in occasione del quindicesimo anniversario della caduta del fascismo celebrato nel Senato della Repubblica il 25 luglio 1958, dichiarava che le Forze Armate furono in quei giorni fedeli al dovere nonostante “la presenza in Roma di ottomila militari tedeschi, e la presenza, nelle immediate vicinanze della città, di una divisione di camicie nere potentemente armate”; la dichiarazione continuava affermando che il segretario del partito fascista si adoperò attivamente affinché l’esecuzione degli ordini del re procedesse in perfetta regola e senza reazioni ed inconvenienti e che infine, fu possibile “scongiurare anche il ventilato intervento delle camicie nere attraverso una telefonata … al generale Galbiati” riportato in R. Perrone Capano, La resistenza in Roma, II vol., Napoli, Gaetano Macchiaroli Editore, 1963, vol. uno, pag. 44, nota 18.
(7) - La caduta del governo Mussolini fu accompagnata, com’è noto, dall’arresto dell’ex Presidente del Consiglio. L’operazione fu condotta dai militari dell’Arma del Gruppo Interno di Roma, il cui comando era retto dal Tenente Colonnello Giovanni Frignani. Mussolini fu detenuto prima presso la caserma sede della Legione Allievi Carabinieri, poi nelle isole di Ponza e La Maddalena e, mentre i tedeschi avevano già iniziato la pianificazione delle operazioni per la sua liberazione, fu tradotto in Abruzzo presso l’albergo a Campo Imperatore - il cui servizio di vigilanza era affidato a Carabinieri e PS - dal quale i paracadutisti del colonnello Otto Skorzeny lo liberarono con uno stratagemma. Per una lettura degli avvenimenti sotto un altro punto di vista si rimanda a: C. Zentner (a cura di), Der zweite Weltkrieg, Rastatt, Moewig, 1998.
(8) - Va ricordato che tra i vari provvedimenti, oltre a dichiarare lo scioglimento del Partito Nazionale Fascista ed illegale la sua eventuale ricostituzione, fu previsto che la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale diventasse parte dell’Esercito, con la nomina di un generale di quest’ultimo a comandante. Per una visione di carattere generale sull’evoluzione politica italiana ed alcuni aspetti riguardanti il periodo, S. Romano, Le Italie parallele, Milano, Tascabili degli Editori Associati, 1998, in particolare pagg. 96-112.
(9) - Tra gli aspetti di particolare importanza risalta la critica mossa, in particolare da Ivanoe Bonomi, che il nuovo governo italiano avrebbe commesso l’errore iniziale di dichiarare che la guerra sarebbe continuata, e avrebbe aggravato tale errore con la strana affermazione che la continuazione della guerra sarebbe avvenuta per fedeltà “alla parola data”, I. Bonomi, Diario di un anno (2 giugno 1943 - 4 giugno 1944), Milano, Garzanti, 1947, pag. IX riportato in R. Perrone Capano, op. cit., vol. uno, pagg. 58 ss.
(10) - Gli Alleati avevano promesso, all’atto della stipula dell’armistizio, l’arrivo di una divisione di paracadutisti a Roma per mantenere la città libera dai tedeschi e congiungersi alle forze italiane, ma “the American General Taylor, of the 82nd Airborne Division, was sent to Rome on September 7. His secret mission was to arrange with the Italian General Staff for the airfields around the capital to be seized during the night of the 9th. But the situation had radically changed since Castellano had asked for Allied protection. The German had powerful forces at hand, and appeared to be in possession of the airfields. The Italian Army was demoralised and short of ammunition. Divided counsels seethed round Badoglio. Taylor demanded to see him. Everything hung in the balance. The Italian leaders now feared that any announcements of the surrender, which had already been signed, would lead to the immediate German occupation of Rome and the end of Badoglio Government. At two o’clock on the morning of September 8 General Taylor saw Badoglio, who, since the airfields were lost, begged for delay in broadcasting the armistice terms. He had in fact already telegraphed to Algiers that the security of the Rome airfields could not be guaranteed. The air descent was therefore cancelled”; cfr.: W. Churchill, The Second World War, London, Cassell & Co., 1952, VI vol., vol. V, pagg. 96-101.
(11) - I tedeschi avevano ben chiaro l’intendimento dell’Italia, visto anche che, il 6 agosto 1943, a Tarvisio, vi fu un incontro tra i Ministri degli Affari Esteri nonché dei Capi di Stato Maggiore di Italia e Germania circa la conduzione della guerra in atto e che il Ministro degli Esteri, Raffaele Guariglia, avrebbe dichiarato: “Se la Germania pensava di occupare l’Italia e di forzare la mano al nostro popolo, essa si sarebbe trovata in paese nemico con tutte le conseguenze che da una tale situazione avrebbero potuto derivare alle truppe operanti nel nostro territorio”, R. Guariglia, Ricordi 1922-1943, Napoli, E.S.I., 1950, pag. 629, riportato in R. Perrone Capano, op. cit., vol. uno, pag. 69. Ciò è indice del fatto che i vertici militari potevano avere comunque sentore della volontà politica che si stava formando ed avrebbero potuto intraprendere - d’iniziativa - una pianificazione d’impiego delle Unità in una situazione che iniziava a profilarsi come estremamente delicata.
(12) - Il vertice strategico-militare era composto dallo Stato Maggiore Generale, responsabile per le operazioni fuori dal territorio metropolitano, e dagli Stati Maggiori di Forza Armata. Lo Stato Maggiore Regio Esercito manteneva il comando sulle Forze terrestri in Italia. Per un’analisi delle responsabilità attribuite al vertice strategico - militare, cfr.: Centro Studi Associazione Nazionale Granatieri di Sardegna (a cura di), La difesa di Roma e i Granatieri di Sardegna nel settembre 1943, Stato Maggiore dell’Esercito, Roma, 1993.
(13) - Il 64,74% del totale riparò principalmente nel porto di Malta. Questo dato insieme al 24,57% autoaffondato e al 10,68% affondato dai tedeschi nelle operazioni di trasferimento, evidenzia come rimase nelle mani dei tedeschi lo …. 00,01%! Dati riportati, insieme ad una visione generale delle Forze Armate in quei momenti, in C. Paoletti, Gli italiani in armi - cinque secoli di storia militare (1494 - 2000), Roma, Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, 2001, pagg. 597-600.
(14) - Circolare Roatta, riportata anche in G. Rochat - G. Massobrio, op. cit., pagg. 297-8; cfr. anche: R. Perrone Capano, op. cit., vol. uno, pag. 56, nota 27. Per una interpretazione degli avvenimenti del tutto diversa cfr.: G. Rochat, Duecento sentenze nel bene e nel male - i Tribunali militari nella guerra 1940 - 43, Udine, Gaspari Editore, 2002, pagg. 48-50.
(15) - Furono emanate delle direttive, poco comprensibili e a dir poco intempestive che non giunsero in tempo ai Comandi, o quei pochi che le ricevettero ebbero grossissimi problemi nell’applicazione perché presi completamente alla sprovvista. Cfr., uno per tutti: Centro Studi Associazione Nazionale Granatieri di Sardegna (a cura di), La difesa di Roma e i Granatieri di Sardegna nel settembre 1943, Stato Maggiore dell’Esercito, Roma, 1993.
(16) - Il testo del messaggio è il seguente: “Il Governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, Comandante in Capo delle Forze Alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse, però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.
(17) - Sull’atteggiamento tenuto da Carboni nella circostanza, numerose fonti hanno espresso considerazioni di tenore negativo. Il Carboni, all’indomani del secondo conflitto mondiale, pubblicò un libro di autodifesa. Nelle riforme repubblicane della disciplina militare (D.P.R. 31.10.1964 - che abroga il Regolamento di Disciplina del 1929 - e legge 11 luglio 1978, n. 382 e D.P.R. 16 luglio 1986, n. 545 recante “approvazione del Regolamento di Disciplina Militare”), al fine di evitare analoghi episodi, è stato espressamente previsto tra i doveri di tutti i militari, il dovere di agire d’iniziativa; in particolare l’art. 13 del Regolamento del 1986 prevede questo dovere “quando manchi di ordini e sia nell’impossibilità di chiederne o di riceverne o quando non possa eseguire per contingente situazione quelli ricevuti quando siano chiaramente mutate le circostanze che avevano determinato gli ordini impartiti”.
(18) - A Roma, al momento dell’armistizio, le forze di polizia contavano circa 18.000 uomini: 9.000 carabinieri (Divisione Carabinieri Reali Podgora, su Legione Roma, Legione Lazio e Legione Allievi) e 2.600 finanzieri (di cui impiegabili rispettivamente 4.000 e 1.400), più 1.300 agenti PAI con carri L e 16 autoblindo, 1 battaglione mobile di PS e 5.000 metropolitani (militarizzati da Badoglio il 10 agosto 1943). Sui reparti presenti in Roma anche Centro Studi Associazione Nazionale Granatieri di Sardegna (a cura di), op. cit. pag. 93.
(19) - Per un quadro complessivo del periodo, cfr. C. Paoletti, Gli italiani in armi - cinque secoli di storia militare (1494 - 2000), Roma, Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, 2001. Per una narrazione generale delle vicende che colpirono Roma, si veda anche R. Perrone Capano, op. cit.
(20) - Quindi dopo ben quarantacinque minuti dalla lettura dell’annuncio alla radio italiana le unità italiane intorno alla Capitale erano attestate a difesa e pronte a reagire. Già questo dato basterebbe a confutare l’ipotesi della indifendibilità di Roma.
(21) - Sono stati indicati in 600 [Circa (n.d.r.)] i militari del 2° Battaglione Allievi Carabinieri, G. Mastrobuono, Generale, Le FF.AA. italiane nella resistenza e nella Guerra di Liberazione, Roma, tipografia di Casamari, 1965, pag. 74. Il numero trova conferma anche in una pubblicazione antecedente che attribuisce una forza di 750 militari tra i sottufficiali, gli appuntati e carabinieri e gli allievi del battaglione impegnato nelle attività, dei quali 660 sono indicati come allievi (media annuale) vedi Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri Reali, Scompartimento Territoriale dell’Arma dei Carabinieri Reali, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato - Libreria, 1932, pagg. XVIII-XIX. Grazie alla pubblicazione ed all’analisi della tabella organica della Legione Carabinieri Reali e sia pur considerando gli allievi presenti anziché come media annuale come forza impiegabile al momento, in linea teorica e mancando di ulteriori elementi, si potrebbe affermare che vi erano disponibili 1823 tra sottufficiali, appuntati, carabinieri ed allievi inquadrati nella Compagnia Comando, nel 1° e 2° Battaglione e nel Gruppo Squadroni della medesima Legione con 66 quadrupedi, di cui 26 da tiro.
(22) - Comandante del Battaglione era il Tenente Colonnello Arnaldo Frailich, già combattente nel primo conflitto mondiale e decorato di una Medaglia d’Argento e di una di Bronzo al Valor Militare, mentre Comandanti di Compagnia erano il Capitano Orlando De Tommaso (4a), il Capitano Franz Colella (5a) e il Tenente Domenico Maglione (6a).
(23) - Così: Centro Studi Associazione Nazionale Granatieri di Sardegna (a cura di), La difesa di Roma e i Granatieri di Sardegna nel settembre 1943, Stato Maggiore dell’Esercito, Roma, 1993; ma non tutti sono concordi nell’indicare l’ora, ad esempio: A. Ferrara, Gen. Div. (a cura di), I Carabinieri nella resistenza e nella guerra di liberazione - Roma, Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri, 1978, pag. 11, indica le ore 05.40.
(24) - E. Dollmann, Roma nazista, Milano, 1949 rip. in: Centro Studi Associazione Nazionale Granatieri di Sardegna (a cura di), op. cit., pag. 142. è evidente che il colonnello Dollmann quando scrisse quella frase non sapeva che i tedeschi avevano di fronte non solo Granatieri di Sardegna, ma PAI, Lancieri di Montebello e Carabinieri Reali.
(25) - Il Generale Filippo Caruso, nel corso dell’orazione pronunciata in Napoli il 26 gennaio 1949 in onore della memoria del Vicebrigadiere Salvo D’Acquisto, riferì quanto segue sui fatti dei giorni successivi all’armistizio dell’8 settembre: “tre battaglioni di carabinieri si succedettero nel combattimento di quei giorni alla Magliana, fuori Porta San Paolo ed in via dei Trionfi per la difesa della Città Eterna. Ed attorno e dentro le sue mura pattuglie di carabinieri e carabinieri isolati sacrificarono la vita per fronteggiare, a tutela della popolazione, la tracotanza della soldataglia teutonica, che, ebbra di vendetta, e di strage occupava l’Urbe”, F. Caruso (a cura di), L’eroe di Palidoro vicebrigadiere Salvo D’Acquisto, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1949, rip. in R. Perrone Capano, op. cit., vol. uno, pag. 100.
(26) - Più correttamente si potrebbe parlare di quella forma di armistizio - detto anche “città aperta” - con il quale i tedeschi fecero accettare la presenza all’interno della Capitale di una sola divisione - la Piave - fornita solamente di armamento leggero e con compiti di ordine pubblico. Si riporta il testo completo del comunicato dell’agenzia di informazioni “Stefani” relativo all’armistizio: “Le trattative iniziate ieri fra le autorità militari italiane e tedesche si sono concluse il 10 settembre alle ore sedici con l’accettazione di un accordo secondo il quale viene stabilito che le truppe tedesche devono sostare ai margini della città libera di Roma, salvo l’occupazione della sede dell’ambasciata di Germania, della Stazione Radio “Roma I” e della centrale telefonica tedesca. Sua Eccellenza il generale Calvi di Bergolo, nominato comandante della città aperta di Roma, avrà alle sue dipendenze una Divisione di Fanteria per il mantenimento dell’ordine pubblico, oltre tutte le forze di polizia. I Ministri rimangono in carica per il normale funzionamento dei rispettivi dicasteri”.
(27) - Comandante del Gruppo Squadroni Tenente Colonnello Gaetano Russo, Comandante di Squadrone Capitano Michele Ippolito.
(28) - Per questi dati si rinvia, oltre al più recente G. Oliva, Storia dei Carabinieri - dal 1814 a oggi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2002, pag. 202, a: A. Ferrara, Gen. Div. (a cura di), I Carabinieri nella resistenza e nella guerra di liberazione - Roma, Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri, 1978, pagg. 9-13 ed anche a: Museo Storico dell’Arma dei Carabinieri, collana Per non dimenticare, 1943. I Carabinieri alla difesa di Roma, Roma, Istituto Grafico Editoriale Romano, 1993, pag. 23. Altre fonti riportano un diverso numero di militari caduti e feriti.
(29) - R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, Torino, 1954, pag. 89 riportato in G. Oliva, op. cit., pag. 202.
(30) - Regolamento Organico per l’Arma dei Carabinieri Reali - approvato con R. D. 1169 del 14 giugno 1934 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 175 del 27 luglio 1934 - capitolo I, art. 1 “I carabinieri Reali fanno parte dell’esercito di cui sono la prima arma con le speciali loro prerogative, e, in caso di guerra, concorrono con le altre truppe alle operazioni militari. […].
(31) - E. Dollmann, nell’aprile 1946, in uno dei manoscritti da lui redatti per i servizi segreti inglesi sulle vicende politico-militari da lui vissute in Italia, scriveva a sua volta - in merito alla situazione della città di Roma in quei giorni: “Le sei divisioni italiane a disposizione del generale Carboni rappresentavano una entità di gran lunga superiore alle forze su cui poteva contare nei primi giorni Kesselring. La divisione paracadutisti - dislocata a Pratica di mare - non aveva piú di 8000 uomini, senza carri armati e senza artiglieria pesante. La divisione granatieri del gen. Graeser (pressi di Lago di Bracciano) disponeva di circa 8000 uomini; alcuni reparti erano ancora in via di trasferimento. Non era una divisione corazzata, ma disponeva semplicemente di un distaccamento corazzato di esplorazione (una trentina di mezzi circa). A tali forze si potevano aggiungere: piccoli distaccamenti (presidi di varie località), il presidio del Quartier generale e gli uomini a disposizione di Kappler e di Skorzeny (non oltre 200 uomini). Ma mentre le truppe germaniche potevano vantare una disciplina ed inquadramento perfetti, ed ogni uomo era animato dal desiderio di tutto osare contro i “traditori italiani”, le truppe italiane (eccezion fatta di talune unità il cui comportamento fu brillante: granatieri, carabinieri) rappresentavano una massa disordinata, alla quale mancava una fede e che, soprattutto, non disponeva di un capo. Ad un Kesselring (popolarissima figura di soldato, che tutti ammiravano) gli italiani non potevano opporre che un generale Carboni” (ASMAE, D. Grandi, b. 148, fasc., 197, sottof. 1), riportato in R. De Felice, Mussolini 1940-1945, 4 CD-Rom, Torino, Einaudi - Mondadori, 2001, Mussolini l’alleato, II La guerra civile (1943-1945) II. La catastrofe nazionale dell’8 settembre, 5. Considerazioni sulla fuga del Re e sulla mancata difesa di Roma, nota 26.