I carabinieri finti camorristi

Alle Assise di Viterbo il capitano Fabbroni depone durante il processo Cuocolo. (Da ' L'Illustrazione italiana '- del 23 luglio 1911)
Pochi delitti, forse, hanno tanto impressionato e tenuta desta per mesi e mesi la curiosità del pubblico quanto quello commesso dalla camorra napoletana sui coniugi Cuocolo.

Di questo duplice assassinio si è parlato senza posa in tutto questo periodo di attive e febbrili ricerche ed oggi, in seguito agli arresti effettuati dai carabinieri, fra cui quello di Enrico Alfano, detto l'Erricone, si è potuto finalmente ricostruire interamente come questa terribile vendetta dell' «Onorata Società» si svolse.

Questo duplice assassinio commesso il 6 giugno del 1906, in circostanze misteriose, che avevano tutti i caratteri della vendetta della malavita, era rimasto impunito per otto mesi, e la gente che la questura aveva incolpata era stata riconosciuta innocente dall'autorità giudiziaria, e quindi scarcerata.

Tra i prosciolti, per insufficienza di indizi, erano Enrico Alfano, capo della «Onorata società», detto Erricone; il prof. Rapi, un avventuriero, cognito nei bassi fondi di Napoli, di Montecarlo e altrove, e qualche satellite minore, presunto componente la segreta ma implacabile corporazione dei camorristi.

L'opinione pubblica, dopo la scarcerazione di costoro, rimase turbatissima.

La cosa parve così grave, che il potere centrale, sollecitato dalla magistratura locale, mandò ispezioni speciali alla questura di Napoli. Intanto i reali carabinieri di Napoli, per opera specialmente di un intelligentissimo e audacissimo maresciallo, il Capezzuto, iniziava indagini per proprio conto e, attraverso una serie infinita di vicende, che farebbero fortuna in un romanzo fantastico di Conan - Doyle, il Capezzuto riusciva ad impadronirsi della verità e degli autori del misterioso delitto. Naturalmente occorsero molto tempo, molta segretezza, e più tardi l'opera di molti carabinieri. Costoro, fingendosi allievi della mala vita, riuscirono a penetrare nelle adunanze più segrete dei malviventi, si prestarono a furti, a borseggi, a «dichiaramenti» ed appostamenti, per modo che taluni di essi si accattivarono la fiducia financo dei più sospettosi tra i capi dell'associazione delittuosa; anzi, uno di questi carabinieri tenne a cresima perfino il figlio di un furfante matricolato. E la conseguenza di tutto ciò fu l'arresto di una ventina di camorristi e di qualche femmina perduta, fra i quali il vicepresidente della camorra, tal Gennaro De Marinis, detto il mandriere, perché in gioventù egli conduceva mandrie di buoi all'ammazzatoio.

Il processo Cuocolo si concluse l'8 luglio 1912, dopo 16 mesi di dibattimento e 285 udienze. I testimoni escussi furono 652 e le loro deposizioni occuparono 7 mesi; la più lunga fu quella del capitano dei Carabinieri Fabbroni, che impegnò 18 sedute e venne raccolta in 530pagine di verbale. Gli imputati furono condannati complessivamente a 348 anni di reclusione. (Da ' L'Illustrazione Italiana ' del 14 luglio 1912)

Il mandriere fu certo il principale accusatore di Gennaro Cuocolo, in un terribile alto tribunale, riunitosi, ai primi di giugno dell'anno ultimo, in una catapecchia di Capodichino. Il mandriere accusò Cuocolo di tradimento consumato nel modo seguente: i Cuocolo, oltre ad essere basisti, cioè gente che, per aver rapporti con l'agiata borghesia ed aspetto signorile, frequentava molte case ben provviste, e poteva dare ai ladri le basí di un pingue furto, erano anche ricettatori della refurtiva. Ora nella spartizione del bottino, essi volevano la parte del leone e pretendevano di acquistare per poco denaro la parte altrui. Costoro finirono per ribellarsi, e da ciò dissidi frequenti tra i compagni di avventure e il giudizio pronunziato contro i Cuocolo, giudizio di morte violenta.

Dell'esecuzione della sentenza furono incaricati, sotto la sorveglianza del mandriere, quattro affiliati, due in Napoli, due in Torre del Greco, dove Gennaro Cuocolo venica attratto in quei giorni, col pretesto che doveva iniziare gli studi per un grosso furto a una famiglia danarosa d'industriali. Cosicché, mentre il marito veniva accoppato a Torre del Greco, la moglie veniva visitata da due figuri di sua conoscenza nella casa in Napoli, in via Nardones, e spenta prima che potesse mandare un grido. Dopo di che. tutto quanto vi era di prezioso in casa fu asportato.

Mentre a Torre del Greco avveniva il delitto contro il Cuocolo, gli ex-suoi compagni attendevano l'esito dell'«affare» nella vicina osteria di «Mimì a Mare». I commensali erano al colmo dell'allegria, quando si presentò un compagno a dire che I'«affare era fatto». Allora tutti si Squagliarono, e il delitto penetrò nell'ombra dalla quale ora i carabinieri l'hanno tratto.

(Da "La Tribuna Illustrata" del 14 luglio 1907)