Moschetto automatico Beretta 38/A: L'ARMA DI CULQUALBER (A.O.I.)

Moschetto automatico Beretta 38, comunemente conosciuto con la sigla M.A.B. 38/A, in dotazione ai Carabinieri che resistettero a Culqualber.
La Fabbrica d'Armi Beretta di Gardone Val Trompia si dedicò allo studio per la realizzazione di un suo modello di moschetto sin dal 1918, ma con sistema semiautomatico (come quello delle pistole, per intenderci), sinché gli sforzi nel settore raggiunsero risultati addirittura superiori al progetto iniziale, grazie sempre alla competenza ed all'intuito dell'ingegnere capo progettista Tullio Marangoni, che nel 1938 dette corpo ad un'arma leggera completamente automatica, la quale venne omologata dall'Ispettorato di Artiglieria nel giugno di quell'anno con l'appellativo di modello 38. Il nuovo moschetto si distingueva esteticamente per il cospicuo manicotto di raffreddamento della canna, munito di fori oblunghi, e dal deflettore di volata con unico taglio, che faceva anche da freno di bocca. L'arma iniziò subito ad essere prodotta, ma altrettanto rapidamente venne modificata nella versione definitiva con il nome di M.A.B. 38/A, detta anche modello 1, che venne distribuito ad alcuni reparti del Regio Esercito nei primi mesi del 1941.

Lo ebbero in dotazione anche singole unità dei Carabinieri Reali per servizi particolari di vigilanza, specialmente in Africa, come del resto la polizia coloniale (P.A.I.), ma anche gli Agenti di Pubblica Sicurezza e la Milizia; fu impiegato altresì dalle truppe tedesche, le quali peraltro lo trovarono eccellente. La produzione, interrotta nel 1944, riprese nel 1949 e durò sino al 1954. In questa fase l'arma entrò a pieno titolo nelle dotazioni dei Carabinieri.


Disegno del moschetto automatico Beretta 38
Brevemente, le caratteristiche tecniche del M.A.B. 38/A erano le seguenti: canna calibro 9 mm. lungo, con sei righe destrorse elicoidali a passo costante; scatola di culatta, contenente l'otturatore, tubolare avvitata da un lato alla canna e dall'altro chiusa con un tappo ad incastro; sulla destra era ricavata una fresatura per il movimento della manetta d'armamento, a sinistra una feritoia consentiva l'espulsione dei bossoli; chiusura a massa, cioè l'otturatore spinto dalla molla di recupero chiudeva l'arma sino all'uscita del proettile dalla canna, poi i gas residui mandavano nuovamente indietro l'otturatore espellendo contestualmente il bossolo della cartuccia sparata e a questo punto la molla rispingeva continuando il ciclo; otturatore con estrattore a lamina e percussore mobile; congegno di scatto con due grilletti rispettivamente per il tiro singolo ed a raffica; leva di sicurezza a sinistra della scatola di culatta a bloccare i grilletti, ma non l'otturatore, per cui il maneggio dell'arma richiedeva molta attenzione in quanto, se percossa dalla parte del calcio, l'otturatore camerava la cartuccia facendola esplodere accidentalmente; caricatore prismatico in lamiera d'acciaio, con elevatore a molla spirale, inseribile da sotto la cassa in un'apertura protetta da un coperchio scorrevole.