Carabina e fucile leggero piemontesi a pietra focaia, modello 1814

Carabiniere a piedi con fucile a pietra focaia 1814.
Sono le armi più preziose per vetustà e significato storico. Furono date in dotazione al Corpo dei Carabinieri Reali, a meno di un mese dalla sua istituzione, con le citate Determinazioni Sovrane del 9 agosto 1814, norma XI, riprodotte a pagina 31. Particolarmente importante è la carabina, perché, proprio da essa, il Corpo fu denominato "dei Carabinieri", cioè "dei portatori di carabina". Invero la voce "carabiniere" già esisteva nelle milizie piemontesi, nel senso etimologico di "portatore di carabina". Nel 1790 era un grado e stava fra il brigadiere e il soldato. Ma "tutt'altro che oziosa - scrive Antonio Monti ne I Carabinieri nella storia e nella vita d'Italia - è la questione: per qual motivo, formandosi il Corpo dei Carabinieri non sia stata mantenuta la denominazione di Gendarmeria. La ragione principale è che Vittorio Emanuele I, essendo stato tenuto esule dal Piemonte per 15 anni, nutriva avversione per tutto ciò che gli ricordasse il dominio francese per lui usurpatore. Una ragione più semplice forse, e più aderente alla realtà delle cose, è da ricercarsi nell'arma consegnata al Corpo, la carabina".

Altri storici non hanno dubbi in merito: "Le origini dell'Arma risalgono al XIX secolo. Ebbero il loro nome dal portare la carabina che era allora l'arma caratteristica dei reparti scelti" (Mario Murat - Il Carabiniere. Storia del Corpo). Sia la carabina, sia il fucile leggero, sono di chiara derivazione dal fucile francese mod.1777, a pietra focaia, ad avancarica e canna ad anima liscia. Nel 1800, infatti, a seguito dell'annessione del Piemonte alla Francia, la fabbrica d'armi piemontese di Valdocco divenne Manufacture Imperiale e cominciò a produrre il fucile mod. 1777.


Fucile leggero a pietra focaia ad avancarica in dotazione ai carabinieri a piedi sin dalla loro origine.
Tale produzione continuò nel 1814, dopo la definitiva caduta di Napoleone, se non altro al fine di utilizzare le giacenze di materiale impiegato per la fabbricazione del citato fucile francese; nel contempo, però, furono utilizzati anche i materiali già in uso per la fabbricazione di fucili di modello piemontese. Nacquero così il fucile e la carabina piemontesi a pietra focaia 1814. La carabina fu prodotta in due versioni: una da artiglieria, lunga; l'altra da cavalleria, corta. Quest'ultima fu adottata dalla cavalleria leggera e dai carabinieri a cavallo. Anche il fucile fu distribuito in due versioni: da fanteria, lungo e pesante, e da cacciatori, più corto e più leggero, in dotazione ai carabinieri a piedi. Esaminiamo le due armi, per mettere in evidenza, seppure in modo volutamente sommario, le loro caratteristiche.

Prima quelle comuni alle due armi, poi quelle tipiche di ciascuna di esse. Sono entrambe a pietra focaia (detta focile, da cui il nome attribuito a questo tipo di arma), ad avancarica. La cassa è di legno di noce, molto comune in Piemonte. Su di essa sono alloggiate le due parti principali dell'arma, la canna e la piastra a pietra focaia. La prima è ad anima liscia, forgiata riducendo a lamina il ferro, poi arrotolato ad un mandrino e saldato bordo a bordo per avvicinamento. É quindi un tubo, rinforzato e chiuso nella parte inferiore, la culatta, ove veniva posta la carica di lancio. Nella culatta c'è un foro, il focone, che mette in comunicazione la carica di lancio con la piastra a pietra focaia.


Carabiniere equipaggiato con zaino, coperta e con quella che oggi corrisponde alla gavetta. A destra, un dettaglio del fucile leggero mod. 1814.
La piastra è tenuta in sito da due viti che si appoggiano sulle parti terminali della contropiastra, a forma di S, incastrata nella parte opposta, lato sinistro, della cassa. Il cane è tenuto in posizione alzata da un sistema di perno a piolo, comandato dal sottostante grilletto. In corrispondenza dell'angolo di caduta del cane, c'è il bacinetto, specie di cucchiaino, su cui veniva deposto il polverino da innesco. Sul bacinetto si apre il focone della canna, e quindi il polverino del bacinetto risulta in comunicazione con la carica di lancio. Il bacinetto è coperto dalla batteria, una lastrina di acciaio dolce a forma di L, la cui parte verticale costituisce la martellina e la parte orizzontale il copribacinetto.

La batteria è tenuta sul bacinetto da una molla che spinge verso l'alto una coda sporgente dal braccio orizzontale della L. Il funzionamento di accensione è semplice: premendo il grilletto, il cane, sospinto dalla molla, ruota in avanti. La pietra focaia striscia contro la martellina, provocando delle scintille e la rotazione della batteria sul suo perno. Si scopre il bacinetto e le scintille determinano l'accensione del polverino posto nel bacinetto stesso. Tramite il focone, la fiammata raggiunge la carica di lancio ed avviene lo sparo. Sotto la canna, dentro la cassa, è sistemata la bacchetta. Si tratta di un'asta di acciaio, la cui parte superiore, che sporge all'esterno, più grossa e con la base piatta detta capocchia o testa, veniva usata per comprimere nella culatta della canna la carica di lancio, gli stoppacci e la palla. La parte inferiore della bacchetta è a vite, sia per potersi avvitare nel fondo del foro della cassa, sia per potervi fissare gli accessori per pulire la canna. Alcune fascette di metallo (ottone per i Carabinieri) avvolgono la cassa, la canna e la bacchetta, tenendo questi tre elementi strettamente legati l'un all'altro. Infine vi è la baionetta del tipo detto "alla Vauban", costituita da un manico in ferro, traforato cilindricamente per inguantare la canna nella parte superiore e dalla lama, in acciaio, di forma triangolare. Nella canna c'è un piccolo ritegno di ferro che va ad incastrarsi in uno spacco del manico della baionetta.

Una ghiera - cerchietto di ferro che avvolge il manico della baionetta - assicura il fissaggio della baionetta alla canna. L'impiego di questo tipo di arma dava luogo a parecchi inconvenienti: caduta della polvere da sparo contenuta nel bacinetto, mancata deflagrazione per cattivo funzionamento, ed altri ancora, tra cui il più grave era costituito dalla quasi impossibilità di usare l'arma con la pioggia che inumidiva la polvere impedendone l'accensione. La carabina mod. 1814 reca, fissato sulla contropiastra, un anello detto "portamoschetto" tramite il quale veniva agganciata alla "rangona", specie di bandoliera indossata dal carabiniere a cavallo, di cui si è detto a pag. 17. In tal mo o il militare poteva recare con sé l'arma reggendo nelle mani le briglie del cavallo. Il Corpo dei Carabinieri Reali ebbe in dotazione il fucile e la carabina mod. 1814 fino al 1833.