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Non tutti sanno che...

EVEREST (Partecipazione dei Carabinieri alla Spedizione Italiana del 1973)


Spedizione Everest 1973: una veduta del campo 1 a quota 6.100.Impresa di risonanza mondiale della quale fecero parte anche cinque militari dell'Arma: il capitano Fabrizio Innamorati, del Battaglione Carabinieri Paracadutisti, e i carabinieri Ivo Nemela, Enrico Schnarf, Gualtiero Seeber, Giuseppe Cheney, tutti del Centro Carabinieri Addestramento Alpino di Selva di Vai Gardena (Legione di Bolzano).
La Spedizione partì in aereo alla volta del Nepal tra la seconda metà di gennaio e i primi di febbraio 1973. Dei 63 componenti, 52 erano militari, rappresentanti delle tre Forze Armate, tra i quali appunto i cinque carabinieri citati.
Si trattò della più impegnativa spedizione himalaiana sino allora attuata. Concepita e guidata da Guido Monzino, essa fu organizzata dal Ministero della Difesa, che fornì il supporto logistico, le attrezzature, i mezzi di trasporto (aerei ed elicotteri) e di collegamento. La selezione degli uomini e la loro preparazione fu improntata alla maggiore severità.

Oltre che per il numero rilevante dei componenti, la Spedizione si differenziò dalle precedenti perché gli alpinisti erano quasi tutti militari e perché disponeva di un nucleo di medici incaricati di effettuare studi accurati sulla fisiologia umana ad altissima quota. Kathmandu fu la base logistica principale della spedizione e da essa i componenti, ancora in aereo, mossero alla volta di Lukla, località posta a 2.800 metri di altitudine, da dove il 13 febbraio ebbe inizio la lunga marcia. Al capitano Innamorati era stata affidata, tra l'altro, la direzione dei rifornimenti e dei trasporti, che lo impegnò a fondo sino al termine dell'impresa.

Le prime difficoltà si presentarono a causa delle intense nevicate, che rallentavano il cammino, e per una pesante defezione dei portatori originata dalle persistenti avverse condizioni del tempo che, peraltro, impedirono il regolare, prezioso apporto degli elicotteri. Nonostante ciò, la spedizione riuscì a portarsi, con tutti i pesanti carichi di materiale, a Gorakshep, a quota 5.150. Da qui si spostò il 20 marzo e raggiunse quota 5.360, dove venne allestito il campo base.
Quattro giorni dopo, un primo gruppo di 6 alpinisti, tra i quali il carabiniere Cheney, iniziò l'esplorazione dell'Ice Fall (Cascata di ghiaccio), toccando quota 5.700. Le difficoltà furono enormi, perché il percorso si presentò irto di ostacoli: voragini nascoste, torri di ghiaccio estremamente instabili, crepacci che richiesero il superamento in acrobazia. Non per nulla la "Cascata di ghiaccio" è considerata la chiave per poter accedere alle quote superiori.

Spedizione Everest 1973: una fase ricognitiva del 'Ice Fall', considerato il passaggio più difficile ed impegnativo della catena dell'Everest.Il 28 marzo si svolse la più massiccia operazione alpinistica mai prima effettuata: 19 componenti, tra i quali il capitano Innamorati e i carabinieri Schnarf, Seeber e Cheney, con 62 sherpa, superarono l'Ice Fall e raggiunsero quota 6. 100 allestendo il campo 1.
Rientrati alla base, due giorni dopo, gli stessi militari dell'Arma con altri 4 componenti e 55 sherpa, ripeterono il tragitto allo scopo di completare il trasporto delle derrate e dei materiali necessari per i campi successivi.

Il 31 marzo tre militari dell'Arma si spinsero fino a quota 6.500, ove impiantarono il campo 2, che avrebbe funzionato da base avanzata e vi installarono l'ultimo apparato radio fisso, effettuando felicemente i primi collegamenti con il campo base, al quale si riportarono alcuni giorni dopo. Il percorso sull'Ice Fall divenne ora quasi familiare agli alpinisti italiani, i quali superarono anche la prova psicologica, non meno improba di quella fisica, riuscendo a realizzare un collegamento di determinante efficacia tra i campi sino a quel momento approntati. L'opera di rifornimento, lenta ma costante, fu il presupposto indispensabile al buon esito dell'operazione. L'11 aprile venne allestito il campo 3, a quota 6.930. Una settimana dopo fu la volta del campo 4, a quota 7.450, che venne rinforzato dopo estenuanti fatiche, e quindi del campo 5 a quota 7.985.

Si facevano sentire intanto i primi sintomi della prolungata permanenza ad alta quota col determinarsi di diffusa insonnia e inappetenza. Inoltre le condizioni meteorologiche diventarono estremamente avverse ostacolando i rifornimenti ai campi 4 e 5. Quest'ultimo era posto sul "Colle Sud" detto anche la Porta dell'Everest.

Nel frattempo si procedette indicativamente alla formazione delle cordate per l'assalto alla vetta. Vennero designati a farne parte sedici componenti, dei quali tre militari dell'Arma. A capo di una delle cordate venne posto il capitano Fabrizio Innamorati. Ai carabinieri Nemela e Seeber venne invece affidato il compito di assicurare i collegamenti fra i campi alti e il campo 2. Da quest'ultimo, alle ore 10 del 28 aprile partirono le prime due cordate d'attacco alla cima. La prima cordata era composta dal sergente degli Alpini Mirko Minuzzo e Rinaldo Carrel e dagli sherpa Tenzing e Tamang; la seconda cordata era composta, oltre che dal capitano Innamorati, dal maresciallo degli Alpini Virginio Epis, dal sergente maggiore degli Alpini Claudio Benedetti e dallo sherpa Gyaltzen. Purtroppo, le condizioni atmosferiche non favorevoli e la neve fresca rallentarono l'ascesa. Il 30 aprile la prima cordata raggiunse il campo 5 (Colle Sud); la seconda si attestò, come da programma, al campo 4. Venti fortissimi e continue nevicate impedirono ulteriori progressi. Una terza cordata avrebbe dovuto iniziare il movimento con partenza dal campo base avanzato il 1° maggio; ma su tutta la zona nevicava incessantemente e tirava un vento sui 50 nodi. Si ebbe il timore serio di dover ritirare le prime due cordate.

Le giornate del 2 e del 3 maggio vennero trascorse in una snervante attesa. Nell'inconscio di ognuno pesava l'incubo della leggenda secondo cui la vetta dell'Everest deve restare inviolata per tutto il periodo dell'anno ad eccezione dei primi tre giorni di maggio.
Il mattino del 4, sfruttando un lieve mutamento delle condizioni atmosferiche, la prima cordata riuscì a guadagnare quota 8.513, ove venne allestito il campo 6; la seconda e la terza cordata, per una prudenziale economia di ossigeno, restarono ferme rispettivamente ai campi 4 e 3.

L'apocalittico ostacolo del 'Ice Fall', propaggine del ghiacciaio Kumbu, il cui aslittamento è calcolato in un metro al giornoAlle 12,39 locali del 5 maggio la prima cordata conquistò la vetta. I colori d'Italia sventolarono finalmente a quota 8.848.
La discesa ebbe inizio mentre le condizioni del tempo tendevano di nuovo a peggiorare. Intanto, la cordata del capitano Innamorati e la terza, procedendo nella salita, il giorno 6 raggiunsero rispettivamente i campi 6 e 4. Dopo il campo 6 - dirà il capitano Innamorati durante un'intervista - abbiamo incontrato una bufera. Circa due ore fermi, bloccati a cento metri dalla vetta con un maggior consumo di ossigeno, naturalmente. Correvamo il rischio di dover ripiegare per l'infuriare delle fortissime raffiche di vento; ma eravamo decisi a non cedere.

Il 7 maggio, alle ore 13 locali, anche la seconda cordata conquistò la vetta, ove il capitano dei Carabinieri Innamorati piantò la sua piccozza cui era legato il Tricolore italiano. La sosta fu brevissima, pochi minuti di esultanza e di commozione, il tempo per fissare alcune immagini cinefotografiche, poi si riprese la via del ritorno. Prima di iniziare la discesa, il capitano Innamorati affidò alle nevi eterne dell'Everest una piccola riproduzione in peltro del cappello da carabiniere, la tradizionale "lucerna".
La discesa si annunciò subito drammatica.

Il persistere delle proibitive condizioni atmosferiche e la rischiosa prova, fortunosamente superata dalla seconda cordata, consigliarono però di non muovere la terza. Pertanto, l'8 maggio, per non porre a grave repentaglio l'incolumità degli uomini e il felice, smagliante esito dell'impresa, Monzino decise di concludere l'operazione e di rientrare in Italia.