Non tutti sanno che...

ELUET EL ASEL LAMLUDA (Il I Battaglione Carabinieri Paracadutisti)

Uno degli scontri fra Carabinieri e forze inglesi in Africa Settentrionale.Il 16 luglio 1941 il I Battaglione Carabinieri Paracadutisti, ricevuto l'ordine di partenza per il teatro di operazioni in Africa Settentrionale, s'imbarcò a Taranto e sbarcò a Tripoli il 18 successivo, raggiungendo la stessa sera Zavia, campo transito nel quale sostavano per "acclimatarsi" le unità provenienti dall'Italia.

In quel momento la situazione militare nel teatro di operazioni dell'Africa settentrionale presentava un fronte stabilizzato lungo il confine libico-egiziano e le sue forze comprendevano le divisioni "Brescia", "Pavia" e "Trento" impegnate nell'investimento della piazzaforte di Tobruk (difesa dalla 70a Divisione e dalla 32a Brigata corazzata inglesi, nonché da una Brigata di fanteria polacca), la Divisione "Ariete" di riserva e la divisione "Savona" fiancheggiata lungo il confine da due Divisioni tedesche dell' "Afrika Corps" comandato dal generale tedesco Rommel. Il quadro delle unità era completato dal X e dal XX Corpo d'Armata, ripartiti rispettivamente in Cirenaica e Tripolitania. Tutte le forze dipendevano dal "Comando Superiore Forze Africa Settentrionale" avente anche funzioni di Governo della Libia.

Delineatisi la minaccia delle incursioni di "commandos" britannici alle vie di rifornimento delle nostre prime linee, e quindi alla condotta delle operazioni, il Battaglione Carabinieri Paracadutisti fu spostato, per fronteggiarla, da Zavia a Suani Ben Aden, alle dipendenze dei citato XX Corpo d'Armata, e successivamente su fronte più esteso. Tra l'agosto e l'ottobre 1941 il Battaglione compì 224 missioni ricognitive.

L'8 novembre 1941, risultando dalle informazioni che sulla costa cirenaica gli inglesi si proponevano di sbarcare altri nuclei di "commandos" per infiltrarsi nelle nostre retrovie e attentare ai nostri rifornimenti, il I Battaglione Carabinieri Paracadutisti ricevette l'ordine di trasferirsi nel Gebel cirenaico, movimento che fu compiuto lungo la via Balbia con una colonna di quasi quaranta automezzi, percorrendo 1.265 chilometri. Raggiunta così, il giorno 13 successivo, la località di Tert, presso Cirene, sede del Comando Superiore Forze Armate A.S., il Battaglione prese posizione con la 1a e la 2a Compagnia vicino al bivio di Lamiuda, con la 3a in corrispondenza del villaggio "Luigi di Savoia".

Il 18 novembre 1941, prevenendo l'azione italo-tedesca su Tobruk, i britannici sferrarono un'offensiva (chiamata nel loro codice "operazione Crusader") diretta ad accerchiare ed annientare le forze italo-tedesche. Gli inglesi conseguirono pienamente l'effetto sorpresa, raggiungendo con la VII Brigata il campo di aviazione di Sidi Rezegh a 20 km. da Tobrik, ma l'efficace reazione della Divisione "Ariete" e un improvviso attacco condotto da una formazione corazzata tedesca disarticolò l'offensiva inglese, permettendo a Rommel di spostare le sue forze corazzate per un nuovo piano d'azione.

Il 13 dicembre 1941 il I Battaglione Carabinieri Paracadutisti, in previsione del suo impiego nel quadro generale della manovra concepita dal supercomando A.S., si concentrò al completo presso Cirene. Il Battaglione, affinché potesse meglio assolvere i compiti che si intendevano assegnargli, fu munito di bombe anticarro tipo Passaglia, dal nome del tenente del Genio che le aveva ideate e realizzate con mezzi di fortuna.

Il 13 dicembre giunse l'ordine che l'intero Battaglione doveva essere pronto a muovere per la nuova zona d'impiego entro le dodici del giorno successivo. I Carabinieri erano pienamente consci che la grande prova del fuoco era ormai prossima e, sebbene fosse andata delusa la loro attesa di un impiego dal cielo, erano estremamente decisi ad impegnarsi sino in fondo per l'assolvimento del compito loro affidato.

I combattimenti di Eluet el Asel e di Lamluda
Il mattino del 14 dicembre 1941, il maggiore Edoardo Alessi riceveva dal generale Rommel l'ordine di portarsi con il Battaglione Carabinieri Paracadutisti nella zona di Eluet el Asel e di schierare il reparto con il compito di arrestare, resistendo ad oltranza sulle posizioni, la progressione delle unità britanniche che avessero tentato di raggiungere la via Balbia e tagliare la ritirata alle Divisioni Brescia, Pavia, Trento e Bologna.

Il Battaglione raggiunse la zona di Eluet el Asel sulla notte del 15. Alle prime luci dell'alba il maggiore Alessi emanò gli ordini per una rapida ed efficace organizzazione a difesa delle posizioni.
Il Battaglione, che aveva la diretta responsabilità della difesa del punto di confluenza di varie piste, si schierò con la 1a Compagnia a sinistra, fronte a sud, a cavaliere della pista di el Mechili, da quota 628 verso Est.
La 3a Compagnia venne schierata a destra, fronte a Sud-Ovest, sulla quota 639 a sbarramento delle provenienze da Chaulan. Definita Pubicazione dei capisaldi e l'organizzazione del fuoco, fin dal mattino del giorno 15 ebbero inizio i lavori di rafforzamento della linea di difesa.

Nel frattempo le forze italo-tedesche erano costrette dalla pressione britannica ad intraprendere il ripiegamento da Ain el Gazala sulla seconda linea di difesa tra Mechili e Derna, e successivamente verso Agedabia e Bengasi.
Nella notte sul 19 dicembre il tenente Fanelli comunicava che sulla pista di Chaulan, a circa 2 chilometri dalle posizioni tenute dal Battaglione, si era attestato uno scaglione inglese composto da circa venti automezzi, molti mezzi cingolati e alcuni carri armati; altri mezzi erano in movimento a distanza imprecisata.

Trascorsero molte ore in una calma foriera di imprevedibili eventi, mentre ad Est i bagliori dell'incendio dell'aeroporto di el Ftaiah aprivano un largo squarcio nel buio profondo. Non albeggiava ancora in quel mattino del 19 dicembre quando i Carabinieri, inchiodati negli appostamenti e nelle postazioni, avvertirono un ininterrotto rumore di motori e di cingoli che si faceva sempre più intenso. Erano gli inglesi che avanzavano. La fulmineità dell'intervento dei Carabinieri inchiodò la colonna nemica, che fu costretta a tentare un nuovo attacco, respinto ancora dai militari della 1a Compagnia.
Visto fallire il tentativo di sfondamento in quel settore, gli inglesi attaccarono, subito dopo, da Sud e dalle provenienze di Sud-Ovest, l'ala destra dello schieramento del Battaglione, che faceva leva sulle posizioni di quota 639. L'attacco venne portato con forze meccanizzate e di fanteria valutate non inferiori a quelle di un Battaglione, sostenute da robusti concentramenti di artiglieria. Il combattimento si sviluppò accanito, fra attacchi e contrattacchi, per oltre tre ore. Ma la 3a Compagnia non subì flessioni e non perdette neppure un palmo del terreno affidatole.

Subito dopo le artiglierie britanniche ripresero, con maggiore intensità, il martellamento di tutto il tratto di fronte tenuto dal Battaglione Carabinieri Paracadutisti. Era il preannuncio dell'imminenza di un nuovo attacco. In questa fase, elementi di fanteria inglese riuscirono ad infiltrarsi nel centro del nostro schieramento e a consolidarsi su di una collina, sulla sinistra della 3a Compagnia, il cui comandante tenente Osmanno Bonapace, valutato il grave pericolo costituito dal cuneo realizzato dagli inglesi, lanciò i suoi paracadutisti in un contrattacco estremamente decisivo, finalizzato a colpire l'avversario da tergo e a precludergli ogni possibilità di sganciamento. Gli inglesi, percependo la minaccia di un aggiramento e davanti all'irruenza dei Carabinieri Paracadutisti, si sottrassero allo scontro con il precipitoso abbandono della posizione raggiunta.

Alle undici gli inglesi sferrarono un massiccio attacco frontale con mezzi blindati e corazzati. Ma il fulcro della difesa, basato sui rilievi di quota 639, 628 e 585, resistette all'urto del soverchiante avversario, pur se con perdite rilevanti.
La prima ondata d'attacco venne nettamente stroncata dal preciso fuoco di sbarramento delle armi controcarro, che costò agli inglesi la perdita di decine di autoblindo e camionette e di vari carri armati; un deciso arresto subirono, in successione di tempo, altri due tentativi di sfondamento operato dai carri britannici. L'inaspettata resistenza e la violenza dei contrattacchi provocò la sospensione dell'attacco. Erano le dodici. Verso le sedici, gli inglesi attaccarono con un Battaglione di Fanteria il fronte ed il fianco occidentale della 3a Compagnia nell'intento di aprire, da Ovest, una breccia nel nostro dispositivo e di aggirare quindi, da Nord, l'intera linea difensiva. L'attacco britannico contro i Carabinieri attestati sulla quota 639 venne ovunque contenuto dall'intenso fuoco dei cannoni, delle mitragliatrici e di tutte le armi della difesa.
Ma intanto, mentre gli inglesi tenevano severamente impegnate le difese di quota 639, due loro Compagnie di Fanteria iniziavano un ampio movimento di aggiramento verso destra, puntando sui rovesci di quota 639. Questa manovra rendeva critica la posizione dei Carabinieri ed imponeva, una contromanovra in grado di parare la minaccia.

A tale scopo il maggiore Alessi decise di sferrare il contrattacco, che fu lanciato dal lato Est della collina che sorgeva sul rovescio di quota 639. I Carabinieri irruppero sulle avanzanti due Compagnie britanniche e, sfruttando ogni utile appiglio del terreno, le investirono con le bombe a mano e col preciso tiro dei fucili mitragliatori e delle armi individuali. L'azione fu così immediata e violenta che gli inglesi, sorpresi e sconcertati, dovettero arretrare. Da quel momento, il crepitio delle armi automatiche dei Carabinieri inchiodò i fanti inglesi sul terreno costringendoli a regredire progressivamente, di roccia in roccia, fino al fondo dell'uadi dal quale erano saliti.
Cominciava intanto a calare la sera. Con il sopraggiungere della notte la missione del Battaglione era compiuta: la tenuta delle posizioni di Eluet el Asel aveva consentito alle nostre Grandi Unità di superare indenni, nel loro movimento verso Ovest, il tratto dell'arteria litoranea su cui incidevano le provenienze dal Sud gebelico. Alle diciotto giunse l'ordine di ripiegare su Agedabia lungo la direttrice della via Balbia.
Protette dall'oscurità, le Compagnie si sganciarono dal contatto con gli inglesi e raggiunsero la zona a Nord del posto comando di Battaglione, dove erano stati concentrati gli automezzi.

Restarono sulle posizioni, con il compito di continuare in un fuoco intermittente che consentisse di ingannare gli inglesi e di coprire gli altri reparti in movimento, 40 carabinieri con tre ufficiali.
Alle diciannove, l'autocolonna dei Battaglione Paracadutisti, lasciava Eluet el Asel e, percorsi 15 chilometri di pista, raggiungeva a Berta l'innesto sulla Balbia che imboccava in direzione Ovest. In prossimità del bivio di Lamluda, punto di confluenza delle provenienze da Est e da Nord-Est la Balbia era bloccata da una colonna mista, impossibilitata a procedere da uno sbarramento stradale mentre gli inglesi battevano la zona con un serrato tiro di armi automatiche. Avanguardie britanniche, sopravanzando il Battaglione da Nord, avevano già preso posizione sulla Balbia e precludevano la via per Agedabia.

Il maggiore Alessi, nell'intento di infrangere lo sbarramento, decise di lanciare un attacco contro le munite posizioni avversarie che lo presidiavano e ne affidò l'esecuzione a due plotoni della 2a Compagnia, che si trovava in testa all'autocolonna.
I Carabinieri si portarono silenziosamente fin sotto le posizioni britanniche; poi d'improvviso si avventarono con grande impeto sull'avversario travolgendolo e incalzandolo, fino a che l'ultimo uomo non ebbe ad abbandonare la zona dello sbarramento e le sue adiacenze. Si lanciarono quindi all'inseguimento degli inglesi in fuga. Purtroppo a poche centinaia di metri dal primo esisteva un secondo sbarramento. L'ostacolo era costituito questa volta da automezzi posti trasversalmente sulla strada e inframezzati da un muro a secco alto circa un metro e profondo due.

Il maggiore Alessi dispose l'effettuazione di una rapida azione di attacco, analoga nelle sue modalità esecutive a quella precedente, ma sostenuta anche dal fuoco delle mitragliatrici della 1a Compagnia.
Investiti dai furibondi attacchi dei Carabinieri, i britannici ancora una volta dovettero ritirarsi perdendosi nel buio. L'autocolonna poteva così riprendere la marcia sulla Balbia, libera per il momento da ogni ostacolo. Ma a circa 800 metri a occidente del bivio di Lamluda un terzo robusto sbarramento stradale, presidiato in forze, a giudicare dal volume di fuoco che batteva le sue immediate adiacenze, bloccava di nuovo ogni possibilità di transito. I Carabinieri, balzati dagli automezzi, si diradarono tempestivamente sul terreno che ribolliva di colpi e piazzarono le loro armi, iniziando a controbattere il fuoco avversario e preparandosi ad un ulteriore assalto.

Erano circa le ventitré e trenta quando il maggiore Alessi lanciò all'attacco le sue assottigliate forze nel tentativo di superare lo sbarramento. Non v'era proporzione tra le forze in campo, ma i Carabinieri Paracadutisti furono in grado, anche in questa circostanza di supplire alla inferiorità di numero e armamento. Essi si portarono, sia sulla destra che sulla sinistra della Balbia, a ridosso delle posizioni avversarie, decisi a sfondare e passare. L'azione era condotta dai tenenti Giuseppe Casini e Osmano Bonapace. La lotta si accese con furiosa asprezza e fu un susseguirsi di scontri frammentari e cruenti.

I britannici, costretti a retrocedere, furono messi nell'impossibilità di garantire l'ulteriore integrità dello sbarramento stradale, nel quale i Carabinieri aprirono prontamente una breccia idonea, attraverso la quale l'autocolonna cominciò a transitare. Purtroppo l'esplosione di una mina precluse il passaggio al resto della colonna. La strada era così nuovamente interrotta e della favorevole circostanza approfittarono con prontezza gli inglesi che, rinforzati nel frattempo dall'afflusso di altre unità, attaccarono da direzioni diverse con mezzi blindati e fanteria di linea.
I Carabinieri non cedettero. Sebbene pressati da ogni lato, tennero testa alle prime ondate d'attacco.

Gli inglesi dapprima esitarono, poi, forti della loro schiacciante superiorità, intensificarono gli sforzi offensivi e, sotto la copertura di potenti concentramenti di fuoco, riuscirono a conseguire gradualmente il sopravvento sui pochi carabinieri superstiti, rimasti peraltro a corto di munizioni e di bombe anticarro.
La strenua resistenza aveva tuttavia consentito ai resti del Battaglione, che era riuscito a superare l'ultimo sbarramento, di sganciarsi definitivamente dagli inglesi e di proseguire nella notte, sul lungo nastro stradale della Balbia, la corsa verso Bengasi.

Nel frattempo, al bivio di Eluet el Asel, si concludeva anche la sorte dei 23 carabinieri, che con il tenente Enrico Mollo non avevano potuto operare all'ora stabilita il previsto sganciamento. La lotta tra un così sparuto nucleo di uomini ed un avversario tanto numeroso si prolungò fino a notte inoltrata, finché la situazione, aggravatasi per l'esaurimento delle munizioni, non offrì ai superstiti che due soluzioni: farsi catturare o infiltrarsi nello stesso schieramento inglese per tentare poi, in qualche modo, di ricongiungersi al Battaglione. Optarono per quest'ultima ipotesi e, superate col favore dell'ambiente naturale e dell'oscurità le posizioni britanniche in direzione Nord-Nord Est, giunsero sul mattino del 20 dicembre al villaggio "Luigi di Savoia" ormai presidiato dagli inglesi, inserendosi nella numerosa comunità di coloni italiani residenti nella zona.

Quella stessa mattina, molto più a Ovest, il Battaglione, ormai decimato, superata Bengasi già sgomberata dalle nostre truppe, si dirigeva su Ageba, raggiungendola la sera dei 20 dicembre 1941.
Del nucleo superstite facevano parte 44 tra ufficiali, sottufficiali e carabinieri. Nei cruenti scontri con le unità inglesi il reparto aveva perduto 282 dei suoi effettivi: 31 caduti, 37 feriti e 251 dispersi.
Il primo riconoscimento della prova di abnegazione e di valore espressa dal Battaglione in terra d'Africa venne dallo stesso avversario. In una sua trasmissione serale del 28 dicembre 1941 Radio Londra, riferendosi ai combattimenti del giorno 19 a Eluet el Asel e a Lamluda, rendeva onore ai Carabinieri Paracadutisti affermando che si erano "battuti come leoni e che mai, prima di allora i reparti britannici avevano incontrato così accanita resistenza".

Cinque Medaglie d'Argento al V.M., di cui quattro alla Memoria, sei Medaglie di Bronzo al V.M., di cui una alla Memoria, tre Croci al V.M. fu il consuntivo delle decorazioni individuali concesse.
Le cinque Medaglie d'Argento furono conferite ai carabinieri Amadei Giulio, Benna Zenit Mario, Caravaggi Mazzon Luca, Celi Antonio e Madau Alfredo.
La dedizione ed il sacrificio profusi dai Carabinieri del I Battaglione Paracadutisti nei cruenti fatti d'arme di Eluet el Asel e Lamluda ebbero un tangibile riconoscimento il 14 giugno 1964 quando, nel corso della cerimonia celebrativa del 150° annuale di fondazione dell'Arma, il Capo dello Stato, Antonio Segni, fregiò la Bandiera dell'Arma con la Medaglia d'Argento al Valor Militare. Eccome la motivazione:

"Battaglione Carabinieri paracadutisti, avuto il delicato compito di proteggere unità in movimento su nuove posizioni, sosteneva per una intera giornata ripetuti attacchi di soverchianti forze corazzate nemiche, appoggiate da fanteria ed artiglieria. Nell'impari cruenta lotta, svolta con estremo ardimento, riusciva a contenere l'impeto dell'avversario, al quale distruggeva, con aspra azione ravvicinata, numerosi mezzi blindati e corazzati. Sganciatosi dal nemico con ardita manovra notturna, trovata sbarrata la via di ripiegamento da munite posizioni avversarie, si lanciava eroicamente all'attacco e, dopo violenta epica mischia in cui subiva ingenti perdite, si apriva un varco, ricongiungendosi alle proprie forze".