Il Brutto Anatroccolo

Il Brutto Anatroccolo

C'era una volta un anatroccolo, così brutto, ma così brutto, che tutti lo schivavano, compresi i suoi fratelli. Già la sua nascita era stata un problema. Infatti le uova covate da mamma anitra si erano schiuse tutte da un bel po', mentre quella che conteneva lui non voleva saperne di aprirsi.

"Non viene alcun segno di vita, da quest'uovo", pensava malinconicamente mamma anitra, incerta se dedicarsi a educare i suoi figli, ormai abbastanza saldi sulle loro zampette, o se insistere invece nell'impresa, e proseguire a covare quell'ultimo uovo.

Ma le madri, si sa, non rinunciano mai alla speranza: così essa rimase nel nido, nonostante le altre anitre le consigliassero di rassegnarsi e di abbandonare quell'uovo al suo destino.

"È tempo perso", le dicevano.

"E se non lo fosse?", lei rispondeva.

La sua ostinazione e il suo amore ebbero ragione. Alla fine il guscio prese a incrinarsi, si ruppe, ne uscì una strana creatura. Strana a cominciare dal colore delle sue piume, che erano nere: e non s'era mai visto un anatroccolo con le piume nere.

"Dev'essere un incrocio di tacchino", sentenziarono le anitre adulte, con mille sottintesi di cattiveria.

Però mamma anitra sapeva il fatto suo. Chi mai poteva convincerla di non aver fatto le cose per bene? Perciò disse forte che quest'ultimo nato non solo non le dispiaceva per nulla, ma si sentiva di amarlo ancora di più.

"E poi, perché dovrebbe essere brutto?", lo difendeva. "Non è detto che lo dobbiamo considerare brutto per il solo fatto che è diverso da noi, dai suoi fratelli".

Ma proprio i suoi fratelli si dimostrarono subito di opinione diversa.

"Non lo vogliamo con noi. Ci fa perdere il credito. Per carità, portalo da qualche parte, in modo che non torni più qui".

E siccome gli anatroccoli belli sanno essere cattivi, gli si avventarono contro e cominciarono a prenderlo a beccate sulla testa.

Il Brutto Anatroccolo - Le anatre si addestrano al voloPoi, per darsi delle arie, si tuffarono nello stagno dove si stavano addestrando al nuoto, per dimostrargli quanto fossero bravi. Anche il Brutto Anatroccolo si tuffò, e prima che gli spiegassero la lezione l'aveva imparata.

"Non sarà proprio bello, ma guardate quant'è intelligente", cercò di incoraggiarlo la madre. "Ed è anche buono. Infatti alle vostre sgarberie non si rivolta. Preferisce sopportare e tacere".

Molto irritati da queste parole, i suoi fratelli alzarono ancora di più il collo e le ali, secondo l'abitudine di chi vuole apparire più di quello che è davvero. E, ancora secondo la stessa abitudine, smisero d'interessarsi a lui, fecero come se non esistesse. E questo fa anche più male a chi è sensibile.

Trattenendo il pianto, il Brutto Anatroccolo cercò una via d'uscita alla sua situazione.

"Prendo atto che qui non mi vogliono. Forse è meglio che tolga l'incomodo. Non credo che morrò di fame, la Provvidenza è grande. Dovrei dunque riuscire a cavarmela da solo".

Così, senza salutare, si fece forza, si sollevò di qualche metro e raggiunse un canneto non molto lontano.

"Mi dispiace soprattutto per la mamma", pensava durante il volo, "perché so che ne soffrirà. Comunque, ho tolto un fastidio anche a lei: non ci sarà più motivo di contrasti, in famiglia".

Il Brutto Anatroccolo - Il piccolo anatroccolo spaventato si nasconde nel cannetoLa vita nel canneto si svolgeva senza preoccupazioni, ma mancavano le occasioni di gioia. Le anitre selvatiche che vi abitavano, infatti, non potevano costituire una famiglia, per l'anatroccolo. Ognuna pensava solo per sé e pareva felice di compiere brevi e frequenti voli, di procurarsi il cibo giorno dopo giorno.

"Resta pure con noi", gli dissero, gentili, ma senza quel calore di cui il poverino aveva bisogno. "Qui non potrà capitarti nulla. Se ti accontenti, vedrai, ti troverai bene".

Invece, sopraggiunto l'autunno, nel canneto arrivarono i cacciatori. E fu la guerra. Una guerra dove le anitre avevano una sola arma, la fuga. Tuttavia, per quanto fuggissero con il cuore che gli batteva forte, venivano colpite in volo dalle fucilate o venivano snidate dai cani. Anche il Brutto Anatroccolo, che si era nascosto in un cespuglio, fu avvistato da un cane. Sentendosi i latrati addosso, uscì allo scoperto, in attesa che la sua sorte si compisse.

Il segugio però, nel vederlo, si fermò di botto. Lo annusò, quindi se la dette a gambe, spaventato da quella "strana" apparizione.

"Essere brutti, dunque, qualche volta è un vantaggio", pensò l'anatroccolo. "Può persino salvarti la vita".

Diventato insicuro anche il canneto, bisognava comunque trovarsi un posto adatto ad affrontare l'inverno ormai prossimo.

"Vuol dire che tenterò un volo più lungo. Ci sarà pure qualcuno che vorrà prendermi con sé. Sono solo, è vero. Sono brutto e povero. Ma io saprei tenere buona compagnia a chi è solo come me", s'incoraggiò.

La Provvidenza lo guidò in una casa isolata, dove viveva una vecchina, che però la compagnia già l'aveva: la compagnia d'un gatto e di una gallina. Il gatto le scaldava il letto, dormendole sulle coperte. La gallina ogni giorno le regalava un bell'uovo.

Non visto, il Brutto Anatroccolo s'intrufolò in casa, passando da una finestra lasciata aperta. Ed era così stanco e infreddolito che subito cadde in un sonno profondo.

L'indomani fu svegliato dal gatto che l'annusava e dalla gallina che gli girava attorno incuriosita.

"Guarda, un'anitra", esclamò la vecchietta quando lo vide. "Chissà se è maschio o femmina. Bisognerà aspettare. Se è femmina, mi farà le uova anche lei. Potrei venderle e ricavarne qualche soldo".

Così gli offrì ospitalità, seppure interessata. Il Brutto Anatroccolo poté finalmente trascorrere delle giornate serene e tranquille. Cominciava ad affezionarsi a quell'ambiente, quando il gatto e la gallina, forse per crearsi un diversivo alla tranquillità, che se è troppa può condurre alla noia, si misero in testa di prenderlo in giro.

"Tu, che cos'è che sai fare, per guadagnarti la vita?", gli domandavano.

E l'anatroccolo, incapace di rispondere, allargava le ali.

"Io ad esempio", diceva il gatto, "so fare la gobba, faccio le fusa, acchiappo i topi".

"Io faccio le uova", s'inorgogliva la gallina, "che sfamano la mia padrona. E tu? Saprai pure fare qualcosa".

Il Brutto Anatroccolo non lo sapeva. E taci oggi, taci domani, sopporta per un po', sopporta un altro po', alla fine a chiunque verrebbe il nervoso.

Di conseguenza, una notte, superato il limite della sopportazione, per la stessa finestra attraverso cui era entrato in quella casa, fuggì. Ma aveva dimenticato che era inverno, che fuori, tutto attorno, c'era il gelo, e gli alberi erano coperti di brina, che non si scioglieva nemmeno durante le ore del giorno.

"E adesso?", si domandò. "Mi toccherà morire, di fame e di freddo. Si vede che questo è il mio destino. Non si può andare troppo a lungo contro il destino. Ho cercato di lottare, ho cercato di cavarmela, adesso è tempo che mi rassegni".

Fece qualche passo sulla superficie ghiacciata di uno stagno. Pensò a quella che avrebbe potuto essere la sua vita se l'uovo, alla nascita, lo avesse dotato di piume bianche anziché nere. E gli venne in mente la sua mamma. Sentì una grande tenerezza per lei, che lo aveva sempre difeso, che lo aveva amato. Gli mancarono le forze, cadde sul ghiaccio e là rimase.

Si risvegliò in un cesto, dentro una casa. Era accaduto che un uomo, passando vicino allo stagno, lo aveva raccolto assiderato e, preso da compassione, lo aveva riscaldato sotto la giacca, portandolo poi nella sua casa per la gioia dei suoi bambini.

Qui il Brutto Anatroccolo visse fino al ritorno della primavera. Fino a che una sera udì la padrona di casa che diceva al marito: "Per chi e per quanto continueremo a mantenerlo? Tiriamogli il collo e cuciniamolo: faremo finalmente una cena come si deve".

Ma quando la donna allungò le mani per afferrarlo, il Brutto Anatroccolo, terrorizzato, volò per tutta la casa. Cadde in un secchio di latte, si risollevò a fatica, sbattè in un sacchetto di farina e se la rovesciò tutta addosso. Le sue ali erano appesantite, ma la disperazione gli centuplicò le forze. Infilato l'uscio di casa, fuggì, correndo a più non posso.

"Ah, come si sta bene liberi, e ormai non fa più freddo", si disse, riprendendo il giusto respiro. "Ecco, mi ritufferò nello stagno".

Il Brutto Anatroccolo - L'anatroccolo trasformatosi in cigno si rispecchia nello stagnoNuotava rinfrancato, quando vide venire verso di lui alcuni eleganti uccelli: erano cigni, i cigni che egli aveva sempre invidiato per la loro maestosità. "Brutto come sono, mi verranno addosso per uccidermi", pensò.

E mentre abbassava il capo, rassegnato infine alla sua sorte, dopo averne scampate tante, vide, riflessa nell'acqua, la sua figura. Non era più un brutto anatroccolo. Era diventato, dopo il lungo soffrire, bianco di piume. Le sue penne si erano rinforzate. Le sue ali avevano una robustezza per lui sconosciuta.

I cigni gli si avvicinarono, gli fecero festa, lo accolsero da fratello: eh già, perché adesso era un cigno anche lui. Insieme, si alzarono in volo. E lui volò, volò con una gioia immensa. Tutto d'un tratto si sentiva ripagato delle tante ingiustizie e umiliazioni patite.