Dal 1996 Sfor e Iptf: la Nato propone una strategia di transizione. La presenza dell'Arma nella IPTF dal febbraio 1997.

I Carabinieri della Sfor a Tieste, in procinto di imbarcarsi per la Bosnia.Sfor (Stabilization Force, Forza di Stabilizzazione), in ambiente militare più conosciuta come Operazione Joint Guard, fu costituita ai sensi della risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 1088 del 12 dicembre 1996 . Era una Forza multinazionale, sostanzialmente con gli stessi compiti di Ifor (Implementation Force, Forza di Implementazione, v. pag. 116 e segg.), ma ridotta quantitativamente e con una struttura di Comando più snella e più integrata.
In particolare rivolta al consolidamento della pace, Sfor, composta da tutte le nazioni che avevano preso parte ad Ifor, continuava ad assicurare la presenza militare internazionale in Bosnia e Erzegovina, fornendo però ampio supporto anche all'attuazione degli aspetti previsti nel General Framework Agreement for Peace (Gfap, Accordo Quadro Generale per la Pace), che aveva posto fine al conflitto armato tra serbi e bosniaci. Sfor avrebbe dovuto provvedere, tra i vari compiti assegnati alla sua competenza, al ristabilimento dell'ordine pubblico e a sviluppare, ove possibile, una ulteriore azione stabilizzatrice del territorio, ricostruendone altresì il tessuto urbano e sociale e soprattutto le istituzioni civili. Obiettivi per i quali, però, non era stata composta, addestrata e preparata.
La responsabilità di Sfor, il cui primo mandato sarebbe scaduto alla fine di giugno del 1998, fu assunta dal Comandante delle Forze Alleate Terrestri dell'Europa Centrale (Comlandcent, Commander Allied Land Forces Central Europe), che avvicendarono il Corpo d'Armata di Reazione Rapida Nato (Arrc, Allied Rapid Reaction Corps) e il Comando Afsouth (Allied Forces South Europe, Forze Alleate del Sud Europa). Nel quadro di Sfor vi è la Polizia Militare, inserita nel Comando Supremo Logistico.
La situazione in Bosnia era migliorata sotto certi aspetti da quando il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva attivato la costituzione di Sfor: gli obbiettivi militari posti nel Gfap erano stati raggiunti e agli inizi del 1998 a livello Nato venne studiata, sulla base del precedente periodo (il cui mandato, ricordiamo, scadeva nel giugno 1998), la possibilità di ridurre ulteriormente il numero delle forze presenti, incrementando però le azioni positive verso i compiti civili. Essendo riusciti a far tacere quasi completamente le armi, i militari di Sfor dovevano rimanere per assicurare che gli obbiettivi raggiunti fossero mantenuti e dovevano agire come deterrente per una eventuale riapertura delle ostilità.
Sfor, con il nuovo mandato allo studio, doveva ora dare tutto l'appoggio possibile all'attuazione del ristabilimento delle istituzioni locali e della sicurezza pubblica: non avrebbe però mai direttamente intrapreso compiti di polizia civile, che sarebbero rimasti confidati alla responsabilità della Polizia locale, supportata da una Iptf rafforzata e da una Forza di Polizia Civile di Intervento (che si concretizzerà poi nella Msu: Multinational Specialized Unit, Unità Multinazionale Specializzata).
Il principio guida della Sfor nell'Operazione Joint Force sarebbe stato quello di appoggiare coloro che applicavano il Gfap, con interventi attivi contro coloro che dimostravano di voler rompere l'Accordo di Pace. Il consenso delle parti doveva essere la base sulla quale fondare le azioni positive per la ricostruzione statuale, sociale, urbana del territorio, ma se non fosse stato possibile ottenere quel consenso, si doveva comunque arrivare all'obbiettivo e respingere le eventuali violazioni, con rapidità e fermezza.

L'imbarco del contingente dell'Arma per la Sfor nel porto di Trieste.Il passaggio tra l'Operazione Joint Guard e la Joint Forcesarebbe avvenuto senza particolari problemi o cambiamenti: gli obbiettivi operativi sarebbero stati mantenuti con soluzione di continuità. A livello concreto tale passaggio rifletteva la transizione tra un periodo a prevalente caratterizzazione militare e uno dedicato all'applicazione di quanto previsto per la società civile nel Gfap, che era la chiave di volta per arrivare al termine di un serio e duraturo processo di pace. Anche il volume delle forze (33.000-35.000) rimaneva pressoché inalterato.
Una strategia di transizione verso la pace venne così formulata come parte integrante dell'Operazione Joint Force. Doveva permettere una graduale e progressiva riduzione delle forze militari presenti a beneficio delle istituzioni politiche e sociali e di quelle civili, in vista di un possibile completo ritiro della componente militare, che avrebbe segnato la fine del processo di transizione verso la pace e una ritrovata identità statuale per la Bosnia-Erzegovina. Il ritiro delle forze militari poteva essere conseguente solo a una ritrovata fase di stabilità e sicurezza, che si configurava dunque come obiettivo prioritario da ottenere, anche impostando una giusta politica di ristrutturazione e moralizzazione delle Forze di Polizia. Contemporaneamente occorreva riattivare le istituzioni giudiziarie, sia con una magistratura efficiente, sia con il supporto di una Polizia professionalmente preparata e depurata dalla collusione con regimi politici corrotti: due strumenti per riportare la legalità e l'ordine su l territorio.
L'Italia ha partecipato a questa operazione con una solida componente terrestre, navale e marittima.