Dal 1994. La presenza nei Balcani: Unprofor, Ifor e Sfor.

Sarajevo, 1996: un mezzo dell'Italfor-Ifor nel luogo in cui il conflitto ha avuto inizio.È nel corso della crisi dei Balcani che si afferma sempre di più la professionalità delle Forze Armate italiane e, in settori specifici, quella dell'Arma dei Carabinieri, con la sua duttilità di impiego e soprattutto con la sua capacità propositiva, ordinativa e logistica, che trova la migliore espressione nella progettazione e formazione delle Msu: Multinational Specialized Units.
Nei territori della ex Jugoslavia e in Albania l'ultimo decennio è stato particolarmente intenso di avvenimenti. La morte del presidente della Jugoslavia Josip Broz, detto Tito, e il crollo dei regimi comunisti in tutta l'area, hanno fatto sì che improvvisamente, o quasi, sia sembrato all'Europa e alla comunità internazionale di essere tornate alla vigilia della prima guerra mondiale e a un notissimo fatto di sangue: l'uccisione a Sarajevo dell'erede al trono d'Austria e della sua sposa il 28 giugno 1914 fu infatti la scintilla che fece scoppiare il conflitto, dopo che nell'area balcanica, ex-ottomana, erano stati numerosi gli interventi, non sempre positivi, delle potenze europee e numerose le guerre "balcaniche".
La sostanziale differenza fra gli avvenimenti dell'inizio e quelli della fine del XX secolo è che negli anni Novanta la comunità internazionale - nella sua espressione più completa l'Organizzazione delle Nazioni Unite - ha progressivamente affinato gli strumenti per garantire a livello mondiale e regionale la sicurezza e la stabilità, anche se non sempre riesce a ottenere risultati certi e duraturi, soprattutto per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani e la composizione degli scontri tra etnie e religioni. Ha dovuto cambiare spesso la tecnica dei suoi interventi, prendendo atto di alcuni fallimenti e di alcuni errori, e aggiustando di conseguenza il "tiro" della propria presenza. La situazione nei Balcani è però ancora molto fluida, e certamente non è stato trovato un assetto definitivo che sia di totale gradimento per le popolazioni coinvolte e di garanzia di sicurezza e di stabilità per la comunità internazionale.
Per i territori della ex Jugoslavia si sono mobilitate non solo le Nazioni Unite, ma una alleanza militare difensiva regionale, la Nato (North Atlantic Treaty Organization, il cosiddetto "Patto Atlantico") e una organizzazione politica regionale quale la Ueo (Unione Europea Occidentale), che ha dimostrato appunto in tempi recenti la sua disponibilità ad operazioni di mantenimento della pace. L'Unione Europea Occidentale ha ceduto la gran parte delle proprie competenze (tra cui quelle in materia di Sicurezza e Difesa) all'Unione Europea (Ue). È parte integrante dello sviluppo dell'Ue, che coadiuva nella definizione degli aspetti di politica estera e di difesa comune e alla quale ha conferito la capacità operativa di difesa e di intervento.
La Missione Mape (Multinational Advisors Police Element, Gruppo di Polizia Multinazionale Consultiva) è l'esempio concreto di tale capacità operativa della Ueo in missioni non militari, in coordinamento con la Ue e con l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce, Organization for Security and Cooperation in Europe).
La storia dell'ultimo decennio degli avvenimenti nei Balcani è molto complessa: anche una breve sintesi ragionata porterebbe a una lunga disamina degli eventi, la cui portata non può essere solo cronologicamente riassunta, se non si spiegano fatti e cause (Ndr: nelle pagine dedicate agli interventi in questa area, l'autrice ha preferito concentrarsi sull'apporto italiano, in particolare dell'Arma, sulla quale questo volume è focalizzato, nei vari momenti e con le diverse funzioni assegnatele, rinviando la cortesia del lettore per ulteriori informazioni storiche ai volumi specialistici apparsi in gran numero su questa ennesima riapertura della "Questione d'Oriente". Di volta in volta saranno fornite sintetiche notizie sulle circostanze della nascita delle missioni alle quali i Carabinieri hanno partecipato e di cui fanno ancora oggi parte.). È necessario però dare alcuni cenni sugli avvenimenti per poi poter inquadrare nella giusta luce e meglio comprendere la ragione delle missioni e i loro mandati.

Un blindato dell'Arma attraversa la città di Sarajevo: la zona è quella del mercato. La crisi dirompente nei Balcani iniziò nel Kosovo nel 1981 con una vera e propria insurrezione degli albanesi kosovari contro la Serbia (che era parte della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia) (Ndr: La Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, proclamata nel 1943 e disciolta nel 1992, comprendeva a sua volta sei repubbliche: Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia, Serbia. Quest'ultima aveva al suo interno due province autonome: il Kosovo e la Vojvodina.), con conseguente dura repressione. Nel 1989 il Parlamento serbo adottò degli emendamenti costituzionali che annullavano praticamente l'autonomia che la provincia aveva dalla Federazione iugoslava ai sensi della Costituzione di Tito del 1974. Nel 1990 la situazione peggiorò con la forte discriminazione operata in Kosovo dal Governo serbo nei confronti della minoranza albanese.
I serbi, a loro volta, costituivano una minoranza nella vicina Croazia: la paura dei serbi in quella terra si manifestò soprattutto nella regione al confine con la Bosnia, la Krajina (Ndr: Zona della Croazia dove le diverse etnie si sovrappongono con una minoranza maggioritaria di serbi. La Repubblica serba di Krajina, Stato autoproclamato dai serbi di Croazia, ebbe vita dal 1992 al 1995. Scomparve nel 1995 con la riconquista del territorio e del potere da parte dei croati di Zagabria.), dove essi erano invece in maggioranza. Il 17 agosto 1990 i serbi di Croazia si ribellarono in armi. Dopo varie difficili vicende, il 19 maggio 1991, con un referendum, la popolazione croata decise per l'indipendenza dalla Federazione iugoslava, ma i serbi di Croazia si opposero a questa decisione. Il 25 giugno però la Croazia, applicando il diritto di secessione sancito nella Costituzione, dichiarò la propria indipendenza, seguendo l'esempio della Slovenia.
Per quanto riguardava appunto questo territorio, dopo meno di tre settimane di tensione e di confronto armato, il 18 luglio 1991 le truppe federali iugoslave si ritirarono dalla Slovenia, che contava comunque solo il 5 per cento di serbi: l'indipendenza slovena dalla Federazione iugoslava venne così rapidamente riconosciuta da Belgrado, ma questo avvenimento fu di fatto l'elemento scatenante della progressiva dissoluzione della Repubblica Federale di Jugoslavia. Lo stesso rapido riconoscimento di indipendenza non avvenne con la Croazia: Belgrado non accettò la decisione croata; l'Aviazione federale colpì i porti della regione. Dubrovnik, l'antica bellissima Ragusa, venne bombardata e in parte distrutta nella notte tra il 30 settembre e il 1° ottobre 1991.
Con il referendum del marzo 1992 anche la popolazione della Bosnia-Erzegovina decise per l'indipendenza dalla Federazione iugoslava. In Bosnia la situazione etnica era ancora più complessa che in Croazia e in Slovenia: il 44 per cento della popolazione era islamica, costituendo il nucleo centrale della presenza musulmana dei territori della ex Jugoslavia, con percentuali di serbi e croati. Il conflitto si estese e si complicò, con la doppia caratteristica di conflitto nazionalistico interetnico e interreligioso. Da quel momento in poi il settore balcanico ha conosciuto scontri e iniziative internazionali di vario tipo: per arrivare a una tregua che forse si trasformerà definitivamente in pace, in alcuni casi, quasi paradossalmente, è stato necessario anche intervenire con una imposizione armata. I Romani sostenevano: «Si vis pacem, para bellum». Nel XXI secolo sembra che il motto degli antichi dominatori sia sempre più valido.
Non è ancora possibile, e probabilmente non lo sarà per lungo tempo, analizzare in prospettiva storica le reali dimensioni dei problemi politici, economici, etnici e religiosi che hanno portato a conflitti sanguinosi per nazionalismi regionali così accesi. Per le radici del problema occorre tornare al secolo XIX, alle lotte e ai nazionalismi che comparvero in quel periodo, alimentati dalla cupidigia degli Imperi centrali e di quello zarista.
Le Nazioni Unite hanno operato una serie di interventi che non hanno avuto sempre risultati soddisfacenti: vi sono state progressive sconfitte della massima organizzazione internazionale, senza dimenticare, tra le perdite subite, la morte di 200 "caschi blu". Nel 1995 le Nazioni Unite hanno "delegato" le operazioni di mantenimento della pace con strumenti militari alla Nato, che ha invece ottenuto alcuni risultati positivi sul terreno. Il Palazzo di Vetro ha in seguito privilegiato una assistenza strutturata preminentemente ai fini del rispetto dei diritti umani e della ricostruzione delle istituzioni statuali dei territori considerati. Dal 1995 in poi l'area balcanica è contrassegnata infatti dalla presenza in crescendo di truppe Nato nei vari luoghi del conflitto - dalla Bosnia-Erzegovina, alla Macedonia, al Kosovo, all'Albania - e tutti gli interventi umanitari e militari sono sempre più legati fra loro, interdipendenti per gli elementi comuni di ordine politico-strategico, economico e sociale.

Sarajevo, 1997: un giovane Carabiniere controlla la città dall'alto.La crisi in Bosnia-Erzegovina culminò nel maggio 1995 e condusse alla creazione di una Forza di Reazione Rapida (Frr) della Nato: forza multinazionale, di pronto intervento, inserita nella struttura della Missione Unprofor (United Nations Protection Forces, Forze di Protezione delle Nazioni Unite), che era stata istituita il 21 febbraio 1992 con la risoluzione n. 743 del Consiglio di Sicurezza e il cui Quartier Generale fu prima a Zagabria (Croazia), poi a Sarajevo (Bosnia-Erzegovina), e in seguito di nuovo a Zagabria (Ndr: la Nato era già in operazioni in Bosnia: il 10 luglio 1992, su risoluzione del Consiglio di Sicurezza, aveva attivato una Forza navale per l'Operazione nota con il nome di Maritime Monitor (lett.: osservatore marittimo) per controllare, insieme alla Sharp Vigilance (lett.: vigilanza acuta), l'applicazione delle sanzioni contro la Serbia. La Marina Militare italiana è stata presente in ambedue le operazioni. Nell'Operazione Deny Flight (lett.: impedire il sorvolo), alla quale partecipò anche l'Italia con l'Aeronautica Militare, aerei della Nato sorvolavano lo spazio aereo della Serbia per impedire tutti i voli militari sulla Bosnia non autorizzati.). Sintetizzando, si può dire che questa Forza originariamente doveva assicurare la stabilità nelle aree protette, in particolare nella Krajina e nella Slavonia occidentale; in seguito, con il complicarsi della situazione politica, il suo mandato originale e la sua competenza territoriale sono stati progressivamente ampliati.
La Frr, con circa 13.000 unità, fu inviata a Sarajevo nel luglio del 1995 e contribuì alla sicurezza del contingente Onu. Il Comando europeo della Frr era in Germania, a Rheindahlen; la base logistica a Spalato, in Croazia. Era prevista una unità a livello di Divisione quale Forza di Reazione Rapida terrestre. Suo compito in quella missione è stato quello di dispiegarsi con rapidità in supporto del Comandante Supremo delle Forze Alleate in Europa (Saceur, Supreme Allied Commander in Europe), in situazioni di crisi la cui soluzione è di competenza Nato e per operazioni di sostegno alla pace, divenute sempre più importanti nella metà degli anni Novanta. Viene tuttora considerata un elemento chiave delle capacità operative rapide della Nato, per rinforzare aree a rischio, e un importante elemento di deterrenza per la ripresa di eventuali ostilità. Un alto ufficiale dell'Esercito italiano ne è stato il Vice Comandante.
Quando fu costituita la Iptf (International Police Task Force, Forza Speciale di Polizia Internazionale), presso il Comando della Forza Rapida un ufficiale dell'Arma agiva da Ufficiale di Collegamento del Comando Frr con la Forza di Polizia e con l'Ufficio del Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite, che era il Capo Missione dell'operazione per la parte riguardante le Nazioni Unite. È stata prevista e ha operato nel quadro della Frr, con compiti di polizia militare, una Compagnia di Carabinieri provenienti dal 13° Battaglione Carabinieri "Friuli-Venezia Giulia". Con i successivi mutamenti di Ifor in Sfor, quella compagnia, ovviamente avvicendata, è sempre stata ed è ancora fornita dal Battaglione sopra ricordato. Ha compiti di controllo del traffico; di indagini di polizia giudiziaria militare e di scorta nelle visite delle autorità.
Dal 31 marzo 1995 la sigla Unprofor ha designato solamente le Forze Onu presenti in Bosnia; la Frr è successivamente passata sotto il comando di Ifor, che ha iniziato il suo dispiegamento il 16 dicembre di quell'anno, a sua volta posta sotto il comando e il controllo della Nato (v. più avanti). Sempre il 31 marzo 1995 il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, con la risoluzione n. 982, ha istituito la United Nations Peace Forces (Unpf, Forze di Pace delle Nazioni Unite) per riordinare e ristrutturare la presenza Onu nella ex Jugoslavia.