1994 e 1997. Ancora una volta in Palestina: con le Missioni Tiph.

Le due Missioni Tiph a Hebron, in Palestina, sono indubbiamente missioni di peace-support, espletate in tempi diversi, ma con uguali finalità e stessa tecnica operativa. Due missioni che, come le altre, mettono in rilievo quanto a livello internazionale la professionalità italiana nel settore sia stata e sia riconosciuta, al punto da richiedere esplicitamente la presenza dei Carabinieri italiani in un contingente internazionale al quale veniva affidata una missione, quella di osservatori di Polizia, in un territorio in cui si intrecciavano problemi religiosi, sociali, economici e anche etnici.

Tiph 1 (1994)

Hebron, 1994: per i Carabinieri, compiti di osservatori.La prima delle missioni, la Tiph 1, fu avviata nel 1994, a seguito dell'uccisione di 29 cittadini palestinesi e del ferimento di altri 60 da parte di un colono israeliano, Baruch Goldstein, nella città di Hebron, davanti alla Tomba dei Patriarchi. Con un'area approssimativa di 32 kmq, la città, situata nella parte meridionale della cosiddetta West Bank (Cisgiordania), contava circa 150.000 abitanti, in grande maggioranza palestinesi, e poche centinaia di coloni ebrei. Tra le più antiche del mondo, con notevoli tradizioni storiche e culturali, Hebron, passata in mano israeliana dopo la "Guerra dei sei giorni" del 1967, è una delle quattro città sante del Talmud. Una città santa con doppia valenza religiosa: narrano infatti i Sacri Libri che vi sarebbe sepolto Abramo (Ibrahim), fondatore del giudaismo per gli ebrei e profeta venerato per i musulmani.
La Moschea dove si suppone si trovi la tomba di Abramo (Ibrahim) è stata chiusa, insieme al mercato ortofrutticolo, appunto il giorno dell'uccisione dei 29 palestinesi: tutto quel territorio fu dichiarato zona militare con le conseguenze giuridico-legali connesse a tale decisione (governo militare, applicazione di codici penali militari, e spesso di guerra), compresa la possibilità di imporre il coprifuoco. Essendo considerata dai musulmani un Luogo santo, per mantenere una certa calma la Moschea avrebbe dovuto essere riaperta in tempi brevi, e non certo essere trasformata in Sinagoga, come invece i coloni ebrei stavano facendo.
In quella occasione il processo di pace per la Palestina subì preoccupanti interruzioni; il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il 25 febbraio 1994, con la risoluzione n. 904, invitò la comunità internazionale ad intervenire per proteggere con idonee misure la popolazione civile palestinese. In seguito al massacro, Yasser Arafat aveva ritirato la delegazione dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), della quale era il presidente, da ogni ulteriore negoziato per la pace con Israele. Era disponibile a rivedere le sue decisioni se fossero stati inviati degli osservatori internazionali nella città di Hebron. Le parti contendenti posero delle pregiudiziali alla partecipazione di alcuni Stati a questa missione, ma si dichiararono concordi oltre che per la Danimarca e la Norvegia, anche per l'Italia, apprezzando in tal maniera la politica estera e la sensibilità da quest'ultima dimostrata nella gestione internazionale del problema arabo-israeliano.
Con la mediazione di questi tre Stati, il 31 marzo 1994 Israele e l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina firmarono al Cairo un accordo che prevedeva una Presenza Temporanea Internazionale di un contingente multinazionale in Hebron (Tiph, Temporary International Presence in Hebron), composta da unità che venivano chiamate osservatori di Polizia (Police observers). Il contingente internazionale fu composto da 160 unità (90 norvegesi, 35 danesi e 35 italiani), 60 delle quali avevano i compiti di osservatori e le restanti erano di supporto logistico e amministrativo.

L'accordo del Cairo prevedeva anche che il personale della missione dovesse riferire su eventi particolari ad un Comitato Paritetico di Hebron (Joint Hebron Committee), che comprendeva due rappresentanti per ciascuna delle due parti contendenti: il più anziano sarebbe stato da parte palestinese il Sindaco di Hebron, e da parte israeliana il Direttore dell'Amministrazione civile del Distretto di Hebron. Un rappresentante della Tiph sarebbe stato chiamato due volte a settimana a partecipare agli incontri del Comitato per riferire sull'attività della missione. Periodicamente il Capo della stessa avrebbe riferito al Comitato di Collegamento Israelo-Palestinese (Joint Israeli-Palestinian Liaison Committee).
Dopo 73 anni i Carabinieri tornavano in terra palestinese, ancora una volta in missione di pace: fu inviato un contingente di 33 unità (19 carabinieri del Battaglione Paracadutisti "Tuscania" e 12 unità appartenenti all'Arma territoriale), integrato da due marescialli dell'Arma delle Trasmissioni dell'Esercito, Reggimento "Leonessa", e da due civili, funzionari della Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Esteri. I carabinieri, completamente disarmati, come gli altri osservatori, solo con giubbotto antiproiettile e elmetto antiproiettile, indossarono una uniforme bianca con una fascia rossa sul braccio, con la scritta Tiph. Fra le unità inviate in Palestina vi erano uomini con solida esperienza professionale, che avevano già partecipato a missioni in Libano, in Somalia, in Mozambico e in Cambogia.
La prima Missione Internazionale Tiph fu attiva dall'8 maggio all'8 agosto 1994, quando fu ritirata perché l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e Israele non riuscirono a mettersi d'accordo sull'estensione temporale del mandato. L'8 maggio alle ore 12 il contingente internazionale fece il suo ingresso a Hebron. Ne era il Comandante un generale della Polizia norvegese, ex capo delle Forze di Polizia Civile per l'Unprofor (v. pag. 114 e segg.). L'ufficiale italiano che comandava il contingente fu designato come Vice Comandante Operativo della Missione in Hebron, mentre il suo collega danese si occupò con lo stesso incarico della parte logistica. All'ufficiale italiano dei Carabinieri, che aveva fatto parte dell'Advanced Team (Nucleo di Ricognizione Avanzata internazionale), fu affidato il compito di tenere i collegamenti con la parte palestinese; ad un ufficiale danese il compito di tenerli con gli israeliani.
La situazione non era facile, causa l'atmosfera che si respirava nella città di Hebron: la vita dei civili era penalizzata da numerosi posti di blocco, perquisizioni, arresti disposti dalle autorità israeliane; il commercio languiva e l'economia era depressa, rendendo ancora più problematica la quotidianità del vivere. L'area di Hebron era gestita dal Comando militare israeliano: vi si applicavano costantemente le leggi marziali vigenti nel territorio; la situazione generale risultava assai pesante per un clima di paura e di forti tensioni.
Il 12 maggio aveva avuto luogo un tentativo dei commercianti palestinesi del mercato ortofrutticolo di sfidare l'interdizione degli israeliani e di riaprire le loro attività. Vi fu un nutrito numero di incidenti. L'Esercito israeliano chiuse immediatamente l'area, che era zona militare, e ne proibì l'accesso anche ai membri della missione. Solo dopo alcuni giorni, a seguito delle proteste dell'Ambasciatore norvegese (la cui nazione guidava la missione) e della stessa Tiph, gli israeliani tolsero il blocco. Si trattava di far recedere il Governo di Gerusalemme dalla rigida applicazione di un codice militare utilizzato per i civili in una situazione considerata non bellica dalla comunità internazionale, ma reputata come tale da Israele.